Parolin ottimista sull’applicazione degli accordi con la Cina

L’Accordo firmato il 22 settembre scorso a Pechino “è stato il risultato di un lungo lavoro. Alla fine ci siamo riusciti e speriamo che possa davvero portare frutti per il bene della Chiesa e del Paese”. Il segretario di Stato Pietro Parolin lo ha sottolineatom a margine di un Convegno alla Gregoriana. “Ora – ha aggiunto il porporato ai microfoni di VaticanNews – è importante dare esecuzione all’Accordo provvisorio sulle nomine dei vescovi in Cina, e cominciare a farlo funzionare nella pratica”. Dunque “per il momento, intanto, l’importante è mettere in esecuzione quello… Sarà quello il prossimo passo, dare esecuzione all’accordo sulle nomine dei vescovi, quindi cominciare a farlo funzionare nella pratica. Per il momento non si prevede altro, poi il Signore vedrà, nella sua provvidenza…”.

A margine del Convegno su “Gli accordi della Santa Sede con gli Stati (XIX-XXI secolo). Modelli e mutazioni: dallo Stato confessionale alla libertà religiosa”, Parolin ha sottolineato
sull’Accordo con la Cina che “è un caso sui generis, perché realizzato tra due parti che non hanno ancora un riconoscimento reciproco”.

Ai partecipanti al congresso presso l’Ecole francaise de Rome, il segretario di Stato vaticano ha invece ricordato che in questi accordi bilaterali, la Chiesa cattolica “non chiede allo Stato di agire come Defensor fidei, ma di poter adempiere alla sua missione”, tutelando la libertà religiosa dei credenti di tutte le fedi, e permettendo alla Chiesa stessa di “contribuire efficacemente allo sviluppo spirituale e materiale del Paese, e a rafforzare la pace”, come chiede la costituzione conciliare Gaudium et spes.

Sui concordati nei Paesi dove i cattolici sono in minoranza, il cardinal Parolin ha ricordato i recenti accordi con Paesi dove i cattolici sono in minoranza, da quello con la Tunisia (1964), passando per il Marocco (1983), Israele (1993), fino all’ultimo con l’Autorità palestinese (2015), sottolineando che anche in passato la Santa Sede ha cercato di stipulare accordi con gli Stati “non cristiani”. E nel caso di accordi con Stati occidentali che si proclamavano cattolici, si è sempre cercato di “assicurare l’indipendenza della Chiesa contro i tentativi degli Stati di interferire nei suoi affari interni e nelle nomine di vescovi”.

Un capitolo a parte è quello delle relazioni della Santa Sede con gli Stati con i quali non ha alcun accordo o concordato, come molti Paesi “di tradizione ortodossa”, ma soprattutto i Paesi anglosassoni, Gran Bretagna e Stati Uniti, o di cultura anglofona, per difficoltà di natura culturale. In quel caso le materie più delicate sono affidate al principio del rispetto della parola data e al gentelmen agreement, l’accordo informale tra le parti. Il cardinal Pietro Parolin ha citato il caso del Vietnam, col quale ancora oggi “l’accordo per le nomine dei vescovi è solo orale”. Dunque ci sono Stati con i quali la Chiesa non è entrata in accordo e vive e agisce anche in quegli Stati. Però sono strumenti utili, molto, molto utili per assicurare – fondamentalmente questo è il loro scopo – la libertà della Chiesa all’interno del quadro più generale, oggi, della libertà religiosa, che è un diritto fondamentale della persona e delle comunità e per regolare gli ambiti di comune collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, per evitare conflitti. Evidentemente, hanno dimostrato, anche finora, questa loro utilità e certamente continueranno a dimostrarla. Per questo la Santa Sede si impegna continuamente a stipulare accordi anche con Stati che finora non ne usufruivano”.

‘Abbiamo lavorato molto in questi ultimi anni soprattutto con i Paesi africani, sono stati molti Paesi africani che hanno manifestato interesse e hanno dato avvio a trattative che si stanno concludendo. E attualmente ce ne sono ancora. Per non citare l’accordo con la Cina che ha richiesto un grande lavoro. E’ stato un lavoro lungo ma alla fine siamo riusciti e noi speriamo che possa davvero portare frutti per il bene della Chiesa e del Paese”, ha poi concluso Parolin.