Una risposta al cardinale Muller che evoca lo scisma (di M. Castellano)

Il Cardinale Muller, nella sua intervista con Massimo Franco pubblicata sul “Corriere della Sera” di ieri, afferma di avere potuto mettersi alla testa di uno scisma tradizionalista, ma di non averlo fatto; per cui il Papa gli dovrebbe essere riconoscente.
Il linguaggio tracotante ci ricorda il Mussolini del 3 gennaio del 1925: “Avrei potuto fare di quest’aula sorda e grigia bivacco di manipoli: potevo, ma non volli”.
Sul versante del potere spirituale, siamo andati in cerca di precedenti nella storia della Chiesa, nel corso della quale è successo letteralmente di tutto, compresi – per l’appunto – gli scismi minacciati; oltre, naturalmente, a quelli consumati e quindi ricomposti, come lo scisma di Occidente, o non ricomposti, quali lo scisma d’Oriente e la Riforma Protestante, catalogata però nella categoria delle eresie.

Qui cominciamo ad avvicinarci al nocciolo della questione.
Potremmo dire, schematizzando al massimo, che gli scismi sono determinati da una logica estranea alla Chiesa, mentre le eresie vengono prodotte da un dibattito interno, capace di determinare la rottura quando non si permette ad una delle parti di esprimere liberamente le proprie posizioni.
Di conseguenza, lo scismatico non si ferma in considerazione del “bonum Ecclesiae”, mentre l’eretico non uscirebbe dalla società dei credenti se potesse continuare a dire ciò che pensa.
Michele Cerulario, nel 1054, staccò Costantinopoli da Roma perché l’Impero Bizantino aveva ormai acquisito una tale solidità e compattezza per cui non aveva convenienza a convivere con una potestà religiosa sentita ormai come lontana ed estranea.
Il Cristianesimo Orientale aveva venuto assumendo fin dai primi secoli caratteristiche proprie, sia nel rito, sia nella tendenza contemplativa (lo dimostra l’esistenza dei famosi due diversi Monachesimi), sia soprattutto nel suo rapporto con il potere civile.
In Occidente, l’Imperatore riceveva – a partire da Carlo Magno – l’investitura dal Papa, mentre il “Basileus” bizantino considerava il Patriarca nulla più che come una estensione del suo potere nel campo spirituale, una sorta di “instrumentum Regni”.

Risultava dunque logico che il Sovrano non potesse tollerare una subordinazione, anche se ormai soltanto teorica, del Capo della Chiesa rispetto ad un’altra Autorità religiosa, per di più straniera ed appartenente ad una tradizione, ad una identità culturale e spirituale del tutto diversa.
Questo peculiare rapporto tra Stato e Chiesa ebbe la sua estrema evoluzione nella “Terza Roma”, quando Pietro il Grande abolì il Patriarcato Ruteno di Mossa, assommando il potere religioso con quello temporale: lo Zar agì esattamente come Enrico VIII di Inghilterra; con la differenza però che non vi era, nel suo caso, nessuna Sede da cui distaccarsi, essendo stata precisamente quella Russa la prima Chiesa ortodossa autocefala, non più dipendente gerarchicamente dal Fanar.
L’Imperatore era posto a capo di una teocrazia: ancora oggi, in Russia, ci sono edizioni della Bibbia in cui la parola “Dio” è scritta in neretto, mentre la parola “Imperatore” figura in lettere dorate.
Non risulta chiaro se le distinzioni dottrinali tra i Cattolici e gli Ortodossi, che sono comunque marginali rispetto a quelle che ci separano dagli Evangelici, sorsero dopo lo scisma, per rivestirlo di qualche pretesto teologico, oppure esistessero già prima, senza però essere considerate causa di divisione.
La famosa disputa sul “filioque”, su cui si discusse a lungo nel Concilio di Firenze, venne infine risolta dal Cardinale Bessarione dimostrando che Occidentali e Orientali intendevano significare la stessa cosa.

Se l’accordo non venne ratificato da Costantinopoli, per la sollevazione del partito avverso alla conciliazione con Roma, fu soltanto perché l’Impero aveva sottovalutato l’incombente minaccia rappresentata dai Turchi, risultata invece fatale per la sua sopravvivenza.
Vale la pena osservare che poco dopo lo Scisma d’Oriente, nel 1077, Enrico IV va a Canossa: e questo gesto, che verrà poi tradotto in termini giuridici a Worms nel 1122, segna la vittoria della Chiesa nel cosiddetto “Conflitto per le Investiture”, che pochi sanno essere tra le cause remote della Riforma; i Tedeschi, fin da allora a loro modo nazionalisti, mal digerivano che la Chiesa di Roma si ingerisse nelle questioni riguardanti la titolarità dei feudi.
Si dice dunque, a proposito della Riforma Protestante, che anche in questo caso risultò decisiva l’influenza del potere civile.
Questo, tuttavia, è vero solo fino ad un certo punto: l’Impero, la cui sede si era ormai spostata a Vienna, rimase una Monarchia Cattolica, ed anche gli Elettori, cioè gli aristocratici posti a capo dei diversi feudi ad esso ancora formalmente subordinati, si divisero tra aderenti e contrari al Protestantesimo.
La Riforma fu dunque soprattutto il risultato di un movimento maturato nella società, e si può dire abbia costituito il primo atto della Rivoluzione Borghese.

I ceti cittadini emergenti esprimevano infatti un proprio pensiero religioso: non a caso, la cosiddetta “Teologia Renana” ispirò e precedette le famose “Tesi” di Lutero; ciò è stato messo in luce dalle ricerche storiografiche più recenti, che hanno fatto giustizia di certe ricostruzioni aneddotiche riguardanti lo scandalo ispirato nel monaco agostiniano dai lussi della Corte Pontificia.
Non essendovi dietro a Lutero tanto un Sovrano, o più Sovrani, quanto una società in evoluzione, la divisione della Chiesa fu il risultato, e non lo scopo deliberatamente perseguito, della sua opera: se Roma avesse tollerato nel proprio ambito una certa libertà di discussione, non si sarebbe determinata la frattura con gli Evangelici.
Quando invece le questioni sorgono con i Re, a volte si rompe, ed altre volte si finisce per mettersi d’accordo.

Qui viene a proposito l’esempio di uno scisma che fu sul punto di consumarsi, ma poi – come si suole dire – “rientrò”: quello cui pensò in un certo momento il “Re Sole”, tentato dall’idea di imitare Enrico VIII; Roma, però, cedette sulle cosiddette “libertà Gallicane” accordate alla Chiesa di Francia e riguardanti essenzialmente le prerogative della Monarchia sulla nomina dei Vescovi.
Fu così che i Francesi rimasero in maggioranza Cattolici.
Anche la Repubblica di Venezia, che conobbe il proprio auge politico, economico e militare proprio nel periodo coincidente con la Riforma, venne tentata di aderirvi: in tal caso, avremmo avuto in Italia uno Stato regionale protestante.
A pensarlo, la mente vacilla.
Fu comunque proprio nella Serenissima Repubblica che Fra’ Paolo Sarpi scrisse la sua Storia, critica verso Roma, del Concilio di Trento; cui il Vaticano rispose contrapponendogli quella del Cardinale Roberto Bellarmino, ed anche – probabilmente – tentando di uccidere l’indocile frate servita.

Il quale, creduto morto dai sicari, guarì delle ferite e pronunziò la famosa frase “Cognosco stilum (stile, ma anche pugnale) Romanae Curiae”.
Prima di riferire analogicamente all’uno o all’altro di tali precedenti lo scisma minacciato da Muller, occorre dire che simili tentativi non trovano più facilmente un sostegno “cesaristico” (cioè fornito da qualche Stato) da quando si è imposta la Rivoluzione Liberale; i cui epigoni non cercano investiture spirituali, ma si limitano a disciplinare la materia religiosa secondo criteri fondamentalmente giusnaturalistici, anche se accondiscendono a firmare dei Concordati con la Chiesa Cattolica, in omaggio ad una sua esigenza e “pro bono pacis” nei rapporti tra lo Stato e i credenti.
Di scismi, in realtà, ce ne sono stati alcuni: quando Pio VII accondiscese a legittimare la Rivoluzione Francese, stipulando con Napoleone il Concordato del 1800, alcuni Cattolici francesi dissentirono, e fondarono le cosiddette “Petites Eglises”, che contano ancora qualche seguace dalle parti di Lione; questi gruppi non rientrarono nel Cattolicesimo ufficiale nemmeno con la Restaurazione.

Dopo il Concilio Vaticano I, uscirono i “Vecchi Cattolici”, in dissenso con il Dogma dell’Infallibilità del Papa; questa Chiesa, presente soprattutto in Francia e in Olanda, si è progressivamente “protestantizzata”.
Di Monsignor Lefèvre si è già scritto molto: tuttavia, per quanto viga il motto “De Lefèvre nuncam satis”, ci asteniamo dal trattarne in questa sede.
Muller appartiene alla categoria degli scismatici indecisi, la cui divisa potrebbe essere “vorrei, ma non posso”.
Il suo tentativo, minacciato, abortito o – più probabilmente – progettato e mantenuto per ora in naftalina, assomiglia alle scissioni di destra della Democrazia Cristiana, annunciate ad ogni piè sospinto a partire dal primo Centro – Sinistra, ma mai consumate.
Si rincorrevano tuttavia voci le più fantasiose, in cui figuravano sempre i misteriosi “Cavalieri di Colombo”, pronti – secondo certa stampa – ad inondare di dollari i fuoriusciti: i quali però mai divennero tali, semplicemente perché lo “Zio Sam” non aveva nessun interesse ad indebolire il Partito di maggioranza.
Ricordiamo però narrazioni di misteriosi viaggi a Roma dei gerarchi scelbiani, di cene luculliane offerte a chi si dichiarava disposto ad imbarcarsi nell’avventura, di visite a innominati “Monsignori del Vaticano”: cui si fa sempre ricorso – naturalmente senza mai nominarli – quando si vogliono propalare delle “bufale”.

Probabilmente, il mancato scismatico Muller è all’affannosa ricerca di denaro, da sperperare in qualche giornaletto o sito elettronico alla Demattei, in stipendi ad addetti stampa tanto fanfaroni e logorroici quanto carenti di professionalità, in convegni “dottrinali” culminanti in lussuosi “catering” come quello organizzato in onore dei Francescani dell’Immacolata antibergogliani.
Questi quattrini, naturalmente, possono anche arrivare: manca però – almeno per ora – lo “endorsement” di una potenza temporale.
Anche il famoso convegno promosso dalla Regione Lombardia, con esibizione di preti di Comunione e Liberazione, di “Cattolici Padani” (che in quanto lefevriani sono comunque già fuoriusciti dal Cattolicesimo) e dell’immancabile Professor Introvigne, non ha fino ad ora prodotto quella Chiesa autocefala, antiromana nella duplice accezione di contraria al Governo ed opposta all’attuale Pontificato, che era stata minacciosamente prospettata.
La migliore risposta, a questo tipi di scismatici, è il classico “Prego, si accomodi”: sarebbe opportuno, come si dice nel gergo dei giocatori, “vedere il bluff”.
Ciò non vuole però dire che in prospettiva questi personaggi siano privi di “chances”: le loro sorti si legano alla recrudescenza estrema dei movimenti xenofobi, che – in una situazione estrema di virtuale guerra civile – potrebbero essere tentati di opporsi apertamente al Papa.
Il tradizionalismo dei famosi “dubia”, l’avversione a Francesco in quanto “modernista” per la questione della Comunione ai divorziati risposati, cui si aggiunge ora la “new entry” della semplificazione delle procedure per dichiarare nullo il matrimonio (di qui le simpatie di certi Avvocati rotali duramente colpiti nel portafoglio), sono soltanto contorno: Marx avrebbe parlato di “sovrastruttura”.

Sarà il conflitto politico europeo a decidere se per i vari Muller c’è un futuro.
Per ora, quello del Cardinale tedesco assomiglia ad un annunzio pubblicitario, che serve solo se ci sono potenziali compratori, se all’offerta corrisponde una domanda adeguata.
Parafrasando gli Americani, “E’ il mercato, bellezza!”.

Mario Castellano

Nella foto: i cardinali Burke, Muller e Sarah