Premio Nobel per la Pace e mons. de Witte schierati al fianco di Lula. L’appello all’Italia: “Pronunciatevi in difesa del popolo brasiliano”

Tra pochi giorni, il 7 ottobre, il popolo brasiliano voterà per le elezioni presidenziali. Potranno scegliere tra una rosa di candidati, ma due di questi sembrano per distacco più favoriti degli altri: il populista ultraconservatore Jair Bolsonaro del Partito Social-Liberale e Fernando Haddad, salito sul trono del Partito dei Lavoratori dopo l’abdicazione di Lula.
Luiz Inácio Lula da Silva, ex presidente e storico leader del PT, è stato infatti costretto a rinunciare alla candidatura che probabilmente lo avrebbe visto emergere vincitore alle elezioni a causa di una manovra attuata dalla magistratura brasiliana, intenzionata a inquinare la democrazia mettendo fuori gioco il “presidente contadino” che per anni ha combattuto per sottrarre il popolo brasiliano alla fame e alla miseria, offrendo loro invece cultura, case e lavoro.
Lula è stato infatti condannato ad aprile a 12 anni per una presunta corruzione mai provata in tribunale, il cui unico fondamento è la testimonianza di un condannato, comprata in cambio di uno sconto sulla pena.  Così è scattata la frode al popolo brasiliano da parte dei capitalisti che temevano le politiche ugualitarie e democratiche di Lula.
La condanna a 12 anni di prigione è stata però utile ai suoi machiavellici avversari per impedirgli di prendere parte alle elezioni, considerato che per la legge brasiliana un condannato non può parteciparvi.
Lula è un martire sull’altare di una nuova colonizzazione che colpisce il Brasile, il cui popolo, orfano del suo ex-presidente, negli ultimi anni ha subito l’incremento di fame e repressione sotto il tacco dello stivale della classe dirigente che ha incastrato Lula.
Il 17 agosto le Nazioni unite hanno esortato il governo brasiliano a concedergli il diritto di candidarsi e di avere libero accesso ai mezzi di comunicazione, ma non solo non gli è stato permesso di essere il leader del PT questo ottobre, ma recentemente gli è stata anche tolta la possibilità di essere intervistato dal carcere di Coritiba, per timore che la sua influenza sul riconoscente popolo brasiliano potesse rafforzare la posizione del successore Haddad contro quella dell’estrema destra di Bolsonaro.
Anche il premio Nobel per la pace 1980, Adolfo Perez Esquivel si è esposto in prima persona facendo appello direttamente all’Italia per dimostrare solidarietà per il colpo mortale inferto in questi mesi alla democrazia brasiliana: “Faccio appello al popolo e al governo italiano per la loro solidarietà ai popoli di fronte alla grave situazione che vive il popolo del Brasile. Chiedo di pronunciarvi per la difesa dei diritti del popolo a vivere in democrazia. Il Brasile”, ha continuato il premio Nobel, “ha subito un colpo di Stato istituzionale che ha deposto senza alcuna ragione la presidente Dilma Rousseff per procedere poi alla detenzione dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva e impedirne la candidatura alle elezioni presidenziali”.
“Lula è un grande costruttore di pace nel mondo e così il mondo lo riconosce. Per questo, con Rigoberta Menchu Tum, anche lei Premio Nobel, lo proponiamo al Nobel per la Pace. Vi ringrazio per tutto quanto potrete fare per il bene del popolo del Brasile e per la libertà di Lula: è un atto di Verità e Giustizia”, ha concluso Esquivel.
Anche la Chiesa cattolica si è pronunciata a favore di Lula, ormai coinvolta in una lotta senza quartieri contro i valori anti-evangelici della destra, non solo in Brasile.
Mons. André de Witte, vescovo della diocesi di Ruy Barbosa (nello Stato di Bahia) e presidente della Commissione Pastorale della Terra CPT, ha scritto la “Lettera al popolo di Dio sulle elezioni 2018” pubblicata sul sito della diocesi il 24 settembre.
Le parole di de Witte hanno scatenato le violente critiche degli adepti di Bolsonaro, punti sul vivo quando il vescovo ha esortato il popolo brasiliano a non votare candidati “che attacchino i diritti umani e difendano l’uso delle armi come soluzione ai problemi sociali”, e neppure quanti “non difendano i valori della vita dalla fecondazione fino alla morte naturale, della famiglia secondo il progetto di Dio, della libertà religiosa, del rispetto, della salute, dell’educazione, del diritto a un tetto e della preservazione dell’ambiente”, che “sono più preoccupati di un buon marketing della loro immagine nella campagna elettorale anziché di presentare proposte per i grandi problemi sociali del Paese”. All’opposto, il vescovo ha consigliato di votare per candidati che “lottano per il riconoscimento dei territori indigeni”, delle comunità “quilombolas” (discendenti di schiavi afrobrasiliani) e degli zingari, e “che si impegnano per la riforma agraria, per l’edilizia popolare e per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici”.

 

 

Cristiano Morsolin