Rohingya. Amnesty accusa il Myanmar, Bruxelles prepara le sanzioni. La Caritas del Bangladesh impeganata a soccorrere

Alla luce «dell’uso sproporzionato della forza da parte delle forze di sicurezza» del Myanmar nello stato di Rakhine, l’Ue ha deciso di rivedere tutta la cooperazione pratica in materia di difesa con le autorità del paese del sudest asiatico. Lo ha stabilito ieri il Consiglio affari esteri dell’Unione europea, riunito a Lussemburgo. Inoltre, sono stati sospesi gli inviti a visitare l’Ue al comandante in capo delle forze armate di Naypyidaw e ad altri alti ufficiali. Con queste decisioni, il Consiglio ha approvato le conclusioni relative alla grave situazione nello stato di Rakhine, ai confini con il Bangladesh, teatro di quella che è stata descritta dall’Onu come una «pulizia etnica» c contro la minoranza musulmana dei rohingya.

Se la situazione non dovesse migliorare, Bruxelles è pronta a misure addizionali. L’Ue ha poi sollecitato il Myanmar a intavolare un dialogo con il Bangladesh, che ha accolto molti rohingya, per trovare soluzioni condivise per il rimpatrio dei rifugiati nei loro luoghi di origine». Intanto Amnesty International in un rapporto accusa le forze di sicurezza birmane di aver ucciso centinaia di persone nell’ambito di una campagna sistematica per espellere dal paese la minoranza musulmana dei Rohingya. Amnesty ha intervistato 120 Rohingya fuggiti alle violenze. Le centinaia di uccisi sono uomini, donne e bambini. Nella relazione si fa anche un appello per un embargo alle armi in Birmania e per il perseguimento dei responsabili del massacro che ha visto anziani,bimbi e disabili uccisi.

La Caritas del Bangladesh ha ottenuto il permesso dalle autorità di Dhaka per portare aiuti e sfamare i profughi musulmani rohingya rifugiati nel sud del Paese. «Con il sostegno di Caritas Internationalis — ha spiegato monsignor Gervas Rozario, vescovo di Rajshahi e presidente dell’ente caritativo in Bangladesh — abbiamo iniziato a distribuire cibo a settantamila persone e continueremo per i prossimi due mesi».
Nelle ultime settimane sul suolo bengalese sono entrate oltre cinquecentoventimila persone provenienti dal Myanmar. Scappano dalle violenze perpetrate dalle parti in conflitto. Tra di loro, non solo musulmani, ma anche tanti indù. Il governo bengalese, dopo aver aperto le frontiere, ha però sottolineato che gli sfollati resteranno nel paese solo fino al termine dell’emergenza, e in seguito dovranno fare ritorno ai luoghi d’origine.

Il vescovo Rozario ha riferito all’agenzia AsiaNews che i volontari di Caritas Bangladesh stanno collaborando con i funzionari del World Food Programme. Questi ultimi sono impegnati nella distribuzione capillare di riso, mentre l’organizzazione caritativa cattolica distribuisce legumi, zucchero, sale e olio. Inoltre, ogni giorno prepara pasti caldi per oltre diecimila famiglie, per un totale di quasi settantamila persone.
Così come aveva fatto qualche settimana fa il cardinale Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka, anche monsignor Rozario, che è vicepresidente della Conferenza episcopale del Bangladesh, ha visitato nei giorni scorsi altri campi profughi, come quello di Ukhiya, nel distretto di Cox’s Bazar.

«La loro situazione è veramente terribile — ha detto il presule — in particolare per quanto riguarda donne, bambini e anziani, i più vulnerabili. Hanno bisogno di cibo, beni di prima necessità, prodotti per l’igiene, luoghi in cui ripararsi, medicine». Tanti hanno visto parenti e amici uccisi davanti ai loro occhi e non riescono a dimenticare l’orrore di quelle violenze. Come Sukina Begum, 35 anni, che ha assistito all’uccisione del suocero e sottolinea la sua gratitudine «alla Caritas per il sostegno che ci sta dando».
Secondo monsignor Rozario, per risolvere questa grave e drammatica crisi umanitaria nel più breve tempo possibile è necessario che il governo del Myanmar e quello del Bangladesh dialoghino. «Per stabilire la pace — ha detto il presule — c’è bisogno di democrazia. Solo la democrazia è la porta per la pace».
In questi mesi il Bangladesh ha dimostrato in varie circostanze la propria solidarietà e vicinanza alla popolazione rohingya. Un esempio lampante è dato anche dall’adesione alla campagna «Share the journey» (Condividiamo il viaggio) promossa da Caritas Internationalis e lanciata ufficialmente da Papa Francesco.

«Siamo tutti migranti — ha ricordato monsignor Shorot Francis Gomes, vescovo ausiliare di Dhaka — nel senso che siamo stati mandati dal nostro Padre Celeste su questa terra. Non saremo uniti con il popolo migrante fino a quando non capiremo questa verità».
La campagna «Condividiamo il viaggio» nasce con «l’obiettivo di promuovere la “cultura dell’incontro” nelle comunità da cui i migranti partono o ritornano, in quelle in cui transitano e in quelle in cui scelgono di stabilire le loro case». Il vescovo di Dhaka, che è anche membro del Consiglio generale di Caritas Bangladesh, ha ricordato l’appello di Papa Francesco a «rimanere uniti nell’accogliere, proteggere, promuovere e integrare le persone costrette a lasciare le proprie case e a cercarne di nuove in mezzo a noi». La campagna si svolgerà fino al 2019, con più di centosessanta membri della Caritas che in tutto il mondo sponsorizzeranno eventi e opportunità a favore dei migranti e dei membri delle comunità ospitanti per incontrarsi e condividere le proprie storie.

Fonte: l’Osservatore Romano