Salvini procede sicuro sulle orme di Mussolini. E i veri leghisti non gradiscono (di M. Castellano)

Oggi, nella “storica” sede milanese di via Bellerio, si celebra il “Congresso Federale” della Lega, giunta ormai al suo terzo cambiamento di denominazione.
Tutti questi “alias”, oltre che testimoniare l’ inopinata transizione dal separatismo al centralismo, sono notoriamente in funzione degli artifici contabili grazie ai quali il “Capitano” ha fatto sparire i famosi quarantanove milioni di Euro.
L’uomo ama vestire l’uniforme delle Guardie, ma risulterebbe ben più appropriato se vestisse l’abito dei ladri.

Ci fu un tempo in cui i Congressi dei vari Partiti erano ospitati da debordanti Palazzi dello Sport. Ora, per albergare quello della Lega, non c’è neanche bisogno del più modesto salone parrocchiale: basta ed avanza la sala delle riunioni del suo covo, dato che l’affluenza pare sia limitata a ventidue rappresentanti “Nazionali”, termine con cui nel linguaggio di questa forza politica si designano quelli regionali.
Per giunta, la maggior parte dei convenuti saranno dei Commissari nominati dallo stesso Salvini nella sua qualità di Segretario “Federale”: non vi sarà dunque nessuna “suspence”, e l’esito dell’Assise risulta talmente scontato che sarebbe bastata una teleconferenza; oppure – mutuando tale metodo dall’alleato “pentastellatto” – una raccolta di ventidue “clic”.
Casaleggio, d’altronde, non ne ha collezionati molti di più.
Il “Soviet Supremo” finì, nel momento del crollo del comunismo, con un semplice cambiamento di targa sul portone.

Salvini ritiene invece necessario procedere ad una sorta di bicchierata di congedo, ma a Milano si dice più verosimilmente – per designare simili convegni – “on funeral de terza class”.
Gli epifenomeni politici di questo burocratico rilascio di un certificato di morte vanno ricercati altrove, al di fuori del palazzo del Potere posto alla periferia di Milano, nei pressi della “Tangenziale”: termine che ricorda sinistramente le tangenti.
La Lega, tanto nella nostra provincia di Imperia quanto un poco in tutti i territori dell’Italia Settentrionale, ha sempre avuto due anime, come successe a suo tempo con il “Partito Nazionale Fascista” e poi con la Democrazia Cristiana.
C’è qualcuno che le definisce ancora, ricorrendo ai vecchi schemi – ed anzi, come avrebbe detto il compianto Professor Preve – alle vecchie “dicotomie” – “di Destra” e “di Sinistra”.
Risulterebbe invece più corretto, oltre che più rispondente alla realtà, parlare di un Partito “di regime” e di un Partito “di movimento”.
La prevalenza dell’uno sull’altro non sarebbe stata infatti originata dal fatto che il potere tende sempre alla conservazione, quanto da un’altra e diversa circostanza: il movimento, ad un certo punto, quando cessano gli inevitabili assestamenti, viene a cessare, e gli subentra l’immobilità, o meglio l’immobilismo.

Le ricerche storiche più approfondite hanno accertato come il Partito fondato nel 1919 a piazzale San Sepolcro da Benito Mussolini, denominato in origine dei “Fasci di Combattimento”, abbia mantenuto le proprie originali caratteristiche di Sinistra fino al 1921, cioè per circa due anni, le proprie originarie caratteristiche di Sinistra: in questo lasso di tempo esso non entrò in conflitto diretto, quanto piuttosto in concorrenza, con i Socialisti.
La rottura consumata tra l’agitatore di Predappio ed i dirigenti di questa forza politica non era d’altronde avvenuta, nel 1914, sugli obiettivi strategici da perseguire.
Mussolini riteneva che la guerra – ed in particolare l’intervento dell’Italia – li avrebbero avvicinati.
Non vi è d’altronde alcun dubbio sul fatto che egli avesse ragione.
Ci sia permesso, a questo punto, ricorrere all’aneddotica tramandata dalle nostre memorie familiari e cittadine.

Quando il futuro “Duce” venne ad abitare, nel 1908, qui ad Oneglia, assunse subito la guida dei Socialisti locali.
Esattamente l’anno prima, nel 1907, la prospettiva di una guerra europea si era trasformata in certezza, con l’adesione della Russia alla “Entente Cordiale”, stipulata tra Francia e Gran Bretagna nel 1904.
Mussolini era solito parlare ai compagni del prossimo conflitto in modo quasi ossessivo, affermando al riguardo due concetti, uno dei quali riferito alla grande politica, e l’altro alle sue personali ambizioni.
Quella che ormai si annunziava sarebbe stata la prima guerra totale, decisa dalla produzione industriale, e dunque dalle masse mobilitate tanto sul fronte quanto nelle fabbriche.
Ciò avrebbe reso inevitabile, ed anzi automatica, la loro inclusione nello Stato, determinando di conseguenza una occasione rivoluzionaria.
Nel 1915, l’Internazionale Socialista si riunì a Zimmerwald, in Svizzera, dove la proposta formulata dal rappresentante del Partito russo, Vladimiro Ilc Ulianov, mirante a trasformare il conflitto in guerra civile, venne respinta da tutti gli altri delegati.

Mussolini aveva compiuto fin dall’anno prima una scelta che non corrispondeva con quella dei Socialisti francesi e tedeschi, pronti ad aderire alla cosiddetta “Union Sacrée” nel nome dei rispettivi “sacri Interessi” nazionali, né con quella propria dei Socialisti italiani, sintetizzata nella consegna “né Aderire, né sabotare”, formulata da Filippo Turati.
L’interventismo del rivoluzionario romagnolo risultava certamente machiavellico: l’intervento nella guerra era da lui considerato necessario per provocare l’occasione rivoluzionaria, e poi per approfittarne.
Risultava viceversa logico che il Partito Socialista, vedendo nel conflitto la realizzazione suprema e più sanguinosa degli interessi del nemico di classe, assumesse una posizione neutralista.
Dopo la guerra, non c’era più posto per Mussolini nella Sinistra “ufficiale”, ed egli costituì dunque un Partito personale, che tuttavia rifletteva nel proprio programma tutti i principi e gli obiettivi programmatici del massimalismo: socializzazione dei mezzi di produzione, Repubblica ed anticlericalismo.
Si è già detto che Mussolini non si discostò da questi obiettivi fino al 1921.

Nel corso di quell’anno, si ripeté però la stessa situazione che lo aveva indotto nel 1914 a rompere con il Partito Socialista per dedicarsi alla propaganda interventista: il futuro “Duce” trovò dei finanziatori, che gli proposero questa volta di usare il suo Partito come strumento militare in una sorta di guerra civile strisciante contro la Sinistra.
Non è certamente questa la sede idonea per ricostruire la storia del fascismo, ma si può prendere in considerazione un dato: il programma detto “sansepolcrista” non venne mai formalmente abrogato.
Non mancò naturalmente chi – avendone constatato il sostanziale rinnegamento – uscì dal Partito.
Ci fu viceversa chi – rifacendosi alla sua formale vigenza – vi rimase, o addirittura vi ader^: si veda il caso dell’ex socialista ed e fondatore del Partito Comunista Nicola Bombacci, vi aderì.
Non vi è tuttavia alcun dubbio sul fatto che Mussolini fece esattamente il contrario di quanto aveva promesso al proprio esordio quale capo dei “Fasci di Combattimento”.
Nella Democrazia Cristiana c’era fin dall’inizio una componente – quella della Sinistra detta “dossettiana” – orientata ad una opposizione radicale al capitalismo.

Fanfani, che in gioventù aveva aderito al fascismo nel nome del corporativismo, inteso come una sorta di socialismo, dal momento che postulava qualche forma di controllo operaio sui mezzi di produzione, fu vicino a questa corrente.
Essa venne però combattuta dalla Destra interna al Partito facendo ricorso ad una falsificazione: Dossetti venne accusato di essere un confessionalista.
In realtà, sarebbe stata proprio la componente più reazionaria della Democrazia Cristiana ad imporre il referendum sul divorzio, che segnò l’inizio del suo inesorabile declino.

Dossetti venne tacciato di essere un confessionalista in quanto il suo programma, di orientamento dichiaratamente socialista, si ispirava ad una interpretazione tanto radicale quanto sostanzialmente corretta della Dottrina Sociale della Chiesa.
Liquidato Dossetti, costretto a farsi Sacerdote e a ritirarsi nell’eremo appenninico di Monte Sole, la deriva destrorsa del Partito non ebbe più freno.
Se la Sinistra interna riuscì a sopravvivere, fu grazie al fatto che essa trovò una sponda nella Sinistra socialista e comunista.
Quando Beringuer, mal consigliato da cattolici dichiaratamente confessionalisti come Rodano e Cardia, la privò di questo appoggio, si posero le condizioni perché più tardi Berlusconi rifacesse una Democrazia Cristiana epurata della sua componente popolare e progressista.
Il fascismo aveva finito per costituirsi quale regime reazionario, e quello democristiano fece la stessa fine.
Abbiamo già affermato molte volte che Salvini ha tradito l’indipendentismo e l’autonomismo delle origini per divenire “l’Uomo Forte” di un nuovo regime centralista e autoritario.
Anche nel suo caso, qualche dissidenza si è manifestata.
I fascisti detti “dissidenti” vennero mandati al confino.
Di Don Giuseppe Dossetti si è detto.
Ora si stanno moltiplicando le espulsioni e le dimissioni dalla Lega.

Nei giorni scorsi, i fuoriusciti hanno fondato a Milano un nuovo Partito, denominato “Grande Nord”, che rivendica il ritorno all’ideale indipendentista delle origini.
Qui, in provincia di Imperia, dopo l’ondata di provvedimenti disciplinari comminati senza rispettare lo Statuto, dopo le minacce a Marco Siccardi – con relativa esibizione del più squallido e volgare antisemitismo ad opera del noto “uomo delle Caverne” di Sanremo – è ora la volta dell’uscita dal Partito dell’assessore di Diano Marina Luigi Basso.
Pare che anche il Sindaco Chiappori, già stretto collaboratore di Umberto Bossi e primo esploratore della Lega nel Meridione (si era avventurato, con sprezzo del pericolo, fino in Sicilia quando ancora lo slogan più in uso era “Forza Etna”), sia in procinto di seguirlo.

Il fenomeno presenta caratteristiche diverse rispetto alla dissidenza fascista, se non altro perché si manifesta quando il nuovo regime è ancora in fase di consolidamento.
Nelle anteriori fasi storiche cui abbiamo fatto riferimento, chi dissentiva con le caratteristiche assunta dal nuovo sistema di governo, poteva soltanto esprimere la propria testimonianza.
La situazione interna ed internazionale favoriva infatti un assestamento nella conservazione.
Oggi, invece, Salvini ha un punto debole, che i suoi gravi limiti culturali e la sua illimitata autostima gli impediscono di cogliere.

Il “Capitano” sta giocando la carta del centralismo e dell’autoritarismo fondando ambedue queste scelte sul riferimento all’identità nazionale italiana.
Tralasciamo il discorso, fin troppo ovvio, sulla sua sfacciata incoerenza.
Quanto conta é che l’uomo non si sia reso conto del fatto che in Europa Occidentale l’dentità prevalente non è né quella nazionale, né quella religiosa, rispettivamente proprie dell’Europa Orientale e degli altri Continenti.
I Paesi aderenti al cosiddetto “Gruppo di Visegrad” sono tutti etnicamente omogenei, mentre l’appello al confessionalismo può andar bene “in partibus infidelium”: non riusciamo proprio a vedere Salvini nei panni dell’Ayatollah Khomeini.

Da noi, la fede ha perso da tempo la sua dimensione sociale.
Brandire i simboli religiosi può costituire uno strumento propagandistico efficace, ma non lo si può impiegare nel lungo periodo come “instrumentum regni”.
Nella sua “ubris” – o nella sua “suranchère” – Salvini si crede in grado di tradire impunemente gli interessi del Settentrione, gioca con Di Maio a fare il “poliziotto cattivo” ed il “poliziotto buono”, ma entrambi si oppongono alle istanze espresse dal Nord, lo “steward” nel nome della sua demagogia meridionalista, il “Capitano” nel nome della contrapposizione alla Francia, considerata come fonte di infezione “giacobina” e laicista.
Salvini sogna – come già Mussolini i “cannoni a Ventimiglia”.
Sappiamo bene come è finita, e speriamo che questa volta non cominci nemmeno: un Nord – Ovest rinchiuso dentro il confine alpino risulta tanto anacronistico dal punto di vista economico quanto frustrato nelle proprie istanze autonomistiche.
La “Polizia Politica” del “Capitano” è venuta fino a Nizza per fotografarci.
Qualcuno, evidentemente avvertito della trappola, si è tenuto prudentemente alla larga dalla manifestazione “dei Sindaci”.
Nel nostro caso, si poteva risparmiare la spesa, dato che l’elettronica permette di leggere gratuiamente tutto quanto scriviamo.
Il risultato di tutto ciò è che aumenta il numero di quanti rifiutano di allinearsi dietro a Rixi e a Sonia Viale.
Ci ricordiamo bene di quando l’invasata di Bordighera incaricava faceva compilare le liste di proscrizione in base a criteri “etnici” dal titolare del ristorante preferito dai Leghisti: ora prevale invece il criterio “ideologico”.
Il suo delirio totalitario la induce però ad epurare gli stessi ex compagni di Partito.
Non a caso, la fiduciaria di Maroni proviene dalle fila della Destra monarchica, e dunque si trova perfettamente in sintonia con il centralismo di Salvini.
C’è tuttavia, per fortuna, chi non è d’accordo: la palla di neve può diventare valanga.

Mario Castellano