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Santa Sede: no a “egoismo miope, elaborare nuove forme di economia e finanza”

“Nessuno spazio in cui l’uomo agisce può legittimamente reclamare di essere estraneo, o di rimanere impermeabile, ad un’etica fondata sulla libertà, sulla giustizia e sulla solidarietà”. È il presupposto del nuovo documento della Congregazione per la dottrina della fede e del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, “Oeconomicae et pecuniariae questiones”, diffuso oggi. “La recente crisi finanziaria – l’analisi contenuta nel testo riportata dal Sir – poteva essere l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria, neutralizzandone gli aspetti predatori e speculativi e valorizzandone il servizio all’economia reale”.

Invece, nonostante i “molti sforzi positivi, a vari livelli, non c’è stata una reazione che abbia portato a risanare quei criteri obsoleti che continuano a governare il mondo”. Anzi, secondo la Santa Sede “pare ritornare in auge un egoismo miope e limitato al corto termine che, prescindendo dal bene comune, esclude dai suoi orizzonti la preoccupazione non solo di creare ma anche di diffondere ricchezza e di eliminare le disuguaglianze, oggi così pronunciate”. “È in gioco l’autentico benessere della maggior parte degli uomini e delle donne del nostro pianeta, i quali rischiano di essere confinati in modo crescente sempre più ai margini, se non di essere esclusi s scartati”.

Di qui la necessità di prendere coscienza che, senza tener conto delle “esigenze della verità e del bene, ogni sistema sociale, politico ed economico è destinato alla lunga al fallimento e all’implosione”. “L’egoismo alla fine non paga e fa pagare a tutti un prezzo troppo alto”, la tesi dei due dicasteri vaticani: spetta, allora, “agli operatori competenti e responsabili elaborare nuove forme di economia e finanza, le cui prassi e regole siano rivolte al progresso del bene comune e rispettose della dignità umana, nel sicuro solco offerto dall’insegnamento sociale della Chiesa”.

“Nessun profitto è legittimo quando vengono meno l’orizzonte della promozione integrale della persona umana, della destinazione universale dei beni e dell’opzione preferenziale per i poveri. Ogni progresso del sistema economico – si legge nel testo – non può considerarsi tale se misurato solo su parametri di quantità e di efficacia nel produrre profitto, ma va commisurato anche sulla base della qualità della vita che produce e dell’estensione sociale del benessere che diffonde, un benessere che non si può limitare ai suoi aspetti materiali”.

Il benessere, perciò, “va valutato con criteri ben più api della produzione interna lorda di un Paese (Pil), tenendo invece conto anche di altri parametri, quali ad esempio la sicurezza, la salute, la crescita del ‘capitale umano’, la qualità della vita sociale e del lavoro. E il profitto va sempre perseguito ma mai ‘ad ogni costo’, né come referente totalizzante dell’azione economico”. Di qui l’importanza di “parametri umanizzanti” alla cui base c’è la gratuità, cioè la capacità di instaurare “un circolo virtuoso fra profitto e solidarietà che, grazie al libero agire dell’uomo, può sprigionare tutte le potenzialità positive dei mercati”.

Sì alla “sana libertà di iniziativa”, no a “forme di oligarchia che alla fine nuocciono alla stessa efficienza del sistema economico”, si legge ancora nel documento, in cui si stigmatizza il “crescente e pervasivo potere di importanti agenti e grandi networks economico-finanziari”, a causa dei quali “coloro che sarebbero deputati all’esercizio del potere politico, spesso disorientati e resi impotenti dalla sovranazionalità di quegli agenti e dalla volatilità dei capitali da questi gestiti, faticano nel rispondere alla loro originaria vocazione di servitori del bene comuni”.

Per questo è “quanto mai urgente una rinnovata alleanza, fra agenti economici e politici, nella promozione di ciò che serve al compiuto sviluppo di ciascuna persona umana e della società tutta, coniugando nel contempo le esigenze della solidarietà con quelle della sussidiarietà”. I mercato non sono in grado di “regolarsi da sé”, la denuncia: “Oggi l’industria finanziaria, a causa della sua pervasività e della sua inevitabile capacità di condizionare e – in un certo senso – di dominare l’economia reale, è un luogo dove gli egoismo e le sopraffazioni hanno un potenziale di dannosità della collettività che ha pochi eguali”. Tra le pratiche stigmatizzate nel documento, i “casi di immoralità prossima, occasioni in cui molto facilmente si generano abusi e raggiri, specie ai danni della controparte meno avvantaggiata”.

“Anche il denaro è di per sé uno strumento buono”, ma “può però ritorcersi facilmente contro l’uomo”. Nel documento si mette in guardia dalla “cattiva finanziarizzazione dell’economia”, che fa sì che “la ricchezza virtuale, concentrandosi soprattutto in transazioni caratterizzate dal mero intento speculativo ed in negoziazioni ad alta frequenza, attiri a sé eccessive quantità di capitali, sottraendoli in tal modo ai circuiti virtuosi dell’economia reale”.

“La rendita da capitale insidia ormai da vicino, e rischia di soppiantare, il reddito da lavoro, spesso confinato ai margini dei principali interessi del sistema economico”, il grido d’allarme contenuto nel documento vaticano: “Ne consegue il fatto che il lavoro stesso, con la sua dignità, non solo divenga una realtà sempre più a rischio, ma perda altresì la sua qualifica di ‘bene’ per l’uomo, trasformandosi in un mero mezzo di scambio all’interno di relazioni sociali rese asimmetriche”. In questo modo, “trova un fertile terreno quella spregiudicata ed amorale ‘cultura dello scarto’ che ha emarginato grandi masse di popolazione, privandole di un lavoro degno e rendendole così senza prospettive e senza vie di uscita: gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’”.

In positivo, la Santa Sede mette in evidenza la “insostituibile funzione sociale del credito, la cui prestazione incombe in primo luogo ad abilitati ed affidabili intermediatori finanziari”. “Applicare tassi d’interesse eccessivamente elevati, di fatto non sostenibili dai soggetti prenditori di fondi, rappresenta un’operazione non solo illegittima sotto il profilo etico ma anche disfunzionale alla sanità del sistema economico”, si legge ancora nel testo, in cui si ricorda che “da sempre, simili pratiche, nonché comportamenti di fatto usurari, sono stati avvertiti dalla coscienza umana come iniqui e dal sistema economico come avversi al suo buon funzionamento”.

L’obiettivo deve essere invece quello di “generare una circolarità virtuosa di ricchezza”, promuovendo pratiche “assai positive” come “il credito cooperativo, il microcredito, il credito pubblico a servizio delle famiglie, delle imprese, delle comunità locali e il credito di aiuto ai Paesi in via di sviluppo”. Oggi, al contrario, “l’intento speculativo, specie in ambito economico-finanziario, rischia  di soppiantare tutti gli altri principali intenti che sostanziano l’umana libertà”. Parole quali “efficienza”, “competizione”, “leadership”, “merito”, tendono ad “occupare tutto lo spazio della nostra cultura civile”: serve, invece, “una riscossa dell’umano, per riaprire gli orizzonti a quell’eccedenza di valori che sola permette all’uomo di ritrovare sé stesso, di costruire società che siano dimore ospitali ed inclusive, in cui vi è spazio per i più deboli e in cui la ricchezza viene utilizzata anche a vantaggio di tutti. Insomma, luoghi in cui per l’uomo è bello vivere ed è facile sperare”.

“Introdurre una certificazione da parte dell’autorità pubblica nei confronti di tutti i prodotti che provengono dall’innovazione finanziaria, allo scopo di preservare la sanità del sistema e prevenire effetti collaterali negativi”. Favorire la sanità ed evitare l’inquinamento, anche dal punto di vista economico”, per la Santa Sede “è un imperativo morale ineludibile per tutti gli attori impegnati nei mercati”: di qui l’urgenza di “un coordinamento sovra-nazionale fra le diverse architetture dei sistemi finanziari locali”, in modo da costituire una sorta di “biodiversità economica e finanziaria”.

“Poteri politici e poteri economico-finanziari devono sempre rimanere distinti ed autonomi e nello stesso tempo essere finalizzati, al di là di ogni nociva continuità, alla realizzazione di un bene che è tendenzialmente comune e non riservato solo a pochi e privilegiati soggetti”, la ricetta del documento, in cui si pronuncia un “no” deciso a “condotte immorali di esponenti del mondo finanziario” e si invoca la necessità di “garantire un serio controllo dell’affidabilità e della qualità di tutti i prodotto economico-finanziari, specialmente quelli più strutturati”.

All’interno della globalizzazione del sistema finanziario, l’altra proposta della Santa Sede, è auspicabile la costituzione di “un coordinamento stabile, chiaro ed efficace, fra le varie autorità nazionali di regolazione dei mercati”, le cui attività siano “indipendenti e vincolate alle esigenze dell’equità e del bene comune”.

La “responsabilità sociale dell’impresa” va esercitata “sia ad extra che ad intra” dell’azienda. Nel documento si fa notare che i “grandi guadagni” di manager e azionisti “finiscono per spingere a prese di rischio eccessive e per lasciare le imprese debilitate e depauperate di quelle energie economiche che avrebbero loro assicurato adeguate prospettive per il futuro”. Così, si diffonde facilmente “una cultura profondamente amorale” che “inquina gravemente la sanità di ogni sistema economico-sociale”. È urgente “una sincera autocritica”, l’invito del testo, ed una “inversione di tendenza” che favorisca “una cultura aziendale e finanziaria che tenga conto di tutti quei fattori che costituiscono il bene comune”.

Per quanto riguarda le banche, la proposta della Santa Sede è l’istituzione di Comitati etici “da affiancare” ai Consigli di amministrazione, in modo di aiutare non solo le banche “a preservare i loro bilanci dalle conseguenze di sofferenze e perdite”, ma anche “a sostenere adeguatamente l’economia reale”. L’altro auspicio è quello di “una pubblica regolazione e valutazione super partes dell’operato delle agenzie di rating del credito, con strumenti giuridici che consentano, da una parte, di sanzionarne le azioni distorte e, dall’altra, di impedire il crearsi di situazioni di pericoloso oligopolio da parte di alcune di esse”.

Sono i derivati che “hanno favorito il sorgere di bolle speculative, le quali sono state importanti concause della recente crisi finanziaria”. Nel documento vaticano si definiscono alcuni derivati come “ordigni ad orologeria pronti a deflagare prima o poi la loro inattendibilità economica e ad intossicare la sanità dei mercati”. Sotto accusa anche i “credit default swap” (Cds), il cui mercato, “alla vigilia della crisi finanziaria del 2007, era così imponente da rappresentare all’incirca l’equivalente dell’intero Pil mondiale”.

“Il diffondersi senza adeguati limiti di tale tipo di contratti – si legge nel testo – ha favorito il crescere di una finanza dell’azzardo e della scommessa sul fallimento altrui, che rappresenta una fattispecie inaccettabile dal punto di vista etico”, poiché “chi agisce lo fa in vista di una sorta di cannibalismo economico” e “finisce per minare quella necessaria fiducia di base senza cui il circuito economico finirebbe per bloccarsi”. “Quando da simili scommesse possono derivare ingenti danni per interi Paesi e milioni di famiglie, si è di fronte ad azioni estremamente immorali ed appare quindi opportuno estendere i divieti, già presenti in alcuni Paesi, per tale tipologia di operatività, sanzionando con la massima severità tali infrazioni”, la proposta della Santa Sede.

“Non è più possibile ignorare fenomeni quali il diffondersi nel mondo di sistemi bancari collaterali (Shadow banking system), i quali, benché comprendano al loro interno anche tipologie di intermediari la cui operatività non appare immediatamente critica, di fatto hanno determinato una perdita di controllo sul sistema da parte di varie autorità di vigilanza nazionali e quindi, di fatto, hanno favorito in modo sconsiderato l’uso della cosiddetta finanza creativa, nella quale il motivo principale dell’investimento di risorse finanziarie è soprattutto di carattere speculativo, se non predatorio, e non un servizio all’economia reale”. Nel documento si fa notare che l’esistenza di tali sistemi “ombra” sia stata “una delle principali concause che hanno favorito lo sviluppo e la diffusione globale della recente crisi economico-finanziaria, iniziatasi in Usa con quella dei mutui subprime nell’estate del 2007”.

“Proprio di tale intento speculativo si nutre inoltre il mondo della finanza offshore, che, pur offrendo anche altri leciti servizi, mediante gli assai diffusi canali dell’elusione fiscale – quando non addirittura dell’evasione e del riciclaggio di denaro frutto di reati – costituisce un ulteriore impoverimento del normale sistema di produzione e distribuzione di beni e di servizi”, prosegue il documento definendo priva di ogni legittimazione tale pratica, “sia dal punto di vista dell’efficienza globale dello stesso sistema economico”, in quanto ha dato luogo “ad una vera e propria rete finanziaria, alternativa al sistema finanziario ufficiale”.

“Oggi più della metà del commercio mondiale viene effettuato da grandi soggetti che abbattono il proprio carico fiscale spostando i ricavi da una sede all’altra, a seconda di quanto loro convenga, trasferendo i profitti nei paradisi fiscali e i costi nei Paesi ad elevata imposizione tributaria”, la denuncia, e tutto ciò “ha sottratto risorse decisive all’economia reale e contribuito a generare sistemi economici fondati sulla disuguaglianza”. Senza contare che quelle sedi offshore, in più occasioni, “sono divenute luoghi abituali per il riciclaggio di denaro ‘sporco’, vale a dire frutto di proventi illeciti: furti, frodi, corruzioni, associazioni a delinquere, mafia, bottini di guerra”.

“È stato calcolato che basterebbe una minima tassa sulle transazioni compiute offshore per risolvere buona parte del problema della fame nel mondo: perché non intraprendere con coraggio la via di una simile iniziativa?”, la proposta provocatoria. Perfino il debito pubblico, spesso, è anche generato “da una malaccorta – quando non dolosa – gestione del sistema amministrativo pubblico”: “Tale debito, vale a dire l’insieme delle passività finanziarie che pesa sugli Stati, rappresenta oggi uno dei maggiori ostacoli al buon funzionamento ed alla crescita delle varie economie nazionali”.

“I mercati vivono grazie alla domanda ed all’offerta di beni”, e “ciascuno di noi può influire in modo decisivo almeno nel dar forma a quella domanda”. È l’appello con cui si conclude il nuovo documento della Santa Sede su economia e finanza, nel quale si definisce “quanto mai importante un esercizio critico e responsabile del consumo e dei risparmi”. “Fare la spesa, impegno quotidiano con cui ci dotiamo anzitutto del necessario per vivere, è altresì una forma di scelta che operiamo fra i vari prodotti che il mercato offre”, si ricorda nel testo: “È una scelta con cui optiamo sovente in modo non consapevole per beni la cui produzione avviene magari attraverso filiere in cui è normale la violazione dei più elementari diritti umani o grazie all’opera di aziende la cui etica di fatto non conosce altri interessi al di fuori di quelli del profitto ad ogni costo dei loro azionisti”.

Di qui la necessità di “orientarci alla scelta di quei beni alle cui spalle sta un percorso degno dal punto di vista etico, poiché anche attraverso il gesto, apparentemente banale, del consumo noi esprimiamo nei fatti un’etica e siamo chiamati a prendere posizione di fronte a ciò che giova o nuoce all’uomo concreto”. È quello che si definisce “voto col portafoglio”: si tratta, infatti, di “votare quotidianamente nei mercati a favore di ciò che aiuta il benessere reale di noi tutti e di rigettare ciò che ad esso nuoce”. Altro capitolo importante, la gestione dei propri risparmi, che vanno indirizzati  “verso quelle aziende che operano con chiari criteri, ispirati ad un’etica rispettosa di tutto l’uomo e di tutti gli uomini ed in un orizzonte di responsabilità sociale”.

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