Scalfari. Monsignor Paglia e Papa Francesco: il significato dell’io e del noi (di M. Castellano)

Eugenio Scalfari e Monsignor Vincenzo Paglia hanno fatto amicizia, il che molto ci rallegra, essendo tale legame – come quello intrecciato tra il Direttore de “La Repubblica” ed il Papa – foriero di concordia civile tra i nostri connazionali.

Includiamo tra i concittadini – anche se non è tale in senso giuridico – anche Padre Bergoglio S. J., il quale anzi offre la migliore dimostrazione vivente di come gli Italiani diasporici, avendo assimilato i temi e gli orientamenti propri di altre culture, in cui si sono radicati per adozione, si reinseriscono felicemente ed efficacemente nel dibattito culturale della Madre Patria.

Quello specifico instaurato tra il Vescovo di Roma e Scalfari verte su temi di carattere eminentemente filosofico, per cui non ci addentriamo in un commento, non possedendo la necessaria qualificazione accademica.

Vorremmo piuttosto dedicarci ad illustrare un aspetto della sensibilità specifica recata nella discussione da Bergoglio, essendo Pontefice colui al quale Scalfari – sia pure attraverso l’autorevole schermo di Monsignor Paglia – si rivolge.

La scuola cui appartengono gli intellettuali dell’America Latina è quella stessa dell’Illuminismo, cui appartiene Scalfari, come pure appartennero i suoi “maggiori”, come dice Padre Dante, cioè i grandi spiriti a cui egli dichiaratamente si ispira: una corrente di pensiero che dall’Illuminismo italiano, espresso dalle due grandi scuole di Milano (Beccaria e Verri) e di Napoli (Genovesi, Giannone e Filangieri), attraverso il Risorgimento, (più con Cattaneo che con Mazzini) giunge fino alla liberaldemocrazia di Gobetti e dei Fratelli Rosselli, per citare soltanto i nomi più famosi.

A queste ascendenze familiari (un antenato di Scalfari figura nell’eletta schiera dei Martiri Partenopei del 1799) e ideali, il “Direttore” per antonomasia si richiama costantemente e con ragione: nessuno può infatti mettere in dubbio la sua coerenza, la sua onestà intellettuale ed il suo rigore di uomo di cultura.

Anche se, nella concitazione indotta dalla professione giornalistica, egli cade a volte in errori, peraltro banali e veniali: il Tricolore della Rivoluzione Francese non simbolizza i principi di Libertà, Fraternità ed Eguaglianza, bensì unisce il bianco della bandiera borbonica con il rosso ed il blu della Città di Parigi.

Ciò detto, va ascritto al binomio Scalfari – Bergoglio, cui si aggiunge – buon terzo – anche Paglia, il merito di avere compiuto un decisivo passo avanti rispetto ai sodalizi intellettuali sempre esistiti – per il bene della nostra pace civile – tra Cattolici, spesso illustri prelati, e notori “mangiapreti”.

A volte, questo incontro ha dato luogo anche alla “commixtio sanguinis”: i nostri antenati paterni erano clericali, mentre quelli materni erano liberali e massoni; tutti quanti erano peraltro praticanti, ma inconciliabili risultavano i rispettivi atteggiamenti circa il rapporto tra Stato e Chiesa.

I Patti Lateranensi, da questo punto di vista, non hanno significato un’autentica Conciliazione, quanto piuttosto una tregua, sia pure non fragile, né effimera.

Il nostro concittadino Professor Giacomo Molle, cui il Generale Clarck, appena giunto nella Roma liberata, portò dall’America l’incarico di risollevare le colonne del Grande Oriente d’Italia, era ottimo amico personale del Cardinale Pacelli: il loro sodalizio era nato del tutto casualmente, dato che dopo pranzo entrambi si facevano portare dai rispettivi autisti sulla terrazza del Pincio, dove cominciarono a conversare su temi via via più elevati.

Quanto era mancato fino ad ora, ad un secolo e mezzo da Porta Pia, era però una intesa sulle cose da fare per il bene del Paese, salvo in alcuni momenti eccezionali, come – già lo abbiamo ricordato – dopo Caporetto e dopo l’otto settembre.

Poi, la divergenza tra i rispettivi orientamenti aveva sempre ripreso il sopravvento.

Ci eravamo ormai rassegnati al compito storico di superare noi, appartenenti alla generazione del dopo guerra, questo iato, ed invece la presenza di Papa Francesco, oltre alla duttilità dei suoi interlocutori laici, ci ha dispensato da un simile gravoso compito.

Sul versante laico, c’era ancora qualche difficoltà ad essudare l’eredità anticlericale, ma la mancanza più grave – e decisiva – doveva essere imputata alla parte cattolica.

Mancavano due elementi: uno era costituito dall’accettazione – che presupponeva la sua effettiva conoscenza – della cultura moderna, quella che si è sviluppata in tutti i rami dello scibile precisamente dall’Illuminismo in poi, anche se i laici innalzavano polemicamente bandiere più antiche, come quella rappresentata da Tommaso Campanella e – soprattutto – da Giordano Bruno.

Bergoglio è il primo Papa che deve completamente alla cultura moderna la propria formazione intellettuale.

Non che i suoi predecessori potessero essere considerati degli ignoranti: abbiamo conosciuto un Vescovo, Monsignor Ireneo Chelucci di Montalcino, che conosceva a memoria tutto Dante, tutto Virgilio e tutto Orazio; se però si parlava del Liberalismo, dava letteralmente in escandescenze, appellandosi al Sillabo di Pio IX.

Non bastava la santa vita di questi Pastori per risolvere la contraddizione con il mondo moderno; che infatti veniva ampliandosi, anziché ridursi, per via dell’evoluzione del pensiero, come ebbe modo di constatare con angoscia Monsignor Martini.

L’aggiornamento culturale era tuttavia necessario, ma non sufficiente.

Occorreva anche intendersi su che cosa fare con la nostra società, soprattutto in rapporto alle altre identità presenti nel mondo, con cui dobbiamo confrontarci se vogliamo costruire una società multiculturale.

Proprio per questo, l’elezione di un Papa extraeuropeo ha rotto gli schemi, ha rimescolato le carte.

La cultura filosofica e politica dell’America Latina è di matrice illuminista: i cosiddetti “Proceres” o “Libertadores”, a cominciare da Bolivar, si erano formati sui testi importati dalla Francia rielaborandoli nei loro circoli culturali e sulle loro pubblicazioni, edite non a caso nelle grandi Città – al contempo capitali e portuali – del Continente.

Bolivar stesso faceva parte del gruppo di intellettuali animato da Simòn Carreno, suo padre adottivo, massone ed illuminista e riunito intorno alla rivista “El Correo del Orinoco”.

La Rivoluzione latino americana accese addirittura quelle scoppiate in Europa, dalla rivolta costituzionalista di Cadice, dove le truppe che dovevano partire per reprimere gli insorti del Nuovo Mondo si ammutinarono il 1 gennaio del 1820 guidate da Quiroga e Riego, ottenendo da Ferdinando VII la Costituzione: quella Costituzione detta “di Spagna” ( anche se in realtà era la traduzione letterale di quella “ottriata” da Luigi XVIII in Francia dopo la Restaurazione) che animò a sua volta i moti italiani di Napoli e del Piemonte del 1821.

La storia delle idee, per la prima volta, procedeva dall’Occidente verso l’Oriente.

Che cosa si è elaborato da allora in poi nelle nuove Repubblica delle Americhe?

Fondamentalmente, un tentativo di sintetizzare l’aspirazione illuministica alle libertà riferite alla persona con le aspirazioni popolari alle libertà collettive: la libertà dal bisogno, invocata dalle masse emarginate.

In questo senso influiva certamente il filone di radice cristiana e popolare rappresentato dal basso clero nelle lotte per l’Indipendenza.

Non c’era in America Latina, o comunque c’era meno che in Europa, quella opposizione alle aspirazioni sociali del popolo che invece avrebbe portato la Chiesa del Vecchio Continente a contrapporsi non soltanto al Liberalismo, ma soprattutto al Socialismo.

Per questo, le fratture ideologiche, così forti e radicate in Europa, risultano in America Latina meno profonde.

Il Messico laico ed anticlericale fa risalire l’alba della sua Indipendenza al giorno in cui un Sacerdote, Padre Miguel de Hidalgo y Castilla, suonò la “Campana di Dolores”.

Anche nelle lotte per la “Seconda Indipendenza”, che hanno reso omogenea – per la prima volta dall’emancipazione dalla Spagna – la condizione politica di tutte indistintamente le Repubbliche, è stata determinante la partecipazione dei Cattolici.

Bergoglio viene da quella esperienza, per cui la contrapposizione tra l’Io ed il Noi che ha contraddistinto tanto a lungo le posizioni dei Cattolici e dei Laici in Italia ed in tutta l’Europa Occidentale – qui Paglia e Scalfari coincidono nelle loro rispettive analisi –  trova nel suo pensiero un superamento.

Avevano ragione i Cattolici – questo è l’interrogativo che aleggia nell’opera di Paglia, così come nel commento di Scalfari – ad accusare i laici di essere giunti, a forza di riferirsi all’Io, al narcisismo?

Fondamentalmente avevano ragione: Paglia lo nota e Scalfari lo riconosce.

Basti pensare al fatto che ormai le riforme prodotte dalla Sinistra si riferiscono tutte alla sfera individuale: si riconoscono le unioni omosessuali, ma nello stesso tempo si cancellano le conquiste del Movimento Operaio.

Avevano ragione i laici ad accusare la deriva assunta da certe componenti del movimento cattolico (fino a ieri del tutto egemoni), che nella prospettiva illusoria di restaurare la dimensione sociale della fede arrivavano a postulare uno Stato confessionale?

Avevano certamente anch’essi ragione.

Si giunge allora inevitabilmente a postulare un’azione civile che concili le esigenze dell’Io con le esigenze del Noi.

Da una parte si eviterà il rischio del narcisismo, mentre dall’altra parte si eviterà il rischio di una nuova tendenza totalitaria.

La sintesi attende ancora di essere trasportata sul piano dell’azione politica concreta, ma porre oggi questo problema, riferito alla contingenza, vorrebbe dire fare torto al merito di uomini come Scalfari e Paglia, ma soprattutto Bergoglio, che hanno tracciato questa sintesi nell’elaborazione del pensiero tanto filosofico come civile.

 

Mario Castellano