Summit sulla protezione dei minori. Tagle: la giustizia può guarire anche il risentimento che uccide l’anima delle vittime

“In questo momento di crisi, originato dall’abuso dei bambini e dalla nostra cattiva gestione di questo crimine” la strada per portare “guarigione” è quella, prima di tutto, di avvicinarsi alle ferite della gente, senza avere paura di essere feriti, riconoscendo “i nostri peccati” per poter dare una “testimonianza autentica”. Ferite inflitte dall’abuso di minori da parte di sacerdoti ordinati “non solo alle vittime ma anche alle loro famiglie, al clero, alla Chiesa, alla società nel senso più ampio, agli stessi abusatori e ai vescovi”. Ferite però inflitte anche dai vescovi alle vittime e quindi di fatto all’intero Corpo di Cristo”. Tutto ciò in “una prospettiva di fede ed ecclesiale”, come ha esortato più volte Papa Francesco, affinché la Chiesa sia capace di procedere in una missione di riconciliazione con il mondo ferito. Questa l’indicazione del cardina Luis Antonio Tagle, in apertura del Summit sulla protezione dei minori. Secondo l’arcivescovo di Manila, “la mancanza di risposte da parte nostra alla sofferenza delle vittime, fino al punto di respingerle e di coprire lo scandalo al fine di proteggere gli abusatori e l’istituzione ha lacerato la nostra gente, lasciando una profonda ferita nel nostro rapporto con coloro ai quali siamo inviati per servirli”. “Ciascuno di noi, come pure i nostri fratelli e sorelle che sono a casa – ha detto il porporato – devono assumere personalmente la responsabilità di portare la guarigione a questa ferita inferta al Corpo di Cristo”, “devono assumere l’impegno di fare tutto quanto sia in nostro potere e capacità” per fare in modo che i bambini, nelle nostre comunità, siano al sicuro”.

Nel suo intervento, il cardinale Tagle ha affrontato anche il tema della giustizia e del perdono. In questa seconda parte della sua relazione, si offre una “proposta psicologica alla luce della fede”, affidandosi molto al dr. Robert Enright, professore all’Università del Wisconsin-Madison negli Stati Uniti, pioniere nello studio socio-scientifico del perdono, con cui, tra l’altro, sta collaborando al programma di perdono nelle Filippine. Secondo lui, uno dei punti da valutare è, una volta ottenuta la giustizia, come possiamo aiutare le vittime a guarire dagli effetti degli abusi.

“La giustizia è necessaria, ma da sola non basta per guarire il cuore dell’uomo”, ha affermato il porporato. “Dobbiamo prendere sul serio la loro ferita di risentimento e dolore e la necessità di guarigione. Il risentimento è una malattia, che infetta lentamente e costantemente le persone, fino a quando uccide il loro entusiasmo e la loro energia. Con l’aumento dello stress, sono inclini a fortissime crisi di ansia e depressione, a una bassissima autostima e a conflitti interpersonali che vengono dalla frattura interiore subita”, ha osservato Tagle. Dunque, prima di sollevare la questione di chiedere alle vittime di perdonare come parte della loro guarigione, bisogna chiarire che non stiamo suggerendo di “lasciare perdere tutto, giustificare l’abuso e semplicemente andare avanti”. “No. Assolutamente no”, ha sottolineato con forza rilevando che invece bisogna tenere presente che quando le vittime “arrivano al momento del perdono” nei confronti di chi ha fatto loro del male, “avviene una guarigione veramente profonda” e il comprensibile risentimento si pacifica. Il perdono è quindi una via potente, anche scientificamente, per eliminare il dolore.
L’esortazione che il porporato ha indicato è quella di camminare con “le persone profondamente ferite dall’abuso”, costruendo fiducia e dando amore incondizionato, “e ripetutamente chiedendo perdono nella piena consapevolezza” che “quel perdono – dice – non ci spetta di diritto ma che potremo riceverlo soltanto se ci viene elargito come un dono e una grazia nel processo di guarigione”.

“Siamo preoccupati per il fatto che in alcuni casi vescovi e superiori religiosi siano tentati – a volte forse addirittura sotto pressione – di scegliere” chi aiutare tra la vittima e l’abusatore. La riflessione su giustizia e perdono porta alla risposta: “tutti e due”, afferma il cardinale Tagle, ricordando che le vittime devono essere aiutate a guarire dalle loro ferite profonde e, per gli abusatori, “è necessario applicare la giustizia, aiutarli a guardare in faccia la verità senza razionalizzazioni, e allo stesso tempo a non trascurare il loro mondo interiore”. Si tratta di passare dal pensare in termini di “o/oppure” all’ “entrambi/e”. E quindi porsi una serie di domande, ad esempio come “possiamo prevenire un perdono distorto in modo che non sia equiparato al lasciar scappare via l’ingiustizia” o come mantenere un’ottica attenta al perdono e al tempo stesso impegnarci per la giustizia.
Gesù, risorto ma ancora ferito, che appare ai discepoli dicendogli “Pace a voi” è, come detto prima, il brano evangelico che illumina tutto il suo discorso, contrassegnandolo con una prospettiva di fede. Solo dopo aver messo la mano nel costato di Gesù, Tommaso lo riconosce come il Signore. Toccare le ferite appare quindi come fondamentale per la professione della fede. Questo significa che coloro che sono inviati a proclamare la morte e resurrezione di Cristo, “potranno farlo con autenticità solo se saranno in contatto con le ferite dell’umanità”, mette in evidenza il porporato. E questo vale per la Chiesa “specialmente ai nostri tempi”. Tagle si rifà alla riflessione di mons. Tomas Halik, sacerdote ceco e professore, che sottolineava che per vivere una fede autentica, non si possono chiudere gli occhi di fronte alle ferite dell’umanità, che sono le ferite di Cristo. La fede nasce e “ri-nasce” solo dalle ferite del Signore, crocifisso e risorto, toccato nelle ferite dell’umanità.

Per essere “operatori della guarigione” – ha avvertito il cardinale Tagle – “dobbiamo rigettare” quindi qualsiasi tendenza del “pensiero mondano” che rifiuta di toccare le ferite degli altri. Le persone ferite da abuso e scandalo hanno bisogno di testimonianze autentiche della risurrezione di Cristo, “che ci avvicinino alle sue ferite come primo atto di fede”, dice insistendo proprio sul fatto che si tratta di un “atto di fede”.
Nel suo intervento, il cardinale Tagle ha voluto citare un brano della “Lettera al popolo di Dio pellegrino in Cile”, del 31 maggio dello scorso anno, nella quale appunto il Papa chiarisce l’importanza di partire da una visione di fede, altrimenti “qualsiasi cosa potremmo dire o fare andrebbe a vuoto”, per guardare al presente senza evasività ma con audacia, con tenacia ma senza violenza, per cambiare quello che può mettere a rischio l’integrità della persona: le soluzioni di cui c’è bisogno richiedono che si affrontino i problemi senza farsene irretire, “o peggio ancora, ripetere quegli stessi meccanismi che vogliono eliminare”.
“Speriamo che la Chiesa diventi una comunità di giustizia” che viene dalla comunione e dalla compassione, ha affermato il cardinale filippino ribadendo che il Signore crocifisso e risorto è “in mezzo a noi, in questo momento”: “ci mostra le sue ferite e proclama: ‘La pace sia con voi!’”.