Una visita alla Sinagoga di Nizza. “L’identitarismo costituisce un pericolo per l’ebraismo?” (di M. Castellano)

Si racconta che Golda Meir ricevesse gli ospiti nella cucina di casa sua.
Non vi è in effetti modo migliore per creare con i visitatori un rapporto di familiarità e di confidenza.

La Comunità Israelitica di Nizza ci accoglie nel grande edificio posto proprio nel centro della Città, tra l’Avenue Jean Medecin e piazza Massena facendoci immergere – da noi si dice “senza cerimonie” – nella propria vita di ogni giorno.

Se il 27 gennaio, quando siamo venuti per la “Giornata della Memoria”, si trattava della quotidianità liturgica, questa volta si tratta della quotidianità associativa.
Da una parte, la giornata viene allietata notizia che al Rabbino Capo – lo stesso che ha celebrato la funzione del 27 gennaio – è stata concesse una altissima onorificenza della Repubblica Francese.

Malgrado tutte le persecuzioni, gli Israeliti si ostinano a comportarsi come buoni cittadini, e nulla li lusinga come il fatto di vederlo riconosciuto.
Il lunedì è però anche il giorno in cui il grande salone, nel quale notiamo la sedia impiegata per portare in trionfo la sposa durante le feste nuziali, segno che lo si utilizza anche per le solennità private, si popola dei poveri che vengono a ricevere un aiuto dalla Comunità.

Alcune robuste matrone disimpegnano una sorta di servizio d’ordine, mantenendo la disciplina tra chi attende il proprio turno e chi si prova gli abiti usati appesi agli stenditoi.

Tutto questo ricorda a noi Gentili le scene abituali della Caritas parrocchiale.
Si percepisce infatti lo stesso clima di beneficenza un poco burbera e burocratica.

Ad un certo punto, però, irrompe nel salone un corteo di ragazzi che vanno a prendere lezione di Religione dal Rabbino,
Il contrasto non potrebbe risultare più evidente tra quanto ancora sopravvive di un ebraismo povero, sofferente ed emarginato, i corpi ed i volti segnati dal tempo e dalle persecuzioni, e l’emergere di un mondo ebraico giovane, orgoglioso e trionfante.

Viene in mente l’Israele dei “Sabra”, di una splendida gioventù in cui la mescolanza delle origini ha cancellato il ricordo della costrizione fisica e sociale dei ghetti.
Qualcuno esulta ed applaude nel vedere questa immagine di riscatto.
Il Presidente, Dottor Maurice Niddam, raggiunge il suo ufficio senza cerimonie, come un avvocato di provincia che entra nello studio pensando alle incombenze della giornata.

Ci dice che può dedicare al nostro incontro soltanto dieci minuti, ma finiamo per trascorrere insieme quasi un’ora e mezza, ed alla nostra conversazione si aggiunge ad un certo punto il Rabbino Capo.
Il quale dice al Presidente – senza nessuna piaggeria – che lo considera il migliore tra i suoi cinquantadue colleghi di tutta la Francia.

Non sappiamo se Monsieur Niddam sia veramente il più bravo tra quanti i correligionari hanno scelto per svolgere il difficile compito di interfaccia tra le loro rispettive Comunità ed una realtà sempre più complessa e difficile come quella della “Sorella Latina”.
E’ però certo che Nizza e la Costa Azzurra, che nei mesi estivi si trasformano in una sorta di Capitale provvisoria della Repubblica, sono il luogo in cui convivono due diversi microcosmi: da una parte, quello esterno alla Comunità, dove si mescolano realtà di diversa provenienza, che vanno dai miliardari russi agli sceicchi arabi del petrolio, installati nelle grandi ville appartenute un tempo ai Lor inglesi, fino al sottoproletariato di origine africana e magrebina, sempre più attratto dall’Islam salafita.
Nella Comunità Israelitica sono confluiti in origine, insieme con le grandi famiglie del tradizionale ebraismo francese (anche i Rotschild posseggono un villa sulla Costa Azzurra – gli Ebrei provenienti dall’Europa Orientale, fuggiti verso la Francia da una successione ininterrotta di persecuzioni, dall’Impero Russo al nazismo, dal comunismo fino all’attuale dilagare, sempre più venato di tendenze antiebraiche, dei nuovi nazionalismi.

Il Presidente usa sempre la parola “antiebraico” incece che “antisemita”: un termine coniato proprio qui, in Francia, dal giovane giornalista Teodoro Herzl quando seguiva per conto di un giornale di Vienna il Processo al Capitano Dreyfuss.

Forse questa scelta lessicale si deve al fatto che Monsieur Niddam viene – come dice egli stesso nel presentarsi – da una “terra dell’Islam”, cioè il Marocco, dove la lingua e la cultura sono profondamente semitiche.
Il Presidente tiene a precisare che le sue amicizie, risalenti agli anni della formazione nel luogo di origine, sono sopravvissute malgrado le guerre ed i conflitti nazionalistici.

Poco prima, aspettandolo nel grande salone, avevamo conversato con un amico di Livorno, riparato in Francia dopo le “leggi razziali”, che voleva a tutti i costi conversare in italiano.
Il cosmopolitismo ebraico – per quanto ci possa sembrare strano – si nutre soprattutto di rapporti umani con il mondo esterno alla Comunità.

La conversazione con Monsieur Niddam ruota praticamente tutta intorno ad una sola domanda, benché declinata – da lui e da noi – in tutti i modi possibili: l’attuale tendenza all’identitarismo costituisce un pericolo per l’ebraismo?
La risposta – assolutamente chiara france – dal Presidente – parte da un’analisi empirica della realtà, e dall’esposizione di alcuni dati di fatto.
In primo luogo, l’antisemitismo ha mietuto in Francia molte più vittime di quante risultano dalle statistiche dei grandi attentati, che – come si si suole dire – “fanno notizia”: c’è infatti uno stillicidio di violenze – anche mortali – che spesso non vengono ufficialmente catalogate come frutto dell’odio razziale, né da parte delle Autorità, né da parte dei mezzi di informazione.

Davanti a questa situazione, si esige agli Ebrei di tacere, mentre per contro i Musulmani gridano all’ingiustizia per ogni conseguenza degli interventi – in realtà sempre più rari – della Polizia nelle “banlieues”.
Soltanto l’evocazione di questa parola riporta ad una situazione tale che ormai per molti Israeliti non si pone più la domanda se andare in Israele, bensì solo quella relativa a quando partire.
A chi vive nelle periferie, se non possiede i mezzi necessari per trasferirsi in un altro quartiere,
non rimane che compiere la “Alià”, cioè l’ideale ascensione al Monte di Sion.

Il Presidente riporta però subito il discorso ad una disanima della situazione in termini generali. Identitarismo significa, nella Francia di oggi, l’esistenza di vaste aree geografiche – le “balieues” per l’appunto – in cui non vige più la Legge della Repubblica.

Che con la sua netta divisione tra lo Stato e le Religioni, di origine napoleonica ma confermata dalle norme emanate nel 1905, è stata fino ad ora considerata dagli Ebrei come una garanzia.
Mentre in Italia – ci fa notare il Presidente – i Rabbini devono mantenersi svolgendo un’altra professione, in Francia essi vengono stipendiati dai rispettivi “Consistoires”. I quali lasciano loro la competenza relativa al magistero religioso ed alla liturgia, riservandosi quella riguardante l’amministrazione del culto.

Il fatto stesso di provvedere con le loro risorse alle necessità religiose viene considerato dagli Ebrei come una garanzia per la loro libertà nei confronti di ogni ingerenza esterna.
Ora però, la Comunità Islamica – la quale già ricorre sistematicamente all’aiuto dello Stato per la costruzione delle Moschee – preme affinché il finanziamento dei culti da parte dello Stato venga sancito per legge.

Nel caso che una specifica confessione religiosa conquistasse l’egemonia sullo Stato, la libertà delle altre fedi sarebbe di conseguenza esposta ad un rischio.
Si tratta di una ipotesi fantapolitica, come quelle su cui si fondano i libri di Houllebecq?
No, secondo il Presidente, il quale ci riferisce come a Chirac, all’epoca Capo dello Stato, venne prospettata dai Musulmani la possibilità di divenire la maggioranza dei Francesi.
Possiamo, a questo punto, concludere che in ogni identitarismo, specie se vissuto in termini prevalentemente religiosi, è insito il pericolo che gli Ebrei – ma non soltanto gli Ebrei – più temono, a nostro avviso con ragione: l’affermazione del principio “cujus regio, ejus religio”.

Che poi l’identitarismo non sia proprio soltanto dei Musulmani, bensì anche di un estremismo di Destra dedito – tanto in Francia quanto in Italia – a qualificarsi come forza dichiaratamente confessionale, ciò aggrava il pericolo in cui ci troviamo, essendo stretti tra due fuochi.
Possiamo aggiungere che antiebraismo viene affermato in modo aperto e sistematico dalla cultura religiosa egemone nell’ambito dell’Islam, cioè quella salafita: la quale condiziona la formazione degli Imam, essendo fata propria dal soggetto che si fa carico – per motivi economici – della loro formazione, cioè l’Arabia Saudita.

Il Presidente ci augura un buon ritorno, che inizia risalendo l’Avenue Medecin verso la Stazione Centrale di Nizza: nella mattinata soleggiata, le donne velate prevalgono su quelle a capo scoperto.

Mario Castellano