Venezuela. Cosa c’è dietro al monito Usa per l’incolumità di Guaidò (di F. Casari)

A seguito del fiasco di Cucuta, Mike Pence, il vicepresidente statunitense di note inclinazioni nazistoidi, ha accusato Juan Guaidò, rientrato ieri in Venezuela, di non aver raggiunto il risultato sperato, ovvero la capitolazione del governo bolivariano. Insieme a lui ha accusato anche le famiglie dell’oligarchia venezuelana, colpevoli a loro volta di non aver investito denaro sufficiente nell’operazione, ovvero di non aver speso abbastanza nel tentativo di corrompere le leve più importanti del sistema venezuelano.

Il malumore del numero due della Casa Bianca è comprensibile. Era stato proprio Pence ad autointestarsi con una auto intervista la titolarità dell’operazione golpista ed è dunque lui, insieme al quartetto di nazi-evangelisti che compongono il Gabinetto Trump, artefici della politica statunitense nell’emisfero, a raccogliere lo smacco.

La questione è ora come uscirne, questo è quello che si chiedono alla Casa Bianca. L’idea di intervenire direttamente è ancora sul tavolo: dichiarare la sconfitta in Venezuela, dopo aver già perso in Nicaragua, è difficilissimo e rischia di innescare forte sfiducia nella destra latinoamericana circa l’efficacia della guida statunitense nell’operazione di riconquista del subcontinente. Già ma come?

Un attacco militare è ormai difficile da organizzare: l’isolamento internazionale (il 75% dei paesi non riconosce Guaidò) e l’opposizione decisa di Cina e Russia, India e Iran, Sudafrica e Turchia, l’opposizione dell’ONU, della UE e dello stesso Congresso USA all’utilizzo della forza militare pesano, così come pesa l’impossibilità di controllare dinamiche, svolgimento ed esito di un conflitto che si annuncia tutt’altro che agevole. Sono elementi difficili da ignorare anche per una amministrazione impastata di radicalismo evangelico a tinte nazistoidi.

In questo senso non è da scartare l’ipotesi per cui Washington costruisca a tavolino un casus belli utile a giustificare un suo intervento militare diretto: dall’affondamento del Maine al Golfo del Tonchino, alle armi di distruzione di massa in Irak, la Casa Bianca ha sempre mostrato estrema dimestichezza con auto attentati o attacchi mai avvenuti per giustificare l’invio di truppe e bombardieri.

Da questa prospettiva è difficile non vedere come le minacce al governo venezuelano relativamente all’incolumità di Guaidò sembrano proprio voler trasformare il finto presidente in un bersaglio di comodo. Ucciderlo e indicare nel governo di Caracas il responsabile sarebbe operazione tipica.

Una guerra per procura ispirata all’aggressione terroristica dei contras in Nicaragua durante gli anni ‘80. Allora in Nicaragua il corpo centrale delle bande terroristiche contras venne garantito dagli ex appartenenti della Guardia Nazionale di Somoza, cui si aggiunsero terroristi cubano-americani, mercenari e centri di addestramento diretti da consiglieri militari argentini ed israeliani. Le retrovie furono compito dei militari salvadoregni ed honduregni ed anche la Costa Rica svolse un ruolo.

Oggi in Venezuela si potrebbe sostanzialmente ripetere l’esperimento criminale. In questo caso il corpo centrale potrebbe essere formato dai paramilitari delle AUC colombiane, che del terrore diffuso contro gli inermi sono specialisti riconosciuti, e a costoro si potrebbero aggiungere effettivi latinoamericani e mercenari scampati ad ogni guerra. L’impegno, sia come retrovie che come logistica ed assistenza militare diretta, potrebbero essere a carico di Colombia e Brasile, che così facendo non si ritroverebbero coinvolti con militari loro nell’aggressione e nella sua probabile sconfitta ma sarebbero comunque partecipi dell’operazione così da intestarsi politicamente una eventuale vittoria.

Nel frattempo Guaidò continua la recita, immaginandosi in un set dove l’ambientazione è quella di Capitan America ma la sceneggiatura sulla sedia del regista ha come titolo Dead Man Walking.

Fabrizio Casari per Altrenotizie.org