Vino, birra, idromele: archeologia della luna di miele (di A. Di Fiore)

Nota è di certo la storia narrata nella Bibbia della scoperta del vino fatta da Noè come prima coltura del mondo dopo il diluvio universale, che anche le Bibbie Poliglotte ponevano come spartiacque – è proprio il caso di dirlo- tra storia e preistoria, che allora si dicevano appunto epoca antidiluviana e postdiluviana. Meno nota, ma pur essa assai antica, è la storia della birra e la ricerca archeologica ha fatto scoprire una tavoletta sumerica databile, come pare, al 6000 a. C., che ne testimonia l’uso. Qualcuno ha addirittura ipotizzato che la misteriosa manna caduta sugli ebrei nel deserto fosse una specie di birrasimile al porridge(James Death,The Beer of the Bible, 1868).

Anche per il vino scoperto da Noè, che non per nulla molti studiosi agli albori dell’etnografia comparata avevano già identificato con il romano Bacco, la ricerca pare in tempi recenti aver offerto rinnovati supporti alla tradizione biblica, ritrovando tracce della presenza della Vitis vinifera non solo nella lontana Cina (7000 a. C.), ma anche nei territori non estranei alle tradizioni delle cosiddette religioni del Libro: Ebraismo, Cristianesimo e Islam: scoprendo quella vitisin Georgia, in Iran e soprattutto prove della vera e propria vinificazione (4700 a. C.) proprio in Armenia dove vuole la tradizione che sia approdata l’Arca di Noè.

Naturalmente non possiamo sapere quale fosse il gusto di questo antichissimo vino, bevuto per lo più diluito in acqua, come che cosa fosse precisamente la birra antidiluviana, ma, vari dettagli ci fanno supporre che le birre fossero davvero buone, e che già si potevano scegliere birre scure e birre chiare.

Ma più che la varietà delle birre, più che la localizzazione per entrambe queste bevande tra Sumeri o Armeni e Georgiani, oltre che nell’Antico Egitto, ciò che soprattutto rende interessante questo tema è che vino e birra, insieme ad altre antiche bevande a quest’ultima in molti modi collegate e da alcuni persino identificate, fossero prodotte e consumate come una via sacra che permetteva ad alcuni un contatto con la divinità.

Anche in tutt’altro ambito geografico l’antropologia studiando il miele selvatico/fermentato, ipotizzando possibili identificazioni tra il famoso idromele, e antiche forme di birra “ale”, o anche con più mitici cibi divini quali l’ambrosia e il nettare, dischiude le porte ad affascinanti ipotesi su queste bevande propiziatorie diffuse anche oltreoceano. E il miele, rompendo il primitivo schema creato dallo stesso Lévi-Strauss, tra il crudo e il cotto, pare essere stato uno dei cibi/bevande più antichi dei nostri antenati “raccoglitori”, come iberiche pitture rupestri ci dimostrano. E se tazze di miele erano offerte agli dei dagli egiziani, il codice di Hammurabi (1792-1750 circa a.C.), più tardi si preoccuperà di proteggere gli apicoltori dai furti. Lo stesso testo evangelico conserva tracce di questa “sacralità” profetica del miele selvatico ricordando come proprio “l’ultimo Profeta” prima di Cristo, Giovanni Battista, si cibasse nel deserto, oltre che di cavallette, di “miele selvatico” (Marco 1,6).

E se a Roma ad un certo momento della sua storia arrivarono, soprattutto per merito di Agricola, governatore della Britannia nel I sec. d. C., non solo grandi quantità di birra ma anche i più famosi birrai inglesi di Gloucester (l’antica Glevum), sappiamo per certo che anche il miele, molto citato da scrittori e poeti, era importato regolarmente da Creta, da Cipro e dalla Spagna, ed era utilizzato non solo per conservare e dolcificare i cibi, non essendo ancora conosciuto lo zucchero, ma per la birra e per l’idromele. Soprattutto era pregiato quello che veniva, dalla stessa “Terra del miele”, Malta (Meilat), come voleva una diffusa etimologia.

E se nell’età dell’oro si immaginavano paradisi dove i fiumi erano di latte e di miele, un pizzico, per così dire, di questa antica sacralità è giunto a noi nel nome del periodo più bello e “paradisico” della vita, quello della cosiddetta Luna di miele. Per 28 giorni, infatti, giusto il tempo di un mese lunare, ai freschi sposi, per donare forza, vigore e augurale fertilità, si usava donare una botticella di idromele che durasse appunto, per il primo mese d’amore.

 

Antonio Di Fiore