Zuppi: “La Bologna dei popoli è il sogno di Dio” (di L. Galliani)

Una città «più si chiude e più si perde, mentre se si apre ritrova se stessa». Identità e dialogo sono al centro delle riflessioni dell’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi nell’incontro che chiude la settimana dedicata a «Bologna di Popoli – Io credo nel noi». L’accoglienza, dice Zuppi,0 «non è un centro commerciale, ma una casa che si apre, e richiede il coinvolgimento di ciascuno». Senza paura: «La Bologna dei popoli è il sogno di Dio. Ci ha fatti tutti diversi, nessuno uguale all’altro. Certo, abbiamo tante somiglianze: piangiamo per certe cose, desideriamo che qualcuno ci voglia bene. Ma siamo diversi e un motivo ci sarà. Il problema è quello di imparare a stare insieme, volerci bene, capirci».

Nella domenica pomeriggio di piazza Nettuno, presente anche l’attore Alessandro Bergonzoni, come al solito un funambolo delle parole. Dopo un riferimento a Riace, fa sorridere e riflettere dicendo che «la razza è solo un pesce», trasformando la preghiera alla Madonna in una «Nave Maria» che possa salvare chi rischia la morte in mare. La gente che non arriva a fine mese dice che «tiene famiglia, che deve tirare su la famiglia. E cosa fanno le ong? Tirano su famiglie dall’acqua, è lo stesso concetto», prosegue il comico bolognese prima di rivolgere due appelli: il primo alla presa di coscienza che davvero «il governo siamo noi», abbiamo tutti una responsabilità. Il secondo al dialogo interreligioso, riprendendo una frase che – attraverso un videomessaggio – ha fatto arrivare anche a Papa Francesco: «Religioni, se potete, scambiatevi le fedi».

Parla di dialogo anche Yussuf Pedrini, della Comunità islamica di Bologna: il Corano «afferma che noi siamo le stagioni del mondo, dal bambino all’anziano», incalza, e dunque la diversità esiste «perché nessuno si ritenesse il migliore, ma fosse capace di dialogare con gli altri». E se le mura di Bologna, come ricorda, «sono state abbattute prima della Grande guerra», il desiderio è che ben altre barriere possano presto crollare.

Il microfono passa poi al teologo Brunetto Salvarani, che esordisce citando un proverbio africano: «A guardare dalla stessa parte, il collo si irrigidisce». Oggi questa rigidità è sotto gli occhi di tutti: «Continuiamo a farci dire che le differenze sono pericolose, ci facciamo raccontare che siamo di fronte all’apocalisse incombente. Nel 1996 Gaber scrisse “E pensare che c’era il pensiero”, e forse davvero abbiamo smesso. L’augurio è quello di tornare a riprendere a pensare». Magari – perché no? – servendosi anche della Bibbia, «un codice per l’ospitalità – conclude Salvarani –. Ci insegna che c’è una fragilità in noi, e che questa è il punto di partenza per vedere nell’altro il fratello. Come dice il libro del Levitico: ama il tuo prossimo, è te stesso».

C’è tempo per un ultimo giro di battute, prima di lasciare di nuovo spazio alla festa. Bergonzoni ne approfitta per lanciarsi in altre acrobazie di parole offrendo suggestioni ma senza annacquare la crudeltà di tragedie che, solo per il fatto di esistere, non possono lasciarci indifferenti: «Ci si chiede spesso: “Dove mettiamo i migranti?”. Già, dove li mettiamo? Nella carta, parlandone sui giornali? Nel vetro degli schermi televisivi? O nell’umido della terra? Una forma di preghiera è anche indossare questi corpi, incarnarli. E a chi mi chiede “Testa o croce?” io rispondo entrambe: una testa per accarezzarla, una croce per portarla». Senza chiudere gli occhi, mai.

 

Lorenzo Galliani