La rivoluzione pacifica del presepe di Greccio

Nella sua predica in occasione del primo presepe, Francesco propone «il messaggio per cui Cristo si è incarnato perché è quello il momento in cui si impegna a salvare l’essere umano»

«Siamo in un periodo in cui la Chiesa chiede di partecipare alla crociata, chiede ai sacerdoti di predicare affinché i fedeli versino denaro per finanziare la crociata. Siamo in una Chiesa in armi». Anche questo – ha spiegato Chiara Frugoni la scorsa domenica, durante l’incontro pubblico nel salone del Palazzo Papale di Rieti – è il contesto in cui Francesco inventa il presepe.

E proprio dalle crociate la storica ha preso le mosse, ricordando che «Francesco non dice mai una parola sui musulmani, mai predica contro, mai predica per la crociata». Il presepe segue infatti il viaggio compiuto da Francesco a Damietta, a pochi chilometri di distanza dal Cairo, dove incontra il sultano d’Egitto Malik al Kamile e rimane edificato dalla dignità dei musulmani, da come viene accolto.

Al punto che, al suo ritorno, appunta nella Regola “non bollata” del 1221 che i frati devono vivere “fra” (e non andare “da”) i musulmani. Lo stile giusto, per Francesco, è quello di evitare liti, dispute e violenze di ogni genere. Bisogna poi confessare di essere cristiani, sottoposti, cioè, a ogni creatura e quindi anche ai musulmani. A queste condizioni, se piace a Dio, se è nato reciproco rispetto, i frati avrebbero potuto parlare di Cristo. Altrimenti avrebbero solo potuto tacere ed essere di esempio.

«È un atteggiamento così attuale su come ci si deve comportare davanti a una religione diversa – ha sottolineato la medievista – che fa davvero impressione». Anche perché, una volta tornato in patria, Francesco cita addirittura il Corano e le abitudini dei musulmani, chiede che ogni sera qualcuno salga sul campanile e chiami alla preghiera, e anche le lodi che fa di Dio assomigliano a quelle usate per Allah.

Un presepe dissonante

È questo Francesco «estremamente dissonante» con lo spirito del tempo, che in qualche modo contesta il volto violento dei cristiani, consapevole che i musulmani non vedevano certo nei crociati un messaggio d’amore, quello che ha l’idea di fare il presepe a Greccio: un luogo che il santo prediligeva perché c’erano ancora persone che seguivano il Vangelo, povere, con cui si sentiva in sintonia. A loro decide di far vedere i disagi in cui si è trovato il Bambino nella notte di Natale. Chiede dunque di portare del fieno, un bue e un asino vivi. Non chiede che ci sia qualcuno travestito da Maria, Giuseppe e il Bambino, ma due animali che non compaiono nei Vangeli canonici, ma solo negli apocrifi. E poi il santo predica in modo talmente travolgente che qualcuno dal pubblico ha come l’impressione di vederlo prendere il bambino – che non c’è – che da morto diventa vivo. Il primo biografo di Francesco, Tommaso da Celano, dice che il messaggio d’amore del Vangelo era morto nel cuore dei fedeli e Francesco l’aveva risvegliato.

Una sconfessione delle crociate

Cosa dice Francesco nella sua predica: che Greccio è un’altra Betlemme. E questo, secondo Chiara Frugoni, corrisponde a una sconfessione della crociata: «Francesco dice che non si deve andare in terra santa e per la gioia di toccare quei luoghi uccidere chi vive lì. La Terra Santa è ovunque, si ha nel cuore. Se si riscopre il messaggio d’amore di Cristo, anche Greccio è un pezzo di Terra Santa: un messaggio rivoluzionario, controcorrente rispetto all’idea della Chiesa in quel momento».

Il bue e l’asino

«Ma a molte orecchie la testimonianza di Francesco deve suonare del tutto insopportabile», argomenta la Frugoni, appoggiandosi all’iconografia disponibile sull’episodio di Greccio, che risulta abbastanza povera ed estremamente censoria. «La sostanza del Natale di Greccio è che Francesco ha predicato e ha predicato il Vangelo di Cristo: se si cancella la sua predica, non c’è più niente». Quanto al bue e all’asino, essi rappresentano i pagani e gli ebrei, che nel tempo sarebbero arrivati a mangiare il fieno, cioè l’ostia, e si sarebbero dunque convertiti. La convinzione profonda del Poverello è infatti quella di «essere stato mandato da Dio per un messaggio che non è solo per l’Italia, ma per il mondo intero. Come Cristo ha cominciato con i poveri pescatori e gradualmente il suo messaggio si è diffuso, anche Francesco sente di dover risvegliare il messaggio del Vangelo e portarlo ovunque: un messaggio di pace sentito come un qualcosa di così assurdo per l’epoca, che qualcuno davanti a Francesco e ai suoi scappava, prendendoli per pazzi».