Delitti d’onore, convivenze e intolleranze

Nel 1982, non una vita fa, è stato abolito dal nostro ordinamento il delitto d’onore. Fino a quell’anno l’uccisione della moglie, della figlia o della sorella (non del figlio o marito), veniva punito con la reclusione da tre a sette anni. Pena irrisoria rispetto a quella minima per l’omicidio: ventuno anni. Solo dopo la riforma del diritto di famiglia, dove veniva stabilita l’eguaglianza tra i coniugi, e sentenze della Corte Costituzionale che portarono nel 1969 all’abrogazione del reato di adulterio, la causa d’onore venne bandita dal codice penale. Ricordiamo anche che il delitto di adulterio poteva essere commesso solo dalla moglie ed era perseguibile a querela del marito. Il Codice Rocco, ed il precedente Zanardelli, vennero approvati quando esistevano ancora le case chiuse; nella normativa era trasfusa una morale non proprio femminista; giusto per precisione.

È recentissima la notizia di una ragazza di origine pakistana, Sana Cheema, uccisa dal padre e dal fratello perché aveva deciso di sposare un italiano. È solo l’ennesima di una lunga serie di ragazze di origine da famiglie musulmane cui i loro stessi genitori, fratelli, zii e cugini hanno tolto la vita perché avevano scelto di vivere diversamente da quelle che erano le loro tradizioni, origini, precetti religiosi, stili o imposizioni familiari.

Da quanto riportato, provenendo la notizia dall’estero, non è dato capire con esattezza se la ragazza sia stata uccisa perché aveva deciso di sposare un italiano o un non musulmano, ma non è questo il punto centrale della questione.

Dalla nota vicenda di Hina Saleem, uccisa nel 2006 perché voleva vivere all’occidentale, la scia di ragazze uccise o maltrattate in famiglia per aver scelto di vivere come la loro vita è lunga. Da chi non indossava il velo fino a quelle giovani che non accettavano un matrimonio imposto dalla famiglia. Ma anche chi, semplicemente, aveva amici occidentali fino all’estrema onta di volersi convertire al cristianesimo. Esistono rapporti europei sul punto.

Prescindendo però dai singoli casi, il problema riguarda quello più complesso dell’integrazione e dell’accettazione non solo di norme, ma anche di uno stile di vita complessivo che, non possiamo negarlo, si pone in netto contrasto con quello dettato da dogmi e precetti religiosi. E il discorso non riguarda solo gli aspetti religiosi, siamo ben chiari sul punto.

Non vogliamo arrivare al paradosso che si possa giungere a suggerire l’abolizione della produzione di vino o del prosciutto, ma assistiamo a manifestazioni in cui, basandosi su convinzioni personali, o ideologie del momento, si è proposto di criminalizzare il consumo dei conigli mentre i vegani già espongono cartelli che chiedono di considerare omicidio il semplice consumo della carne sulla base di una supposta superiorità etica di chi non ne mangia.

Esempi, si ammette, decisamente estremi e non calzanti di fronte ad una vita umana, ma che sono emblematici di come possa essere complicata la convivenza tra individui e gruppi portatori di istanze, tradizioni, costumi e idee ben diverse tra loro e, logicamente, inconciliabili.

Ma giustificare in qualsiasi modo una presunta causa d’onore davanti alla morte di una giovane che vuole vivere la propria vita, o reintrodurre il delitto d’onore o una sorta di giustificazione per motivi religiosi, è un estremismo impensabile.

Sicuramente anche gli immigrati italiani in America hanno avuto i loro problemi e difficoltà nell’accettare il diverso stile di vita degli Yankees, e la scena del film Il Padrino, in cui viene chiesto al Don di lavare con il sangue l’oltraggio all’onore di una figlia, è facile immaginarla vera.

Ma non solo gli italiani si sono poi integrati in un nuovo e diverso contesto sociale, fino a farlo loro. Non possiamo che augurarci che ciò avvenga anche in Italia e Europa, e che non si cerchi di portare e mantenere usi e precetti che hanno contribuito a generare le cause per cui, in molti, hanno deciso di lasciare i loro luoghi di origine.

Non è dato sapere se la morte dell’ultima ragazza in Pakistan sia per un motivo solo religioso o perché la famiglia sentisse di aver fallito, o forse per dinamiche diverse, ma la vicenda induce a una profonda riflessione sulla tolleranza e l’integrazione. E prima ancora sull’accettazione delle regole del luogo in cui si è scelto di vivere.

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