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«Il Papa non ci ha lasciati soli»

«Il Papa non ci ha lasciati soli»

27 Aprile 2016, 13:22

Margherita Portelli

Sono parole di luce, quelle di Andreana Bassanetti. Venticinque anni dopo il suicidio della figlia Camilla, all’epoca ventunenne, la psicoterapeuta parmigiana fondatrice di «Figli in cielo» (la comunità che si occupa dell’accompagnamento nel cammino di fede di famiglie che hanno dovuto affrontare il dolore più grande, quello della perdita di un figlio) ha voce serena e modi garbati. Nei giorni scorsi l’Osservatore Romano ha pubblicato per intero una lunga lettera che la Bassanetti aveva indirizzato, in rappresentanza della sua comunità, a Papa Francesco.

Pagine di gratitudine che, in forma di riflessione sull’esortazione apostolica «Amoris Laetitia», racchiudono tanti pensieri sul percorso che mamme, papà, fratelli, sorelle, vedovi e fidanzati si trovano a dover affrontare nel momento della perdita sconvolgente di un caro. Andreana Bassanetti ha raccontato la sua storia nel libro «I Giganti», a firma di Stefano Lorenzetto e con lui lo presenterà alla Libreria Feltrinelli di via Farini, venerdì 3 giugno alle 18.

Quando il 27 giugno del 1991 la depressione spinse Camilla a gettarsi dal sesto piano del palazzo in cui abitava con la famiglia, per la mamma, psicologa che da decenni si dedicava ad aiutare gli altri, fu il buio. Per mesi la vita fu inaccettabile, come inaccettabile era stata la perdita della figlia: poi scoprì la fede. Ritrovata la forza di andare avanti, decise di voler fare qualcosa per gli altri.

«Inizialmente volevo creare un centro terapeutico per aiutare i tanti giovani che cadono in quello stato di disagio che si era portato via mia figlia – racconta Bassanetti -; però man mano che andavo avanti nella realizzazione di quel progetto, iniziarono a cercarmi genitori da tutte le parti d’Italia: mi chiedevano di aiutarli a “ritrovare” i loro figli scomparsi. Vennero da me anche sorelle e fratelli che avevano avuto la vita sconvolta da simili tragedie. Così mi sono incamminata in un ascolto di situazioni che si verificavano giorno per giorno».

Quasi senza che lei lo cercasse si era andata formando una rete di tante persone straordinarie, mamme e papà che avevano vissuto la sua stessa esperienza. «In tutti loro c’era la voglia urgente di condividere, stare insieme, parlare e confrontarsi – continua la specialista -. Così è nata Figli in cielo e per queste stesse ragioni abbiamo voluto scrivere a Papa Francesco».

Dire grazie al Pontefice ha un significato preciso.

«Il lutto, purtroppo, è oggigiorno ancora un argomento tabù – sottolinea -. Sembrerebbe strano, perché la morte campeggia quotidianamente sugli schermi e sulle pagine dei giornali, ma in realtà la si tratta fin tanto che rimane qualcosa di “lontano” da noi, fin tanto che non ci tocca da vicino. Anche nell’ambiente della Chiesa la morte non viene sufficientemente approfondita: spesso non si va al di là delle celebrazioni e delle commemorazioni. In realtà, e la nostra esperienza ne è la prova, le persone che hanno vissuto un dolore così tremendo hanno bisogno di un percorso di crescita condiviso».

Parlare, quindi, di quel che troppo spesso diviene indicibile perché inaccettabile. E Papa Francesco lo ha fatto, ne ha parlato e scritto, trattando in più occasioni il tema del lutto. «Lei, Santo Padre, non ci ha lasciati soli. Ci ha consolati. Per questo le siamo molto molto grati – scrive la Bassanetti nella sua lettera a Bergoglio -. Come un buon padre premuroso, ricco di tenerezza e di misericordia, ha ascoltato il lamento di chi ha perso un figlio, l’angoscia di chi ha lasciato una persona amata (…). Abbiamo cercato di inoltrarci nel sesto capitolo, nella parte intitolata “Quando la morte pianta il suo pungiglione”. Abbiamo sentito una prossimità stretta, partecipe, che cresceva di parola in parola, già vissuta nell’udienza generale del 17 giugno 2015, interamente dedicata al lutto in famiglia».

Ritornare a vivere, dopo un lutto così grande, è possibile. «Se te lo dice una persona che è già passata attraverso quel momento di disperazione che tu stai affrontando, riesci a dare credito a quelle parole, diversamente da quanto faresti se a dirtele fosse qualunque altro soggetto, che sia un parroco o uno psicologo – ci tiene a puntualizzare Bassanetti -. Lì sta il valore della nostra comunità; non un gruppo psicologico, non uno spazio in cui elaborare il lutto, ma piuttosto una realtà grazie alla quale evangelizzare il lutto».

Il valore della testimonianza, in altre parole, come «balsamo» unico e prezioso.

«Di fronte a certi drammi ci si chiede “perché?”: ci si pongono mille domande inevitabili che la vita frenetica di ogni giorno solitamente ci spinge a mettere da parte. Dentro quello strappo, terribile, che non si rimarginerà mai, si può scoprire una nuova vita – conclude -. Quelle domande sono il primo aiuto a nostra disposizione, il primo passo per affrontare un percorso dentro di noi che può salvarci. Testimoni, non maestri: di questo oggi ha bisogno più che mai la Chiesa. E di testimoni hanno bisogno anche i genitori che si trovano nella condizione indescrivibile di chi perde un figlio».

© Riproduzione riservata

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