Religioni ed economia

“L’aria è piena di rivolta contro le cose così come stanno” (Vernon Louis Parrington, storico)

Nel 2002 incontrai l’allora famosissimo Ramon Panikkar e mi disse senza ciance: ” Per me la globalizzazione non corrisponde a nulla di positivo. Non si può pensare ad un governo mondiale, ad una moneta mondiale, ad un solo sistema mondiale. Questo è un vero e proprio terrorismo dello sviluppo.”
E’ cambiato qualcosa in questi anni? Certo, nell'ultimo decennio del Novecento il ritmo del cambiamento economico è andato accelerando su scala mondiale sullo sfondo di mutamenti ideologici politici, istituzionali e culturali non di rado tragici. Dall'euro alla new economy, dal boom della Borsa alla globalizzazione dei mercati, l’insieme di questi elementi rendono necessaria una riforma delle economie occidentali e di quella italiana in particolare, per essere in grado di soddisfare i crescenti bisogni, non soltanto materiali, di una società moderna e quindi la stessa qualità della vita. Per esempio, molti di noi sono convinti che la religione e l’economia non abbiano nulla in comune. L’economista Frank Knight, uno dei più rilevanti tra gli economisti del XX secolo, autore di opere che hanno aperto la strada alle moderne teorie, dedicò molta parte della sua vita a studiare l’influenza delle religioni sull’economia, giungendo alla tragica conclusione che l’economia in realtà è una religione. A tale proposito, il Vangelo di Luca quando parla delle tentazioni di Gesù nel deserto, il diavolo gli dice” Guarda qui sotto tutto il mondo, sarà tuo se mi adorerai”. Anche uno dei più notevoli economisti contemporanei, Robert J. Barro, studioso della crescita economica ha approfondito i rapporti tra crescita economica e religione. Il problema realmente esiste. Machiavelli, diceva che la politica non si fa con i Pater noster, al contrario, nel caso dell’economia le preghiere contano moltissimo.
Il nostro primario problema economico, come italiani, è che siamo cattolici- A dimostrazione, lo Ior fino a poco tempo fa era un’istituzione italianissima, dal momento che riusciva a fare operazioni sporche o non chiare con denaro destinato ad opere di bene. L’Italia è la terra in cui è nata ed è sempre stata praticata l’usura, anche da parte di papi e cardinali, ma è il paese dove giuridicamente il prestito a interesse non è mai stato permesso dalla Chiesa cattolica. Imprese come la Parmalat, l’Ilva, Mps, la Fiat, Mediaset, Telecom e molte altre, sono certamente tipicamente italiane, nel senso che con tranquillità praticano un capitalismo bifronte, che si riassumono con il nobile principio «ama Dio e tratta male il prossimo». Manager e proprietari sdegnano il profitto e professano ai quattro venti rispetto e deferenza verso i princìpi etici, la solidarietà e il bene del prossimo; in pratica invece non guardano in faccia nessuno e spesso non si ritirano di un passo davanti a comportamenti in grado di creare gravi danni a dipendenti, azionisti e consumatori.
C’è infine un altro aspetto molto singolare dell’economia italiana che discende dalla sua vicenda religiosa. È quello della situazione della proprietà ecclesiastica. Nessun paese al mondo ospita sul suo territorio una quantità di beni fondiari e immobili di proprietà di istituzioni religiose così ingente come il nostro. Nei maggiori comuni italiani i vescovi sono i maggiori possessori di edifici. Se riuscissimo a ridimensionare i beni della chiesa in Italia risolveremmo almeno in parte il problema del debito pubblico senza gravare sui cittadini. Ma questo rimane un grossissimo problema, non solo per noi, ma anche per gli altri popoli con diverse religioni. In ordine di tempo, cioè da quando vengono praticate, leggiamo come si comportano nel campo dell’economia.

Gli effetti della cultura sulla crescita economica: ricerche comparate
Weber negli scritti contenuti nella Sociologia Della Religione (1920) svolge un'analisi comparata delle religioni universali, allo scopo di trovare una conferma della tesi dell'influenza del protestantesimo sullo sviluppo capitalistico estendendola ad altri contesti sociali, non più limitati all'Occidente europeo, ma in una prospettiva storico-universale. Così Weber mostra che le religioni della tradizione Asiatica e Mediorientale hanno ostacolato lo sviluppo del razionalismo economico, peculiare del capitalismo moderno, favorendo invece un'etica economica tradizionalistica. 
Riconduce l'inclinazione al tradizionalismo di queste religioni al fatto che manchi una profezia etica, come si è affermata, invece, nell'ebraismo e nel cristianesimo, dove il profeta si presenta come inviato da Dio per predicare dei comandamenti che impongono degli obblighi morali generali, rivolti cioè sia all'élite intellettuali sia alle masse dei credenti, che devono seguirli se vogliono raggiungere la salvezza. 
Nelle religioni orientali, si è invece affermata una profezia esemplare, che non impone obblighi morali ma indica con l'esempio la strada da seguire (il buddhismo, ma quello che stanno facendo ai Rohingya, è obbrobrioso)). 
Tra le religioni universali è stato il confucianesimo, tipico della moderna società cinese, che non ha sviluppato nessuna profezia di redenzione, a costituire il maggiore ostacolo alla formazione di un comportamento economico razionale e allo sviluppo di un'economia capitalistica. 
Weber contrappone il sistema di valori confuciano a quello del protestantesimo ascetico, mostrando il diverso ruolo, positivo in un caso, negativo nell'altro, che essi hanno avuto sull’agire economico. La differenza principale consiste nel fatto che il razionalismo confuciano era costituito da un insieme di massime politiche e di regole di buon comportamento sociale per uomini di mondo colti. L'uomo ideale confuciano era il gentiluomo che adempiva ai doveri tramandati, e la virtù principale era costituita dal rispetto del decoro rituale. 
Perdurava pertanto una religiosità magica che si esprimeva in un insieme di valori centrati sul culto degli antenati e sulla devozione verso la famiglia, fondata sulla credenza di spiriti. La devozione familiare era la più importante rispetto a tutti gli altri doveri. Contrariamente all'etica puritana, l'etica confuciana ha consentito che nella società cinese dominasse una coesione dei gruppi parentali. 
Weber pone l'accento sui limiti che nella società cinese aveva la fiducia, che condizionavano in maniera favorevole lo sviluppo di un'economia che andasse oltre alla cerchia ristretta della comunità naturale del gruppo parentale. La rottura di questi limiti caratterizzava invece le associazioni religiose protestanti, in cui si è affermata la superiorità della comunità di fede nei confronti della comunità di sangue, persino nei confronti della famiglia. 
Fukuyama (1995) basandosi sull'analisi di Weber, pone la cadenza sulla fiducia, intesa come disponibilità alla cooperazione, che ritiene sia fondata nel tessuto associativo e faccia parte della tradizione culturale dei diversi paesi. Distingue tra società "familistiche", in cui dominano reti sociali ristrette all'ambito familiare e parentale, caratterizzate da forme di fiducia limitata, e società con un tessuto sociale più allargato, formato da gruppi e associazioni che vanno oltre il ristretto ambito della famiglia, caratterizzate da "alti livelli di fiducia". Ha condotto un'indagine comparata di quattro società familistiche, a basso livello di fiducia, la Cina, la Francia, l'Italia e la Corea del sud, e di tre società con elevato capitale sociale ed alto livello di fiducia, il Giappone, la Germania e gli Stati Uniti. Ha dimostrato, che sono le prime ad avere sperimentato la difficoltà di creare grandi organizzazioni economiche che vadano oltre la dimensione familiare e che, in ciascuna di esse, lo Stato é dovuto intervenire per creare delle imprese competitive. Nelle seconde, al contrario, vengono create spontaneamente grandi imprese e comuni che non hanno bisogno del supporto dello Stato. 
Molte altre ricerche hanno condotto un'analisi comparata tra paesi sviluppati e sottosviluppati, affrontando la questione se siano i fattori culturali a influenzare lo sviluppo economico. Inglehart (1996), ispirandosi alla tesi di Weber, ha elaborato un indice della motivazione al successo tratto da una lista di qualità a cui i bambini vengono educati in famiglia tra cui gli intervistati di ciascun paese erano chiamati a scegliere. L'ipotesi è che società diverse mettano l'accento su valori diversi nell'educare i propri figli e che tali valori siano in relazione con i tassi di crescita. L'ipotesi è stata confermata, perché è risultata una correlazione statistica molto forte tra motivazione al successo e tassi di crescita economica registrati tra il 1960 e il 1990. Utilizzando l'analisi differenziata, è stato in grado di mettere a confronto il peso che i fattori economici e quelli culturali hanno rispettivamente sullo sviluppo economico. Il ruolo dei fattori economici è confermato, in quanto sia l'investimento in capitale umano sia l'incremento del tasso di investimento in capitale materiale accrescono significativamente il tasso di crescita economica. In questo modello Inglehart ha introdotto anche i valori post-materialisti, cioè quei valori che danno la priorità all'autorealizzazione, difesa della natura e qualità della vita, che si stanno diffondendo nelle società post-moderne, e si può ravvisare come questi presentino una correlazione negativa con la crescita economica.

In linea generale, infatti, nelle spiegazioni per una crescita economica di un paese si includono solamente determinati aspetti culturali. Seppure la religione occupi una dimensione importante della cultura, molti economisti, fino ad oggi, hanno prestato poca attenzione al suo ruolo nella crescita economica.
In sei indagini internazionali condotte in 59 paesi per misurare la religiosità, la frequenza in chiesa e le credenze religiose, è stato dimostrato come la religiosità risponda allo sviluppo economico. Non solo. In questa avvincente indagine è, anche, emerso come la composizione di una appartenenza religiosa abbia notevole influenza sui governi.
È interessante, poi, notare come, nel complesso, la religiosità tende a diminuire con lo sviluppo economico.
Indiscutibilmente, cosa sia a far crescere le economie mondiali, è un tema che ha interessato numerosi pensatori di tutti i secoli. La maggior parte di noi indicherebbe aspetti quali, il livello di istruzione, l’apertura al commercio, le risorse naturali, e i sistemi politici. Una coppia di ricercatori di Harvard ha presentato un lavoro che li ha visti esaminare qualcosa come 40 anni di dati provenienti da decine di paesi, cercando di capire quale potesse essere l’impatto economico determinato da credenze o pratiche religiose. Ebbene, hanno scoperto che la religione ha un effetto misurabile sulle economie in via di sviluppo e che l’incremento di maggior impatto si ha tanto più fortemente quanto la gente crede maggiormente in un inferno.
Che l’inferno (e il versetto del vangelo di Luca in cui il diavolo dice a Gesù “Guarda queste città, se mi adorerai saranno tue”) fornisca una importanza per la crescita economica potrebbe sembrare sorprendente, dal momento che non si può dimostrare che esista, però la religione influenza la ricchezza e la prosperità di una società.
Negli ultimi anni, vari economisti italiani hanno, infatti, presentato dei risultati nei quali asseriscono che la religione può far aumentare il PIL, concorrendo, questa, a far aumentare la fiducia all’interno di una società.
Anche diversi ricercatori negli Stati Uniti hanno dimostrato che la religione riduce la corruzione e aumenta il rispetto della legge in modo da stimolare la crescita economica complessiva.
Si è anche documentato come i commercianti utilizzino credi religiosi per stabilire l’un l’altro una affidabilità.
Ora gli strumenti in possesso dell’economia moderna, permettono ai ricercatori, di far emergere un quadro più chiaro di come la prosperità delle nazioni possa dipendere, in parte, da preoccupazioni apparentemente astratte come la teologia e, qualche volta, da punti molto sfumati quale la fede o il fervore religioso.
In conclusione, l’idea che la religione possa influenzare le economie è un qualcosa di straordinario che merita la nostra riflessione.

Maria de falco Marotta
Cultura e spettacoli