“La guerra di mafia non era una possibilità peregrina ma concreta”. Lo ha detto il capo della Squadra mobile Nicola Lelario nel corso della conferenza stampa dell’operazione “Tisifone” con la quale la Dda di Catanzaro ha portato al fermo di capi e gregari delle famiglie di ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto. “Una guerra di mafia – ha spiegato il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri – nata all’indomani dell’operazione Jhonny che aveva messo a dura prova la pax mafiosa tra le famiglie crotonesi”. “Noi sappiamo che l’operazione Jhonny – ha sostenuto il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto – è stata necessaria e pericolosa anche perché ha disvelato l’esistenza di un continuo afflusso di capitali verso la galassia delle cosche di Isola Capo Rizzuto. Almeno sei famiglie si contendevano il territorio fino a quando non è arrivata la manna del Cara. Interrotta la manna, le cosche hanno cominciato a contendersi l’unico settore vitale: le scommesse on line, affare che la famiglia Capicchiano aveva deciso di monopolizzare”. “I postumi dell’operazione Jonny si sono fatti sentire – ha detto il capo della Squadra mobile di Crotone Lelario – e le famiglie di ‘ndrangheta hanno cercato di tornare sul territorio”.
L’indagine che ha portato all’operazione operazione “Tisifone”, contro le cosche del Crotonese, ha documentato i rapporti intercorsi tra le diverse famiglie di ‘ndrangheta e in particolare con la cosca Megna di Papanice e con le cosche del Petilino e i riti di affiliazione finalizzati al rafforzamento delle organizzazioni criminali. In particolare, oltre agli “affari” tra i Nicoscia la cosca Megna, con l’estorsione e l’imposizione di un servizio di sicurezza e guardiania ai danni di un noto locale sito a Le Castella, ha rivelato anche la celebrazione di diversi riti di affiliazione, che hanno visto partecipare secondo precisi rituali, i vertici di clan come Grande Aracri, Arena, Gentile, Lentini.