IL CASO

Crocifisso in aula, il «gelo» dei presidi

Il rappresentante dei dirigenti scolastici: «Se la giunta lo vuole ci sarà, ma la scuola è laica non se ne sentiva la necessità»



TRENTO. «Se ci chiederanno di mettere (o rimettere, o mantenere) il crocifisso nelle aule lo faremo, ma francamente non si sentiva la necessità di questa presa di posizione».

Rispondono così i presidi trentini all’appello del presidente Maurizio Fugatti che - citando Enrico Pruner e i suoi “cittadini italiani di nazionalità trentina” - ha “fatto presente” (queste le sue parole) ai responsabili delle scuole trentine che il Natale dovrebbe essere ricordato nelle scuole con i presepi e che nelle classi (ma anche negli uffici pubblici) non dovrebbe mancare il crocifisso”.

I presidi prendono atto, ma con una certa freddezza, almeno a giudicare dalle parole del presidente trentino dei dirigenti scolastici Paolo Pendenza, preside del Degasperi di Borgo (che comprende licei e istituti tecnici) che comincia così: «Partiamo dall’idea che la scuola è un’istituzione formativa laica. Quindi non sentivamo la necessità di questo appello. Detto questo, chiariamo che se la giunta provinciale ritiene che ci debbano essere crocifissi ci saranno, ma la questione mi pare francamente secondaria: crocifisso o meno nelle aule, la scuola continuerebbe esattamente nello stesso modo, con un lavoro educativo che viene portato avanti per 8 o 13 anni e che prevede, all’interno dei programmi, in particolare quelli di letteratura, opere come la Divina Commedia, i Promessi Sposi e altre opere di grande valore intrise di pensiero cristiano e cattolico. Ed è giusto così visto che si tratta della nostra tradizione e della nostra storia che comunque vanno oltre il simbolo del crocifisso».

Ma il professor Pendenza mette in evidenza anche un altro aspetto: «Capisco che il crocifisso (e il presepe) siano una questione di identità, ma ricordiamoci anche che la nostra identità non si può ricondurre unicamente al cristianesimo, ma ha altre fonti comunque autorevoli mi viene in mente l’Illuminismo, ma anche il Rinascimento, italiano in particolare: anche di questo siamo “figli” e allora se vogliamo parlare di identità lo dobbiamo fare in modo più complesso».













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