Igor Akinfeev David de Gea Russia Spain World Cup 2018 010718Getty

Russia, storia di una resurrezione con vista sulla semifinale

Il noi-contro-tutti a volte funziona nel calcio, ma da solo non basta, altrimenti sarebbe troppo facile. Nel caso della Russia, passata in meno di un mese da zimbello di stampa e tifosi a nazionale rivelazione capace di risvegliare entusiasmi che la gente russa nemmeno ricordava più di avere nei confronti del pallone, il carburante che ha messo in moto il tutto è stato il desiderio di rivalsa, minimo comun denominatore di molti giocatori. Una generazione con il futuro alle spalle, capace di dare un senso al proprio presente calcistico come mai accaduto prima. La Russia non superava la fase a gironi di un Mondiale dal 1986, quando ancora si chiamava Unione Sovietica e a guidarla era un ucraino di nome Valeri Lobanovsky.

Un nuovo modo di vedere la Serie A e la Serie B: scopri l'offerta!

Soprattutto, si presentava a questo Mondiale casalingo in un clima di depressione e pessimismo che non aveva eguali nella storia dei paesi organizzatori di una coppa del mondo, tanto che si ipotizzava una performance addirittura peggiore di quella del Sudafrica nel 2010, unica nazionale di casa a non essere riuscita a qualificarsi alla fase a eliminazione diretta. Dalle pagine di World Soccer, l’ex nazionale URSS Alexander Bubnov parlava di squadra “di gran lunga inferiore, in termini di qualità individuali, alle nazionali top”, concludendo che la selezione di Cherchesov era probabilmente “la nazionale più debole nella storia del calcio russo”. I numeri erano impietosi: prima del debutto contro l’Arabia Saudita, la Russia non vinceva una partita da ottobre, ed era scivolata alla posizione numero 70 del Ranking FIFA, diventando la nazionale messa peggio in graduatoria tra tutte le 32 partecipanti alla kermesse.

L'articolo prosegue qui sotto
Igor Akinfeev David de Gea Russia Spain World Cup 2018 010718Getty

Non ci sono più ottimisti in Russia”, scriveva il quotidiano Sovetsky Sport, “a eccezione di chi è costretto a esserlo per lavoro”. Un gorgo di negatività che, contro ogni previsione, anziché inghiottire definitivamente la squadra, ha finito con il donarle nuova linfa, facendole trovare una forza e un’unità fino a quel momento sconosciute. Ma, come detto all’inizio, non basta lo stato di accerchiamento permanente a far scattare la scintilla. C’è voluta la rabbia e la determinazione di chi ha qualcosa da dimostrare ed è consapevole che non gli sono rimaste molte occasioni per farlo. Uno spirito di vendetta incarnato da un giocatore come Artem Dzyuba, ma propagatosi poi in tutta la squadra, con elementi quali Denis Cherysev, Igor Akinfeev e Ilya Kutepov scrollatisi di dosso anni di critiche e occasioni mancate.

La storia di Dzyuba è stata raccontata più volte, specialmente la parte riguardante i 150mila euro sborsati per pagare la penale prevista dal contratto di prestito tra Zenit e Arsenal Tula e scendere in campo con quest’ultimi, condotti a un clamoroso pareggio all’89’ proprio da un suo gol, con tanto di esultanza davanti alla panchina di Roberto Mancini. Il tecnico che lo aveva spedito a 775 chilometri di distanza da San Pietroburgo, perché non solo non rientrava nei suoi piani, ma nemmeno voleva averlo nei paraggi.

Artem Dzyuba Russia SpainGetty

Per Dzyuba, personaggio a cui non ha mai fatto difetto la sincerità, spesso espressa in modi brutali, la vendetta era doppia: oltre gli attriti relazionali con Mancini, il suo gol toglieva pressoché definitivamente lo Zenit dalla lotta per il titolo, certificando la fallimentare esperienza russa del tecnico jesino, che infatti ha ottenuto – a dispetto dei 100 milioni spesi sul mercato – il peggior piazzamento della squadra della Gazprom in campionato dal 2008 (in quell’anno però con Dick Advocaat arrivò la Coppa Uefa).

Fosse per me, giocherei sempre”, ha dichiarato una volta Dzyuba. Questo approccio era uno dei motivi per il quale inizialmente Cherchesov  - con cui aveva litigato alla vigilia della Confederations Cup 2017, facendosi cacciare dalla squadra - non lo aveva selezionato per il Mondiale. Tenere infatti in panchina un giocatore dal carattere così esplosivo avrebbe potuto far deflagrare lo spogliatoio. Poi però c’è stato l’infortunio di Kokorin, e la chiamata per il 29enne moscoviya è stata quasi obbligata.

Il resto è storia, con Dzyuba grande protagonista sia nelle prime due partite dei gironi, sia agli ottavi contro la Spagna, dove ancora una volta è diventato l’elemento simbolo di tutta la squadra: lui un attaccante quasi immarcabile sulle palle alte (il rigore è arrivato così), la Russia disciplinata e organizzata nell’occupazione quasi militare di ogni centimetro di spazio in fase di non possesso palla. Da notare come in casa della Sbornaya il destino avverso sia stato sempre trasformato, forse anche involontariamente, in una risorsa. Detto dell’infortunio di Kokorin, ecco quello di Dzagoev al 24’ del match contro l’Arabia Saudita, che ha spianato la strada a Cheryshev, autore di 3 gol nelle prime due partite.

Figlio d’arte che non aveva mai segnato in nazionale, anche per Cheryshev questo è il Mondiale della rivincita, perché in patria lo hanno spesso snobbato, vuoi per i due grandi tornei (Mondiale 2014, Europeo 2016) saltati per infortunio, vuoi per il suo sentirsi più spagnolo (vive in terra iberica dall’età di cinque anni e ha giocato solo nella Liga) che russo, come dichiarò anni fa, aspettando una chiamata da parte delle Furie Rosse che non è mai arrivata.

Denis Cheryshev's goal against Saudi ArabiaGetty

Il match contro la Spagna ha sancito la resurrezione di Akinfeev, per troppo tempo sbertucciato a causa delle papere al Mondiale brasiliano, che avevano finito con lo sfregiare una carriera di tutto rispetto per trofei, successi, presenze in nazionale e professionalità. I due rigori parati hanno chiuso il cerchio, restituendo a uno dei migliori estremi russi di sempre quella considerazione un po’ venuta a meno a livello internazionale. Sempre in tema infortuni-rivalsa, da segnalare anche il grande vecchio Sergey Ignashevich, richiamato per disperazione da Cherchesov dopo aver perso Viktor Vasin e Georgiy Dzhikiya, entrambi per rottura del crociato. Ma il 38enne sta disputando un grande Mondiale e proprio contro la Spagna – aldilà dello sfortunato autogol dopo un match di lotta libera con Sergio Ramos – ha sfoderato un partitone.

Ennesimo rivalutato è Kutepov, a 17 anni nelle giovanili del Chelsea, ma carriera mai decollata, tanto da essere considerato uno degli anelli deboli di un reparto arretrato che già di per sé offriva pochissime garanzie. Infine Cherchesov, allenatore che nell’ultimo biennio era sembrato in pieno stato confusionale per il continuo ruotare uomini e moduli (dalla difesa a tre si è passati a quattro, poi addirittura a cinque) senza ricavare nulla su cui lavorare. Al Mondiale ha invece presentato una squadra atleticamente in ottima forma, frutto di una preparazione efficace e ben strutturata, e anche a livello tattico ha dimostrato di sapersi giocare le proprie carte, visto come ha saputo imbrigliare la Spagna.

C’è una statistica particolare che sorride alla Russia: le nazionali di casa che hanno vinto le prime due partite facendo registrare una differenza reti pari o superiore a + 5, alla fine hanno alzato la coppa del mondo. Accadde all’Uruguay (+5) nel 1930, all’Italia (+6) nel ’34 e alla Francia (+7) nel ’98. Dopo le partite contro Arabia Saudita e Egitto, la Russia era a +7. Ovviamente nessuno osa crederci, nemmeno Dzyuba. “Noi continuiamo ad ascoltare gli esperti”, ha dichiarato con il consueto sarcasmo, “e loro dicono che la prossima partita non la vinceremo”.

Pubblicità