Fatti del '21, il Pci empolese: "Opera revisionistica in Consiglio comunale"

Il 27 febbraio del 1921 un gruppo di fascisti armati entrò nella sede fiorentina del Sindacato Ferrovieri Italiani e uccise a revolverate Spartaco Lavagnini, popolarissimo leader sindacale e del neonato Partito Comunista d’Italia. Pochi giorni prima Lavagnini aveva inaugurato la sede empolese del Pcd’I, città amministrata da pochi mesi da una Giunta Municipale socialista.

Lo sciopero proclamato dopo l’assassinio assunse il carattere di una vera e propria rivolta popolare contro i fascisti e le forze dell’ordine, conniventi con essi.

Ormai da mesi le squadracce fasciste imperversavano, devastando case del popolo, sedi politiche e sindacali, picchiando e a volte uccidendo i dirigenti sindacali e politici di Sinistra. La Guardia Regia e i Regi Carabinieri quasi sempre lasciavano agire indisturbati i fascisti, reprimendo poi duramente qualsiasi reazione popolare alle violenze subite, come del resto avvenne in tutta Italia.

I militari vennero utilizzati per cercare di vanificare lo sciopero dei ferrovieri e far funzionare i treni.

La mattina del 1° marzo 1921 furono prelevati da La Spezia circa cinquanta fuochisti e macchinisti della Marina Militare, inviati a Livorno e qui caricati su tre camion in direzione Firenze. Scortati da diciotto carabinieri al comando di Valerio Bachini, noto per essere uno specialista in fatto di repressione delle manifestazioni popolari, avrebbero dovuto sostituire i ferrovieri fiorentini in sciopero. Alcuni marinai vennero svestiti delle loro divise per indossare abiti borghesi e armati fornendo loro in poche ore il porto d’armi nominativo, non necessario per i militari in divisa. Invece di utilizzare la ferrovia, occupata in quei giorni militarmente, fu preferito il trasporto via camion nonostante il rischio di dover passare attraverso molte città “rosse” in subbuglio.

È quindi molto probabile che si sia trattato di una provocazione orchestrata per far leva sull’esasperazione diffusa dalle violenze fasciste. Una provocazione che desse l’alibi per una successiva repressione.

A Empoli si era formato da qualche tempo un gruppo di “Guardie Rosse” comuniste con funzioni di autodifesa, ma anche socialisti, repubblicani e anarchici si aspettavano scorrerie fasciste ed erano decisi a resistere.

Una volta che i camion furono entrati nel cuore della città, iniziarono i violenti combattimenti. Erano circa le 17 e la tensione era alle stelle. Lungo il percorso che attraversava Empoli si verificarono numerosi scontri a fuoco tra la popolazione locale e i passeggeri dei due camion che nel corso delle agitazioni presero direzioni diverse. Dai balconi e dai tetti empolesi vennero lanciati sulla testa dei malcapitati marinai pietre, piatti, tegole, acqua bollente, mentre dalle barricate organizzate sulla strada principale vennero sparate revolverate e fucilate.

Quando si capì che era stato commesso un tragico sbaglio il sindaco socialista Mannaioni, gli assessori del Comune e alcuni dirigenti socialisti e comunisti cercarono di sedare gli animi e convincere la folla della reale identità degli aggrediti. Una volta compreso il grave errore, la città di Empoli si mise al servizio dei marinai e carabinieri, offrendo loro cure, assistenza e rifugio all’interno dei locali del Comune.

Durante quei tragici momenti le forze dell’ordine non avevano tentato di sedare la rivolta. Il commissario di Pubblica Sicurezza era a conoscenza dell’agitazione che si stava diffondendo in città già dal primo pomeriggio del 1° marzo e avrebbe quindi avuto il tempo per radunare e organizzare le truppe necessarie per poter fronteggiare eventuali insubordinazioni. Durante quegli interminabili minuti di guerra civile per le strade di Empoli non si videro rappresentanti delle forze dell’ordine, visto che nel frattempo si erano barricati in caserma con i propri familiari.

Questa defezione, assieme a tutti gli altri aspetti poco chiari della vicenda, fece sì che gli antifascisti arrivassero ad un unico e condiviso verdetto: si era trattato di una provocazione frutto di un piano ben preciso volto all’annullamento dell’egemonia delle forze di Sinistra ad Empoli. Il sacrificio dei nove ignari marinai e carabinieri sarebbe dovuto servire da pretesto per lanciare un’efficace controffensiva fascista che demolisse definitivamente la roccaforte rossa del Valdarno Inferiore, con la complicità della stessa polizia e magistratura.

L’Amministrazione socialista venne sciolta d’autorità e le squadracce fasciste arrivarono davvero, devastando Casa del Popolo e sedi delle organizzazioni popolari.

L'8 maggio del 1924 s'aprì, davanti alla Corte d'assise di Firenze, il processo per i 132 imputati. Il 31 ottobre dello stesso anno, il presidente della corte Mario Bosio lesse la sentenza, contenente novantadue condanne e quaranta assoluzioni. Molti degli arrestati vennero selvaggiamente torturati e alcuni di loro morirono in carcere.

Il Gruppo Consiliare empolese “Ora si cambia”, purtroppo creato e composto anche da ex dirigenti di spicco del vecchio Partito Comunista Italiano, oltre che del Centrodestra, ha ritenuto di presentare tramite il consigliere Borgherini una mozione per l’affissione di una targa commemorativa delle nove vittime di quel 1° marzo. Dalla loro parte si è naturalmente schierato il consigliere Andrea Poggianti, sempre in prima fila quando si tratta di riscrivere la Storia e di riabilitare chi ha combattuto per la parte politica il cui principale esponente penzolava in Piazzale Loreto a fine aprile 1945, per aver mandato al confino, in galera e al massacro in guerra centinaia di migliaia di persone.

Noi comunisti riteniamo che questa proposta, giustamente respinta dal Consiglio Comunale di Empoli, rientri nella pluriennale opera revisionistica tesa a trasformare in accusati i comunisti, la Sinistra, i Partigiani e a riabilitare l’Italia monarchica e il fascismo, quando non direttamente i repubblichini di Salò.

Gli eredi spirituali di quella monarchia sabauda che mandò consapevolmente al macello quei marinai, oggi vorrebbero strumentalizzarli di nuovo, affiggendo una lapide ufficialmente in loro omaggio, ma di fatto a mo’ di condanna della "barbarie dei carnefici” (Poggianti).

Pci - Empolese Valdelsa



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