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Politica

Ricandidature all'asta e i franchi tiratori diventano solo 50

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Alla fine la lotteria dei franchi tiratori si trasforma in un'asta per i nuovi collegi. Pippo Civati, parlottando coi suoi, all'ennesima sigaretta: "Oggi ne sto sentendo di tutti i colori... Rosato è venuto a offrirmi un collegio, dicendo 'torna con noi, tu vieni rieletto". Offerte, parole rassicuranti, coccole a parlamentari normalmente ignorati, battute, dialoghi anche muti, per sedare le paure del potenziale franco tiratore. La sala lettura è quasi buia, due carneadi del Parlamento si scambiano foglietti, senza parlare: "Veneto 1, quanti?" scrive l'uno. L'altro: "25".

Il seggio è tutto, e tutto ruota attorno a un seggio, in una giornata senza pathos, a tratti noiosa, di una legge elettorale vissuta tra i contrenti del "patto" come una pietanza sciapa, nella cucina della politica. E alla fine, la strategia della rassicurazione funziona. Ai favorevoli alla legge mancano 66 voti rispetto ai voti disponibili. Una quarantina gli assenti. Quella vecchia volpe di Angelo Sanza, che fu sottosegretario alla presidenza del consiglio con De Mita e ora è un ascoltato amico di Pisapia, nel pomeriggio spiega sornione: "Sono tutti morti di paura. Guardali: anime disperse. Ognuno cerca il suo collegio, ma nessuno sa dove sta". Poi fornisce l'identikit del franco tiratore: "In linea di massima sono quelli che hanno un po' di voti. E dunque vogliono il proporzionale perché così hanno le preferenze. Però siccome hanno i voti vogliono essere ricandidati e dunque hanno paura di essere beccati. Per questo friggono. Nel Pd i portatori di voti sono pochi, il grosso sono i ragazzotti di Bersani che ora stanno con Renzi perché li deve rinominare".

In sala fumatori, c'è la fila attorno a Giacomo Portas. "Quanti ne eleggiamo in Lombardia?". Giacomo Portas è il leader dei Moderati, una lista regionale del Piemonte, circa 50mila voti. Con questo sistema elettorale, servono come il pane per vincere nei collegi da quelle parti. Aria sorniona, Portas custodisce gelosamente nel proprio smartphone un file excel da lui elaborato, con tutte le simulazioni possibili di riparto dei seggi, per ogni collegio uninominale e plurinominale, in base alle possibili percentuali di consenso di tutti i partiti: "Giacomo, secondo te, quanti ne scattano sul proporzionale in Sicilia? Facci vedere il foglio". Manca qualche ora al voto sul Rosatellum. I peones di tutti gli schieramenti chiedono rassicurazioni sul proprio futuro.

Transatlantico presidiato. Ecco Lorenzo Guerini, il mite vicesegretario del Pd, grande tessitore della trama con i parlamentari di Pisapia. Parla a uno ad uno con tutti i colelghi: "Sono giorni che ho messo qui le tende". I democristiani, come si faceva una volta, presidiano il territorio. E in lunghi discorsi intrecciano spiegazioni politiche e rassicurazioni personali. Parlamentari presi sottobraccio, fino a corridoio dei passi perduti. Dario Franceschini, unico dei ministri presenti sin dal mattino, erano mesi che non lo si vedeva così presente. Si siede sui divanetti, telefona, va a pranzo con Rosato: "È il capocorrente di Mattarella nel Pd – sussurra malizioso un parlamentare. Deve garantire la riuscita dell'operazione. I nostri stanno come i matti". I più inquieti sono i lombardi, i veneti, i siciliani deve senza coalizione il maggioritario è un bagno di sangue. L'intera giornata è seguita da Matteo Renzi, a distanza, che chiama direttamente i "capibastone", per tenere le fila del controllo del voto.

Uomini più agitati delle donne, perché col meccanismo dell'alternanza di genere hanno più chances di rientrare, parlamentari di Forza Italia più agitati di quelli del Pd. Soprattutto quelli del Sud, che hanno dovuto ingoiare l'alleanza con Lega e che dovranno garantire l'elezione di parlamentari del Carroccio. Sono almeno venti, venticinque, tanto che a metà giornata Mara Carfagna deve uscire in agenzia per rassicurare che "Forza Italia sarà leale".

Scorre così la giornata che di fatto chiude la legislatura senza picchi, senza la solennità di una discussione all'altezza dell'importanza della legge. Dentro il Palazzo, le candidature promesse sono la colla di questa manovra di Sistema in cui i leader salvano se stessi e tirano su un meccanismo perfetto per far fuori gli altri (le "ali" si sarebbe detto una volta). Gli altri, che in questo essere fuori, ritrovano la piazza di un tempo, urlante di fronte al portone del Palazzo, "o-ne-stà", "o-ne-stà". E con essa il leader, l'emozione, il brivido del 2013, l'essere "contro" un sistema che li taglia fuori. "Bel favore gli abbiamo fatto, erano spompati", dicono dentro, dove rimbomba, per tutto il giorno, questa sorta di resurrezione ai limiti del parossismo, quando l'urlo "Roma ti ama" annuncia l'arrivo della Raggi.

A metà pomeriggio un silenzio denso, rispettoso, attento, attraversa l'Aula, quando prende la parola Pier Luigi Bersani. Il suo è un discorso composto, appassionato: "Chiedo io: dove sono i liberali, quelli che dicono che le regole sono sostanza? Lo dico col cuore in mano: se ci fermiamo non si va nel caos, ci sono soluzioni abbordabili anche negli ultimi mesi di legislatura". Scatta invece un applauso, nella piazza pentastellata, quando Roberto Speranza parla di "pagina nera" e annuncia che, da oggi, Mdp sarà all'opposizione. Come gli altri esclusi dalla forzatura di Sistema. Alle 21,30 si illumina il tabellone dell'Aula. E nell'applauso del Pd si confondono tutti, sommersi e salvati.

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