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Politica

Finta apertura su Visco, Renzi va come un treno contro Bankitalia

Barcroft Media via Getty Images
Barcroft Media via Getty Images 

Altro che fase zen. Un profluvio di dichiarazioni, di finte aperture, di mosse che trasformano la commissione di inchiesta in una graticola mediatica e nel set perfetto di una campagna elettorale, giocata sul terreno delle banche. Eccolo Matteo Renzi, tornato carico, adrenalinico lo descrivono i suoi, in un mood quasi da nuovo 4 dicembre alimentato da questa strategia della tensione bancaria. "Anche se dovesse confermare Visco prenderò atto della decisione del governo e qualsiasi decisione sarà non intaccherà minimamente i nostri rapporti": parole, nella sua intervista ad Avvenire, solo apparentemente concilianti e istituzionalmente rispettosa.

In verità è solo un modo per mettere sotto pressione il governo, caricandolo della responsabilità di una scelta le cui conseguenze sarebbero evidenti sin da ora. Se dovesse confermare Visco, il minuto dopo sarà come il minuto prima, se non peggio. Ci sarebbe un governatore atteso nella commissione di inchiesta da un partito che ha lo spirito di un plotone di esecuzione. Basta leggere l'intervista del presidente del Pd Matteo Orfini all'HuffPost: "In Parlamento c'è una commissione d'inchiesta che non si può silenziare, condizionare, fermare. E dunque continuerà nel suo lavoro di analisi della adeguatezza nella gestione delle crisi da parte degli organismi di vigilanza".

Insomma, il processo a Bankitalia continua, secondo i capi d'accusa ripetuti in questi giorni come un mantra: la difesa dei risparmiatori contro i salotti, le ragioni dei truffati contro il bon ton istituzionale. Alla festa del Foglio, nella sua Firenze, ad applaudirlo in platea nell'arringa contro Bankitalia c'è papà Renzi e Denis Verdini, condannato a nove anni nell'ambito del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino (7 anni per la bancarotta e 2 per la truffa). Il segretario del Pd parla di "commissari profumatamente pagati", si scaglia sugli errori del "sistema di vigilanza" di Bankitalia, senza mai nominare i management delle banche (a partire da Etruria): "Non è lesa maestà, non si può dire che qualcuno è intoccabile e i politici sono sempre colpevoli, è una visione allucinante".

Anche la proposta di Matteo Orfini si inserisce in questo clima. Quella di "desecretare le carte oggetto dell'attività della commissione, in modo da rendere ancor più trasparente il nostro lavoro". Proposta irrituale per una commissione di inchiesta, perfetta per alimentare la narrazione del "noi vogliamo la verità, voi difendete segreti indicibili" qualora non venisse accolta. E qualora venisse accolta trasformerebbe la commissione parlamentare in un set mediatico.

Ecco, la fase zen deflagra nella rottura di ogni prassi istituzionale, nel riflesso condizionato di alzare il tiro ogni volta che esce sui giornali il nome di banca Etruria. In questa storia in cui nessuno ha chiarito se la mozione parlamentare dello sfratto a Visco è stata inviata in Parlamento dall'ufficio legislativo della Camera o da quello di palazzo Chigi. E in cui nessuno mette in discussione la presenza di Maria Elena Boschi al prossimo consiglio dei ministri che dovrà occuparsi dell'indicazione del prossimo governatore di via Nazionale, che in teoria potrebbe di nuovo occuparsi della vicenda che coinvolge Boschi senior, già multato da Consob e Bankitalia.

Bankitalia, ma non solo. Martedì la legge elettorale, altro strappo. Perché lo spiraglio per non mettere la fiducia a palazzo Madama è sempre più sottile. Martedì parla Napolitano. E le sue obiezioni nel merito sono insidiose. E poi ci sono le insidie su altri punti: se qualche senatore, nei voti segreti sulle minoranze linguistiche, volesse dispettosamente cambiare una virgola, la legge tornerebbe a Montecitorio e quel punto, dicono gli esperti, "diventa difficile avere una legge pronta per votare a marzo, bene che va è aprile". E non è un mistero che il segretario del Pd ha già fissato, nella sua testa, le elezioni tra il 4 e il 18 marzo, non oltre, immaginando lo scioglimento il tra il 23 dicembre e l'inizio di gennaio. Convinto che, in qualche misura, il capo dello Stato non poteva non dirsi d'accordo. Almeno così era prima che su Bankitalia scendesse il gelo tra i due.

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