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Politica

Zaia pigliatutto. Si rafforza la special relationship con Salvini

Referendum Veneto. Il trionfo di Zaia. "Questo risultato come il crollo del muro di Berlino"

Alla fine, col suo passo da montanaro, lento e discreto, il governatore del Veneto Luca Zaia è arrivato sulla vetta. E lo ha fatto surclassando un big storico del suo partito come Roberto Maroni. Una vetta mai raggiunta prima da un amministratore leghista, nemmeno ai tempi del mito padano celebrato da Umberto Bossi: un pronunciamento netto, certificato e ufficiale degli elettori della sua regione in favore di quella devolution che non nessuno è riuscito a realizzare, nemmeno quando i titolari delle riforme erano Roberto Calderoli e lo stesso Bossi.

Ora Zaia potrà farlo, sventolando davanti al Governo dei dati inconfutabili. Che hanno visto la maggioranza assoluta dei cittadini della sua regione esprimersi - come minimo - per una maggiore autonomia. Dati che pesano come macigni, soprattutto se raffrontati con quelli molto più tiepidi della Lombardia, dove i cittadini che hanno seguito l'appello di Bobo Maroni sono stati molti meno del 50 per cento. Che, da qualsiasi parte la si voglia vedere, nel caso di un referendum autonomista rappresenta la soglia psicologica in grado di legittimare il successo oltre ogni dubbio.

Ma al di là dei tecnicismi e delle procedure previste dalla Costituzione per il dopo-referendum, all'interno del recinto del centrodestra e tra gli osservatori interessati all'esito della consultazione, chi si è chiesto a caldo come il trionfatore di domenica notte avrebbe deciso di passare all'incasso, ha avuto già una serie di risposte. Il primo dato, è che, all'interno del Carroccio, Zaia ha messo la sua affermazione al servizio della leadership salviniana. Il governatore ha già fatto sapere di volersene restare a Venezia, per condurre in prima persona la trattativa che farà del Veneto la sesta regione a statuto speciale, o qualcosa di simile.

Per il momento, quindi, non giocherà un ruolo pesante nelle dinamiche di via Bellerio e, in prospettiva, sugli assetti del costituendo centrodestra. Alle ultime primarie per la segreteria leghista, l'alleanza tra Zaia e Matteo Salvini si è rivelata saldissima, tanto che i veneti hanno tributato al segretario in carica un voto bulgaro (circa il 90 per cento), e non è un caso che quest'ultimo si sia affrettato a manifestare la propria soddisfazione per il raggiungimento e il superamento del quorum ben prima della chiusura delle urne.

Una sintonia che stasera esce rafforzata: commentando a caldo la vittoria di domenica, Zaia ha parlato di "big bang delle riforme", scomodando addirittura il paragone col crollo del muro di Berlino, e ha definito "endemica" la via del referendum, ponendosi come apripista per tutte le regioni italiane, sulla via della concessione di maggiore autonomia. Proprio quello che, contemporaneamente, dichiarava Salvini sui social auspicando referendum di questo tipo in tutte le altre regioni italiane e riconducendo il tutto nell'alveo della linea politica "nazionale" inaugurata con la sua segreteria.

Diverso, come detto, il discorso per Bobo Maroni, che negli ultimi tempi aveva dato più di una sponda a chi lamentava, al pari di Umberto Bossi, l'abbandono delle istanze nordiste da parte di Salvini. La freddezza del segretario per la performance del governatore lombardo non è passata inosservata, ed è stata se possibile amplificata dall'immediato tentativo di Maroni di restare agganciato al traino del voto veneto, chiamando Zaia a fare insieme a lui la "battaglia del secolo", dopo aver tenuto a precisare che la consultazione di domenica non rappresentava una competizione tra i due presidenti di regione leghisti.

Eppure lo scarto pesa, tanto che già nelle ore successive al voto non è mancato chi è arrivato a ipotizzare problemi per l'eventuale ricandidatura di Maroni al Pirellone, parlando di "flop" o di performance fiacca. Nel frattempo, però, il risultato del referendum sembra giovare, al netto del fisiologico affollamento bipartisan sul carro del vincitore, al centrodestra nel suo complesso e, con un occhio alle prossime Politiche, allo stesso Silvio Berlusconi. Il quale, in virtù di un fiuto politico che tutti gli riconoscono, aveva colto la palla al balzo e messo il proprio sigillo su questa operazione.

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