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Esteri

"Raqqa come Dresda". I russi accusano Washington di bombardamento punitivo

Rodi Said / Reuters
Rodi Said / Reuters 

Raqqa come Dresda. Così la pensano a Mosca. Un bombardamento punitivo, quando i miliziani dell'Isis avevano già abbandonato il campo. Bombardare per far intendere che, nell'inferno siriano, nelle città sunnite conquistate dai jihadisti del Califfato, chi non si ribella è un complice o comunque fa parte di una popolazione, di una etnia, di una religione "oggettivamente" collusa col Nemico. Allora, mentre Hitler era rintanato nel suo bunker di Berlino circondato dai soldati dell'Armata Rossa, Winston Churchill dette ordine di bombardare a tappeto Dresda. Non vi era una ragione strategica, il Terzo Reich era stato sconfitto, ma quelle bombe che rasero al suolo la città erano una risposta ai bombardamenti della Lutwaffe su Londra. Una "lezione" che costò la vita a decine di migliaia di tedeschi.

Secondo i russi, la storia sembra essersi ripetuta, su scala diversa, a Raqqa. Il membro del comitato della Duma di Stato russa per gli affari esteri Adalbi Shkhagoshev ha dichiarato che nei bombardamenti sono morti migliaia di civili paragonando il bombardamento di Raqqa a quello della città di Dresda nel 1945.

"Quello che gli Stati Uniti hanno fatto a Raqqa merita di essere definita una barbarie politico-militare. Ora, alla fine dell'operazione in Siria, gli Usa perseguono un solo obiettivo: ottenere gli stessi risultati ottenuti in Siria dalle forze governative siriane e l'aviazione russa", ha spiegato Shkhagoshev ai giornalisti. Il parlamentare ha aggiunto che le "dichiarazioni vittoriose dell'amministrazione statunitense non suscitano altro che ulteriore indignazione".

"L'operazione militare in Siria è vicina alla fine, più del 90% del territorio della repubblica è controllato dal governo di Assad. Possiamo dire che le nostre forze utilizzano i migliori strumenti per sterminare lo Stato Islamico che ci permettono di misurare ogni passo, mentre gli Stati Uniti e la coalizione fanno queste cose, questo è incomprensibile", ha concluso Shkhagoshev. Mosca ha quindi accusato i Paesi occidentali di riversare aiuti a Raqqa per nascondere la portata della distruzione causata dai bombardamenti: "C'è solo un motivo per tutto questo. Cancellare le tracce dei barbari bombardamenti dell'aviazione americana e della coalizione che hanno sepolto sotto le rovine migliaia di cittadini pacifici 'liberati' dagli Stati Uniti".

Dietro le bordate polemiche, e gli imbarazzanti parallelismi storici, si nasconde lo scontro apertosi tra Mosca e Washington, tra Putin e Trump, sul futuro della Siria una volta sconfitto lo Stato islamico. Non ha dubbi in proposito il vicepresidente della commissione Difesa della camera alta del Parlamento russo Franz Klintsevich: "Lo stanziamento immediato di milioni di dollari e di euro a Raqqa è un altro esempio dei doppi standard in Siria della coalizione guidata dagli Stati Uniti, un esempio di spartizione", dichiara Klintsevich. Che aggiunge: "A mio parere prima di tutto ci sono tentativi separatisti per trasformare Raqqa nella capitale di un'altra Siria, la Siria non controllata da Bashar Assad. Annota sul Sole24Ore Roberto Bongiorno: "Come verranno ridisegnati questi confini, e chi si prenderà le zone e le città – inclusi i pozzi petroliferi – un tempo controllati dall'Isis? Se gli iracheni sono determinati a riprendersi tutte le aree che i peshmerga curdi avevano strappato all'Isis, e lo stanno già facendo con successo, le Ypg siriane probabilmente vorranno estendere la loro zona di influenza - da oltre un anno una sorta di regione autonoma lungo il confine con la Turchia - forse fino a Raqqa".

Resta il dramma di una città fantasma, Raqqa, che prima di Isis era abitata da 300 mila persone e dove ora ne rimangano meno di 25 mila. Secondo gli attivisti locali sono almeno mille le vittime civili dei raid della coalizione. Tra droni, cannoni e barili-bomba, la diplomazia cerca di battere un colpo. E tenta strade negoziabili. "La mia personale proposta – annota l'ex ambasciatore italiano negli Usa Giovanni Castellaneta - è la convocazione di una conferenza di pace internazionale sulla Siria, a cui prendano parte tutti gli stati mediorientali e che sia finalizzata alla stabilizzazione politica a Damasco (che non può prescindere dal rispetto dei diritti umani), alla normalizzazione dei confini iracheni e alla ricerca di una soluzione condivisa che riconosca autonomia ai curdi, nel quadro di una gestione condivisa delle risorse petrolifere presenti nella regione. Le grandi potenze straniere che hanno interessi nella regione – Stati Uniti, Russia, Unione europea – dovrebbero ovviamente partecipare con il ruolo di garanti...". Insomma, una sorta di "Jalta mediorientale" per ridisegnare il volto del nuovo Medio Oriente, iniziando dalla Siria.

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