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Esteri

Il premier Hariri attacca l'Iran e si dimette, a rischio destabilizzazione anche il Libano

Mohamed Azakir / Reuters
Mohamed Azakir / Reuters 

Il Libano rischia di esplodere. E la crisi politica e istituzionale può sfociare in guerra aperta, aprendo un altro fronte nel destabilizzato Medio Oriente. Lo schema è quello che ha sconvolto la Siria, terremotato lo Yemen, destrutturato l'Iraq: sciiti versus sunniti. Con Israele già pronto a un nuovo conflitto armato con il Paese dei Cedri come campo di battaglia. Ombre minacciose sul futuro del Libano.

Il premier Saad Hariri ha annunciato le sue dimissioni. Lo riporta Al Arabiya. Hariri è in visita in Arabia Saudita. L'annuncio delle dimissioni di Hariri è stato trasmesso in diretta da Al Arabiya. Nella sua dichiarazione l'ex premier ha accusato l'Iran di ingerenze nella politica del mondo arabo. È la seconda volta in cinque giorni che Hariri si reca in Arabia Saudita. "Il braccio dell'Iran nella regione sarà tagliato, ha detto attaccando Hezbollah. Nominato primo ministro alla fine del 2016, ha guidato un governo di unità nazionale formato da 30 membri tra cui anche componenti di Hezbollah. Nel suo discorso di dimissioni Hariri ha lasciato intendere di temere per la propria vita e di aver percepito oggi in Libano la stessa tensione che c'era prima dell'assassinio di suo padre Rafiq Hariri, nel 2005.

Il momento scelto, il luogo scelto, la motivazione scelta: tutto converge sul peggio. Perché Riyadh, così come Gerusalemme, non possono permettere che si rafforzi la direttrice sciita Baghdad-Damasco-Beirut. Le motivazioni addotte dal giovane ex premier sono le stesse che circolano con insistenza e da tempo nel Regno Saud come nello Stato ebraico, in Egitto come nelle petromonarchie sunnite del Golfo: il Partito di Dio sciita libanese altro non è che il braccio armato di Teheran in Medio Oriente. Quel braccio "va tagliato" tuona Hariri. E lo stesso pensa e dice il presidente degli stati Uniti, Donald Trump, decisamente schierato con il fronte sunnita anti-iraniano e che ha deciso recentemente di affossare l'accordo sul nucleare voluto dal suo predecessore alla Casa Bianca, Barack Obama. Analisti indipendenti a Beirut confidano all'Huffington Post la loro preoccupazione: la convinzione comune che il gesto di rottura di Hariri sia stato fortemente voluto, preteso dai sauditi, che non potevano accettare che in Libano fosse in vita un governo che, per la Costituzione, deve essere guidato da un sunnita, ma che, secondo Riyadh, era egemonizzato da Hezbollah.

Ecco allora ripresentarsi il problema mai risolto e che già in passato è stato foriero di crisi finite nel sangue: la smilitarizzazione delle milizie di Hezbollah. Una richiesta che non ha mia avuto seguito. "Hezbollah è nel governo istituzionale e al tempo stesso si comporta come un contropotere armato, come uno stato nello stato", si lascia andare, con la garanzia dell'anonimato, un dirigente vicino al premier dimissionario. "La situazione è molto grave – aggiunge -. Hezbollah sta sfruttando i successi militari in Siria (dove le milizie di Hassan Nasrallah combattono a fianco dell'esercito lealista, ndr) per consolidare le sue posizioni interne e creare le condizioni per uno stato sciita che unisca una parte della Siria con la Beqaa che Hezbollah controlla militarmente". Ed è su questa dorsale che il Partito di Dio riceve le forniture di armi da parte iraniana. Ed è proprio in questa zona strategica ai confini tra Siria e Libano, che si sono ripetute nei mesi scorsi incursioni aeree dei caccia israeliani contro convogli o depositi di armi destinati, secondo l'intelligence militare di Gerusalemme, alle milizie di Hezbollah.

Quelle incursioni, rilette alla luce delle dimissioni di Hariri e delle motivazioni addotte, sembrano essere il preludio di una guerra che sarebbe devastante per tutto il Medio Oriente. "Tre delle cinque guerre d'Israele sono scoppiate in estate, nel 1967, 1982 e 2006. Una nuova guerra sarebbe diversa, con uno scenario apocalittico per il Libano, Israele e per l'intero Medio Oriente. A differenza dei conflitti precedenti, rappresenterebbe una battaglia per la sopravvivenza di Hezbollah. Il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha più volte ripetuto di essere pronto a combattere", rimarca Sami Moubayed in un documentato report su Asia Times.

"Se Hezbollah farà l'errore di andare a un conflitto con Israele, il Libano tornerà all'età della pietra", ha affermato lo scorso settembre Yoav Galant, ministro dell'edilizia del governo Netanyahu e generale della riserva, mentre nel Nord di Israele proseguivano le esercitazioni militari di preparazione proprio ad una possibile guerra tra lo Stato ebraico e il movimento sciita libanese. "Hezbollah è oggi un nemico atipico perché nel mondo non sono molti a disporre di 100 mila missili" ha detto Galant in un'intervista radiofonica. Secondo Galant l'Iran si starebbe assicurando il controllo di fatto di un territorio va dal Golfo fino al Mediterraneo. È questa la teoria del cosiddetto "corridoio sciita" che, nelle affermazioni israeliane, porterebbe Tehran a stabilire basi militari permanenti in Siria. Le dinamiche regionali influenzano pesantemente, e non da oggi, le vicende interne al Libano. Al centro delle quali, almeno negli ultimi anni, vi sono due figure-chiavi nel panorama politico del Paese dei Cedri: Saad Hariri e lo sheikh Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah. Nominato primo ministro alla fine del 2016, Saad Hariri ha guidato un governo di unità nazionale formato da 30 membri tra cui anche componenti di Hezbollah. "Viviamo in un clima simile all'atmosfera che ha preceduto l'omicidio di mio padre Rafik al-Hariri (ucciso da un'autobomba il 14 febbraio 2005, ndr). So che c'è un piano per colpire la mia vita", ha spiegato il premier, sempre secondo quanto riferisce l'emittente Al Arabiya. Un passo indietro nel tempo.

Venticinque luglio 2017: "Hezbollah rappresenta una minaccia per la sicurezza dell'intero Medio Oriente", sentenzia Donald Trump nella conferenza stampa alla Casa Bianca dopo aver incontrato Saad Hariri. D'altro canto, anche alla luce dei successi militari conseguiti nella guerra siriana, Hezbollah, ormai considerato da numerosi analisti vera forza regionale dell'area, non nasconde più le proprie capacità militari ed ha fatto mostra del proprio arsenale, composto anche da carri armati e mezzi blindati, nella parata militare del novembre 2016 in Siria. Al Akhbar, quotidiano libanese, afferma come, grazie al suo intervento militare in Siria ed alla lotta contro i miliziani jihadisti di Daesh e Al Nusra all'interno dei confini nazionali, "Hezbollah si sia affermato ormai come la vera risorsa militare del paese per difendere la sua integrità territoriale da qualsiasi minaccia (Al Nusra, ma soprattutto Israele, ndr)". E da vincitore si comporta e parla Nasrallah. "Hezbollah – ha avvertito in un discorso trasmesso da Al-Manar, la Tv del Partito di Dio sciita – non è più quello del 2006, ha capacità militari offensive e difensive migliori e resta vigile lungo tutti i suoi confini... L'entità sionista dovrà pensare bene se lanciare una nuova operazione militare in Libano per vedere, poi, decine di migliaia di combattenti sciiti provenienti dall'Iraq, dall'Afghanistan e dalla Siria entrare nei suoi territori".

Nel frattempo. L'annuncio a sorpresa di Hariri terremota la politica libanese. Il capo di stato, Michel Aoun (cristiano), annuncia un comunicato della presidenza libanese, ha avuto un colloquio telefonico con il primo ministro che lo ha informato delle sue dimissioni. Aoun attende il rientro a Beirut di Hariri per discutere con lui le motivazioni del suo atto e le sue conseguenze, conclude il comunicato della presidenza. Il presidente del parlamento libanese, lo sciita Nabih Berry, che si trova in visita in Egitto, ha annunciato che rientrerà immediatamente in Libano per seguire da vicino gli sviluppi della crisi. Durissima è la presa di posizione del leader druso, e capo del Partito socialista progressista, Walid Jumblatt: "Le dimissioni di Hariri – afferma Jumblatt – sono un atto di irresponsabilità politica, che avrà gravi ripercussioni sull'economia del paese e sulla stabilità del Libano. E poi – insiste Jumblatt – Saad Hariri ha mancato di rispetto al suo paese, annunciando le dimissioni a Riyadh e non a Beirut". Di segno opposto è la presa di posizione di una fonte vicina alla Coalizione 8 Marzo, di cui l'ex premier è il leader. "Noi siamo pazienti e ragionevoli – dice la fonte al quotidiano di Beirut 'Lorient- Le Jour', commentando a caldo le dimissioni del primo ministro – ma a tutto c'è un limite. Veniamo accusati di essere

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