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Politica

Gianrico Carofiglio: "A sinistra c'è un'assurda pulsione al suicidio collettivo"

ANSA
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Una pulsione di morte: "La sinistra italiana oggi mi fa venire in mente una leggenda naturalistica. Parecchi anni fa un documentario raccontò la vita di un roditore artico, il lemming. Si vedevano moltitudini di lemming lanciarsi da un burrone, praticando così un vero e proprio suicidio di massa. In seguito molti naturalisti hanno messo in dubbio l'attendibilità scientifica di quel documentario, ma da allora parlare di lemming significa riferirsi a una innaturale, irresistibile, assurda pulsione al suicidio collettivo". Gianrico Carofiglio è uno scrittore che detesta la parola intellettuale: "La trovo un'espressione autoreferenziale, pretenziosa e compiaciuta. E non mi sento a mio agio nei panni di chi vuol spiegare il mondo agli altri".

La definizione che dà di se stesso è "raccontatore di storie", anche se non teme di compromettere la sua letterarietà esprimendo le idee che ha su ciò che gli accade intorno: "Il Partito democratico e i partiti alla sua sinistra stanno tentando con molta determinazione di autodistruggersi. E ci riusciranno se qualcuno non fermerà questa corsa insensata verso l'auto-annientamento guidata dalla miopia e dai personalismi".

Nella vita, Carofiglio ha fatto il senatore della Repubblica con il Partito democratico di Veltroni e di Bersani, il giudice e il pubblico ministero. Da poco, ha pubblicato il suo tredicesimo romanzo, "Le tre del mattino" (Einaudi), una storia sul passare del tempo, dell'amore e del talento, in cui ci sono un padre, un figlio, Marsiglia, la matematica, l'epilessia e il jazz.

Dicono che le più grandi qualità di Carofiglio inquirente venissero fuori quando interrogava: otteneva confessioni difficili, si faceva rivelare dettagli risolutivi: "Non ci sono domande buone e domande cattive in assoluto, dipende dal contesto e dall'interrogato. E soprattutto la qualità fondamentale di un bravo investigatore è saper stare zitto, in ascolto. Più si incalza con i quesiti, più si lascerà intendere all'interrogato – in modo implicito, ma potente – di essere interessati solo a risposte specifiche e si inibirà la possibilità di fargli evocare ricordi, magari decisivi, che non rientrano direttamente nello spettro della domanda".

Le manca fare quel lavoro?

Sì, certo, ne ho nostalgia anche se sono convinto di aver fatto bene ad andare via. È un lavoro che ho amato molto e pensi che ci sono arrivato quasi per caso.

Come, per caso?

Avevo finito di studiare giurisprudenza da un anno e senza entusiasmo facevo pratica in uno studio legale. Un giorno, un amico mi invitò a prendere un caffè e mi disse: "Stanno scadendo i termini per il concorso in magistratura: perché non proviamo a farlo?". Risposi: "Perché no?".

Lo vinse subito?

Feci gli scritti con tre mesi di studio e dunque con una preparazione inevitabilmente lacunosa e, soprattutto, senza sapere ancora davvero cosa volevo fare. Nei mesi che seguirono, in attesa dei risultati, mi resi conto che quello era il lavoro che volevo fare e quando seppi di aver superato gli scritti fu un momento di grande felicità.

Perché ha cominciato a scrivere?

Il lavoro di pubblico ministero mi piaceva molto ed è stato una parte importantissima della mia vita. Ciò detto, avevo la sensazione, sempre più forte col passare del tempo, che ci fosse qualcosa che mancava. Avevo sempre voluto scrivere e negli anni ci avevo provato più volte. Erano racconti e abbozzi di romanzi, ma dopo qualche giorno rileggevo e mi sembrava tutto molto scadente, pensavo di non essere ancora pronto. Non avevo ancora scoperto una verità fondamentale: quello che scrivi all'inizio, non va mai bene.

Quando cambiò idea?

Non cambiai idea. Semplicemente, a un certo punto riuscii ad andare avanti anche se quello che avevo scritto in prima battuta non mi piaceva. Ricordo che cominciai a scrivere ai primi di settembre e proseguii sino a inizio maggio: nove mesi esatti. Non lo sapevo ancora, ma avevo completato il mio primo romanzo, "Testimone inconsapevole".

Sentii un conflitto tra la vocazione di scrittore e quella di magistrato?

A dire il vero la sola idea della vocazione - per l'una e per l'altra attività - mi mette a disagio e in particolare non ho mai percepito il lavoro di magistrato come una missione. Anzi, diffido sempre dei pubblici ministeri e dei giudici che credono di avere il compito di sanare i mali del mondo: il rischio che corrono di fare danni è enorme.

Le è capitato di incontrarne tanti?

Per fortuna no. La maggior parte dei magistrati è fatta di persone equilibrate, che non usano la toga come un abito di scena, per usare un'espressione del Presidente della Repubblica.

Non sentì nemmeno il richiamo di fare lo scrittore?

Ho cominciato davvero a scrivere quando ho percepito che il tempo a disposizione non era infinito e soprattutto che evitando di scrivere - cioè evitando una cosa che desideravo moltissimo - stavo semplicemente fuggendo dalla paura del fallimento.

Ce l'ha ancora?

Sì, ma ora la vivo serenamente. Spero di essermi incamminato sulla strada di chi accetta l'idea che è impossibile controllare il mondo, esteriore ma anche interiore. Accogliere l'imprevedibilità rende più capaci di mantenere meglio l'equilibrio. Le cadute più catastrofiche riguardano quelli che coltivano l'illusione del controllo.

È quello che è successo a Matteo Renzi?

Facciamo una premessa, per dissipare alcune sciocchezze che sono state dette e scritte. Non sono e non sono mai stato un sostenitore di Matteo Renzi, ma nemmeno un suo avversario. In generale trovo stucchevole la dialettica del pro o contro riferita, in politica, alle persone più che alle azioni, idee e ai programmi. Ciò detto credo che dalla campagna referendaria in poi Renzi abbia fatto decisamente più errori che mosse azzeccate. Più in generale credo che dal referendum in poi le azioni di chi si fronteggia nel campo della sinistra italiana abbiano sistematicamente disatteso una delle regole fondamentali della buona politica, quella di non farne un fatto personale.

Chi ha sbagliato di più?

Le responsabilità sono equamente suddivise tra chi ha creduto la scissione inevitabile e chi ha scommesso che fosse irrilevante.

Ora però Renzi ha inaugurato la stagione dell'ascolto. Funzionerà?

Temo di no. L'ascolto non si dichiara, si pratica. Altrimenti il rischio è che tutto sembri - l'ascolto, i treni e il resto - un semplice armamentario propagandistico.

Come giudica quello che è successo in Sicilia?

Disastroso. Un pezzo della sinistra ha scelto di dar una lezione a Renzi ma in realtà, l'ha data ai siciliani, contribuendo alla riconsegna della regione nella mani del centrodestra. Non vedo in questo - ripeto - una strategia politica, ma solo una trama vischiosa di rancori personali.

Vede qualcuno che può favorire questo disarmo?

Ci sono delle persone della scena politica che mi suscitano fiducia e che mi piacerebbe si assumessero qualche responsabilità in più. Graziano Delrio, per esempio.

E Pietro Grasso?

Con tutto il rispetto, non mi sembra l'uomo adatto per riportare la sinistra fuori da queste secche.

Bersani ha detto che "ci starebbe da dio".

La politica dovrebbe essere un processo di selezione dei più adatti, una procedura basata sul metodo democratico, non una sequenza di investiture ispirate dagli umori del momento. Non è possibile che qualcuno - anche una persona rispettabilissima come Bersani che peraltro io ho votato ben due volte - una mattina si svegli e decida di incoronare il nuovo leader della sinistra. Mi duole dirlo ma in questa uscita di Bersani vedo il gusto della battuta piuttosto che la consistenza di una vera proposta politica.

La sinistra è in difficoltà ovunque, non solo in Italia: sarà che ha perso ragioni d'esistere?

La ragione d'esistere della sinistra in Italia è scritta nell'articolo 3 della Costituzione: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona". È la norma che sancisce il dovere di rimozione delle disuguaglianze sostanziali che in questi anni sono invece aumentate: i ricchi sono più ricchi, i poveri sempre più poveri e sempre di più, con l'impoverimento del ceto medio. Affrontare questi problemi è appunto un lavoro per una sinistra degna di questo nome. Una sinistra che dovrebbe essere - prendo a prestito una bella frase di Gianni Cuperlo - radicale nei principi e realista nell'azione. Non è l'idea di sinistra a essere diventata marginale: sono i partiti che oggi rappresentano la sinistra ad essere diventati incapaci di interpretare il bisogno di uguaglianza e solidarietà.

Quando i 5 Stelle propongono il reddito di cittadinanza stanno facendo quello che dovrebbe fare la sinistra?

Il reddito di cittadinanza non è di sinistra.

Perché?

Le rispondo parafrasando Confucio: la sinistra non deve dare alle persone che non hanno da mangiare il pesce: deve insegnare loro a pescare.

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