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I tanti significati dei termini "donna" e "trans" e le troppe parole di Luxuria

Pacific Press via Getty Images
Pacific Press via Getty Images 

Vladimir Luxuria, per anni icona di tutto il movimento lgbt, è caduta dal piedistallo, precipitando direttamente ai piedi di quel metro e settanta scarso di potenza minuta che è Asia Argento, durante il confronto nella puntata di Carta Bianca del 12 dicembre scorso.

Argento è arrivata alla trasmissione con l'idea che Luxuria si sarebbe scusata (per il pessimo trattamento riservatole su Twitter in merito al caso Weinstein quando le diede della bugiarda), speranza vana, dato che Luxuria ha anzi ribadito da subito accuse e sospetti. Asia ha incassato con gli occhi lucidi e per un attimo ha faticato a riprendere il discorso, mentre Vladimir, impassibile e amimica, ha continuato fino alla fine a dare lezioni su quale sia il corretto comportamento da tenere in caso di aggressione sessuale.

Per tutta la puntata è andata così, la sopravvissuta a difendersi e l'opinionista ad attaccare.

Preciso che survivor è il termine – sempre più diffuso - che le donne che hanno subito stupri o violenze hanno scelto per definirsi (fin dagli anni '70 nei paesi di lingua inglese), perché evoca la volontà di reagire e il futuro che le aspetta, anziché la parola vittima, che evoca sconfitta e identifica la donna con ciò che ha subito.

Ma chi di social ferisce, di social perisce, e da subito su Twitter si è scatenata la tempesta su Luxuria, anche da una buona fetta del movimento lgbt che da sempre l'ha amata, almeno fino a due giorni fa. Come sempre, quando si parla di tempeste web, nei tweet c'è un po' di tutto: chi dice che Luxuria nonostante si definisca transgender ha mantenuto la forma mentis di un uomo, chi afferma che è una grande delusione perché in quanto donna dovrebbe capire, chi non può credere che dopo tante battaglie per la libertà e il rispetto di tutti, proprio lei sia caduta nel ruolo di moralista giudicante.

Insomma ogni variabile della sua identità di genere si presta a una lettura dei fatti. E qui si apre il cuore della questione, perché ciò che abbiamo visto da Bianca Berlinguer è soltanto il riflesso di un tema che da un po' sta funestando l'universo degli attivisti, sia femministe che lgbt.

Tra me e me la chiamo "la guerra dei sessi", anche se i generi sono equamente distribuiti in entrambe le fazioni e le persone trans (per brevità, salvo eccezioni userò questa abbreviazione, che si riferisce sia a persone transgender che transessuali) sono uno degli argomenti del contendere ma, allo stesso tempo, anche parti attive in entrambe le formazioni.

Ma andiamo per ordine.

All'inizio fu il Queer: un movimento partito da lontano che coinvolgeva persone di differente appartenenza e che ha avuto il pregio di mettere in discussione i ruoli sociali imposti e tutte le attribuzioni legate al genere e all'orientamento affettivo, dichiarando la libertà di ognuno di essere una proporzione variabile e personale di maschile e femminile, sia nell'aspetto che nelle scelte comportamentali e nel sentire intimo. Qui è nato l'uso dell'asterisco come finale delle parole maschili o femminili, e l'utilizzo del termine "persona" in sostituzione alla definizione del genere (maschio o femmina, uomo o donna), che nella nostra società porta con sè tanti stereotipi, obblighi e vincoli pesantissimi.

La messa in discussione del genere ha implicato, come conseguenza, una specie di svuotamento del significato dei termini che definivano l'orientamento affettivo e sessuale: difficile dire di essere una lesbica se l'essere donna non significa più molto, e se per qualcuna dirsi lesbica significava una lunga serie di posizionamenti politici e di contenuto, per altre è diventato all'improvviso un nominarsi privo di senso, difficile anche da capire. Insomma la comunicazione, soprattutto quella con differenti generazioni, non ne ha proprio giovato.

Da quel punto in poi è cominciato, all'interno del movimento lgbt e di quello femminista (congiunti da un sottoinsieme che contiene lesbofemministe, uomini amici e donne etero che si battono per i diritti lgbt) un tiro alla fune, spesso anche molto cruento per toni e contenuti, sul significato di termini quali inclusione, rispetto e discriminazione, in particolare riguardo le persone trans.

Il tema, posto in differenti modi a seconda del contesto è: chi può dire cosa sia una donna? E anche: chi può dire cosa sia una persona trans? Le declinazioni del problema sono infinite e, a volte, surreali, perchè l'accusa di transfobia tende a scattare contro chiunque abbia obiezioni in merito alla fluidità di genere, anche se a volte la "questione trans" c'entra proprio poco.

Perchè il conflitto vero, quello che sta dietro il furor di popolo che pure affronta i grossi problemi che da qualche anno ci dividono e ci fanno discutere sanguinosamente quali prostituzione, gravidanza per altri, identità (solo delle donne però, nessuno ha mai messo in discussione cosa sia un uomo o chi possa dirsi tale) è quello del femminismo radicale contro la visione neoliberista del mondo, in particolare riguardo lo sfruttamento dei corpi delle donne.

Le femministe radicali sostengono che i generi di partenza siano e rimangano due, uomini e donne, ai quali si affiancano le realtà delle persone trans e intersex. Questo assunto di base serve poi per sviluppare il discorso sugli altri temi caldi, come il cosiddetto utero in affitto, nel quale il ruolo della donna in quanto madre cambia in base alla visione: una madre può essere tale soltanto se è una donna, oppure no?

Fa parecchia differenza, se si pensa a come legiferare in merito. E ne fa anche se gli attori del dibattito sulla prostituzione sono tutti o se si lascia voce principalmente alle donne, dato che il rapporto con il sesso, il corpo, lo sfruttamento e il concetto di età minima per il consenso sessuale spesso è percepito molto diversamente da uomini e donne. Naturalmente la visione neoliberista è rappresentata, almeno nel dibattito pubblico, principalmente (ma non solo) da gay, che accusano le femministe di essere transfobiche, retrograde e normative nei confronti delle altre.

Questo uso strumentale del tema produce un sacco di problemi concentrici, non ultimo il fatto che rende un po' complicato focalizzarsi sulla comprensione di un nodo che, come tutti quelli umani, è più complesso di come ci si potrebbe aspettare, ovvero: chi è una persona trans?

Fortunatamente, negli ultimi anni anche le persone T - come tutti noi rappresentati dalle altre lettere dell'acronimo lgbtqi - sono uscite dal ruolo in cui le aveva rilegate la società (prostitute o fantasmi), e man mano che ognuna di loro prende parola e ci mette la faccia, il puzzle si completa e si complica.

Tempo fa ho discusso con una conoscente che, a seconda dei momenti, ho sentito autodefinirsi donna trans, transgender, o donna. Abbiamo litigato via social sul tema dell'inclusione, e il momento peggiore per me è stato quando, parlando di uguaglianze e differenze fra donne biologiche (cisgender, si dice) e non, lei ha detto che pretende di essere riconosciuta come donna a tutti gli effetti perchè sui suoi documenti c'è scritto così. E che, se non è interessata a partecipare a gruppi di donne che discutono di mestruazioni e di parto (grazie, e chi lo sarebbe?), nel caso in cui ci fossero donne che parlano di temi come femminismo o violenza e la escludessero, lei pretenderebbe di partecipare, a costo di buttare giù la porta (espressione sua).

Sono passati mesi, ma mi è rimasto un fondo di disagio per quel dialogo, per me lei è una donna a tutti gli effetti direi, ma una donna molto, molto diversa da me, anche se non saprei dire se la diversità che percepisco risieda nel suo percorso di transizione o nel carattere di chi, se non si sente voluta, pensa allo sfondamento mentre io normalmente penso ad andarmene.

Lì per lì sono stata zitta, che c'è sempre in agguato la vocina: "sarai mica transofobica?" e ho provato ad autoconvincermi che non ci fosse problema, e di non essermi sentita aggredita dai suoi toni e dal suo atteggiamento. Eppure quel peso mi è rimasto e quell'angolo in cui mi sono sentita messa da lei e dai suoi presunti diritti non l'ho mai digerito.

Poi, due giorni fa, ho letto un post di Alessandra Angeli, persona transessuale meglio conosciuta dal pubblico come Angelina, che diceva (cito a pezzi):

"Non andrò davanti a un giudice, pur dovendo rimettermi al suo giudizio, a dire che sono "sbagliata". [...] Voglio che sul mio documento ci sia il doppio nome, quello femminile seguito da quello maschile, perché sono una persona transessuale... la mia forza è la somma, non la sottrazione, anche sui documenti".

E per me è stata la pace.

Ho capito qual era la mia resistenza in merito a un passato doloroso che in molte rivendicano di poter cancellare e che fa dire loro con veemenza che siamo uguali, a prescindere da ciò che sento e provo io.

Perché c'è un percorso che mi ha portata qui oggi, che non posso e non voglio ignorare, tantomeno cancellare. Una socializzazione femminile legata all'educazione di una bambina, a come il mondo si rapporta a essa, a come lei percepisce il proprio corpo, il proprio sesso e la propria appartenenza di genere, che ha elementi in comune anche con le altre "nate femmina" cresciute nelle più amene località del mondo.

Suppongo valga anche per tutti gli altri, quando nasci puoi essere del sesso forte, di quello debole o di quello sbagliato, tre definizioni che fanno tutte ugualmente schifo, ma che segnano indelebilmente il percorso personale di ognuno e ci accomunano a tantissime altre persone che vengono convenzionalmente definite "nostri simili".

A seguire, c'è un'età in cui si mette in discussione tutto, in cui non ci piace come ci guardano e ciò che ci dicono di noi, si vorrebbe cancellare pezzi di vissuto, amputarsi e ripulirsi di tante cose, ma poi si capisce che non tutto quello che non ci piace dentro di noi può essere distrutto, perchè è parte integrante di ciò che siamo.

Così, inizia la terza fase, quella della ricucitura delle varie parti di noi, inclusi i danni che il mondo ci ha fatto, e della cura delle ferite. È lì che prende spazio il tipo di donna che decidi di essere: quello vale per tutte, e lì sì che siamo davvero tutte uguali.

Mi piacerebbe che trovassimo il modo di rispettarci per questo, anche nella differenza, possibilmente con il coraggio e la libertà di definire ognuna i confini della propria.

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