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Cultura

I volti del popolo curdo cancellati dopo il genocidio in Iraq rivivono a Roma grazie all'arte

"White Faces. Reframing memory" di Yadgar Bakir

I tragici ricordi di familiari e amici uccisi, le foto dell'infanzia completamente distrutte dalla guerra, gli anni spensierati e il genocidio dei curdi iracheni voluto da Saddam Hussein: c'è tutto questo nella performance artistica di Yadgar Bakir, l'artista curdo e rifugiato politico che sabato 16 dicembre, nella moschea romana di Tor Pignattara, metterà in scena una performance per dare di nuovo un volto al suo passato e far scoprire al pubblico le sofferenze del suo popolo.

White Faces. Reframing memory (questo il titolo dell'happening) si inserisce nell'ambito di MiBACT per la Fotografia - "Passeggiate Fotografiche Romane" - che si svolgerà a Roma dal 15 al 17 dicembre. È questo lo strumento scelto da Yadgar per ricomporre l'identità del suo travagliato popolo, vittima della cosiddetta operazione "Al-Anfal" degli anni Ottanta con cui l'ex dittatore iracheno ha voluto sterminare le minoranze etniche residenti al nord del Paese.

Yadgar Bakir
Yadgar Bakir 

Nonostante l'artista avesse solo 4 anni all'epoca dello sterminio, ricorda bene i rastrellamenti dell'esercito - che facevano irruzione di casa in casa in cerca di documenti che provassero legami tra i ribelli peshmerga e i civili curdi - e non riesce a dimenticare come la famiglie distruggessero le fotografie per evitare guai. Yadgar sa che tutto ciò, fatto per disperazione, ha però significato la perdita della memoria familiare e dell'identità collettiva del popolo.

Il progetto è nato quando, qualche anno fa, il rifugiato ha trovato il frammento di uno scatto che lo ritraeva: ne mancava un pezzo e così Yadgar - laureatosi nel 2015 in Arte contemporanea all'università di Coventry, nel Regno Unito - ha pensato di chiedere a sua madre che fine avesse fatto l'altro frammento. La risposta della donna colpì molto l'artista: era stata lei a tagliarla, perché si vedeva il kalashnikov di un peshmerga. In quel momento Yadgar ha deciso di ricostruire la propria storia chiedendo ai familiari di raccontargli le fotografie come erano e cercando di ricreare gli scatti in base alle loro testimonianze.

Yadgar Bakir
Yadgar Bakir 

"Ogni fotografia ha una storia nascosta, che Yadgar ci racconta mettendo a nudo la sua infanzia, la guerra e le perdite familiari, ma anche avvicinandoci alla sua famiglia, ai ricordi della madre, a un mondo considerato erroneamente troppo distante per poter essere compreso" spiega la fotografa e documentarista Linda Dorigo, che è alla regia dell'evento. "Si tratta di un progetto immersivo e partecipato: il pubblico infatti viene chiamato a ricostruire materialmente le immagini di famiglia dando vita a nuove fotografie".

L'evento di sabato durerà per circa un'ora e racconterà quattro storie in lingua curda (il sorani), intervallata da espressioni in inglese e da una proiezione in lingua italiana. È prevista l'interazione col pubblico e la partecipazione di un musicista curdo come accompagnamento.

Yadgar Bakir
Yadgar Bakir 

"La performance è un laboratorio partecipato" continua la giornalista. "La scelta di portarla in moschea è ben precisa: condividere uno spazio - sconosciuto alla maggior parte degli abitanti non musulmani del quartiere - per condividere un'emozione collettiva, dove non esistono barriere linguistiche e culturali. L'immersività della performance è fondamentale. La lingua è il primo veicolo di conoscenza tra persone, ma quando questa non è condivisa come spesso accade in viaggio, mettiamo in atto modalità relazionali diverse. Ecco allora che il suono, la voce diventa il filo narrativo della storia e attraverso di essa impariamo a conoscere il prossimo". Quello curdo, in primis, ma non solo.

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