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Politica

Renzi promette liste inclusive

Barcroft Media via Getty Images
Barcroft Media via Getty Images 

Il disagio silente, l'imbarazzo diffuso che si respira dentro il Pd per il caso Boschi trova voce durante la mattina con Andrea Orlando, che esclude una nuova scissione, non chiede nuove primarie, ma segnala a Matteo Renzi la necessità di un cambio di rotta politico che riguardi anche la leadership. La risposta del segretario Pd arriva a stretto giro: prende di petto le liste e promette posti a tutti i big, ministri e capicorrente, chiamandoli a un ruolo di primo piano nella campagna elettorale.

La strategia elettorale, spiegano dal Nazareno, prevede di mettere in campo nei collegi uninominali i candidati migliori sul piano programmatico e radicalizzare lo scontro con i 5 Stelle sui contenuti. Renzi, spiegano fonti del Nazarano, ha avviato un giro di contatti e telefonate anche con Andrea Orlando e Michele Emiliano, poi nella settimana dall'8 al 12 gennaio riceverà tutti i segretari regionali del Pd per ascoltare le loro proposte. Le prime ipotesi vedono nell'uninominale Renzi a Firenze centro, Gentiloni a Roma 1, Franceschini a Ferrara, Orlando a La Spezia, Minniti a Reggio Calabria, Delrio a Reggio Emilia. Per il proporzionale si valuta la candidatura di Renzi come capolista in Campania e Lombardia, Gentiloni in Piemonte e Puglia, Minniti in Veneto, Orlando in Calabria, Delrio in Sardegna, Franceschini in Basilicata.

Tutti in campo e in prima linea, tutti chiamati a remare dalla stessa parte. Liste inclusive con l'obiettivo di rassicurare chi teme di restare fuori e sedare il dissenso che fatica a restare sotto traccia.

Chi dà voce alla protesta è il leader della minoranza dem, Andrea Orlando, che riunisce all'Auditorium Antonianum di Roma l'assemblea costituente di Dems, la rete di coordinamento delle varie anime della minoranza interna del Nazareno. "Qui perdiamo mezzo punto al giorno. Non è che andiamo a sbattere, abbiamo già sbattuto" dice un parlamentare, ma come molti altri non vuole uscire allo scoperto. "Non me lo attribuire" è il mantra che ripetono molti dem ai cronisti al termine del loro ragionamento. E seppure declinato con lievi sfumature, il concetto è sempre lo stesso: i dati certificano lo scollamento degli elettori da Matteo Renzi come leader e candidato premier del centrosinistra, e ogni giorno in più percorso su questa linea miope è un regalo per M5S e il centrodestra. Gli ultimi sondaggi che circolano vedono il partito in costante discesa, al 20% secondo alcune rilevazioni.

L'intervento di apertura del Guardasigilli è previsto per le 10,30, ma parlamentari, delegati delle varie regioni e semplici militanti approfittano del ritardo fisiologico di queste occasioni per condividere, nei capannelli della hall, un'angoscia che ha ormai superato il livello di guardia. Quasi si contano, per capire il potenziale delle truppe. In sala ci sono una cinquantina di parlamentari. Alcuni di questi avevano iniziato la legislatura nella maggioranza renziana. Mano nella mano arrivano anche la titolare della storica legge sulle unioni civili Monica Cirinnà e Esterino Montino, big del Pd laziale ora sindaco di Fiumicino. È presente anche Marco Meloni, luogotenente di Enrico Letta, seppure non facente capo a nessuna delle correnti in ballo oggi.

La soluzione c'è, ed è a portata di mano "ma da soli non ce la facciamo", osserva un deputato romano: "Qualcuno dei suoi pretoriani deve fargli capire che bisogna mandare un segnale univoco agli italiani, proponendo una figura inclusiva e rassicurante come Gentiloni quale leader della coalizione". Si ragiona anche sul fatto che la settimana che sta per iniziare, con la "doppietta" Ghizzoni-Visco in Commissione banche, rischia di essere un altro colpo pre-elettorale durissimo per il partito, una "trappola" che Renzi, come dice Orlando dal palco, si è teso da solo.

Chiedo al gruppo dirigente di smetterla di costruire trappole dove poi sistematicamente cadiamo dentro.Andrea Orlando

Nelle prime file c'è l'ex-ministro del Lavoro Cesare Damiano, firmatario di due emendamenti sul jobs act alla manovra che hanno fatto andare sotto il governo e ancora al vaglio di Montecitorio, il quale con raffinato eufemismo osserva che "la commissione non sembra aver raggiunto il risultato sperato" da Renzi, e riconosce a Gentiloni di "essere di fatto già emerso come leader inclusivo". Sul tema lavoro, Orlando invita Renzi, "prima di sacralizzare il Jobs act" ad applicarlo tutto, specie nelle politiche attive sul lavoro, perché "dobbiamo affermare il principio che va reso più costoso il lavoro precario di quello stabile e va reso piu oneroso il licenziamento".

"In questo momento – dice Orlando dal palco - noi crediamo di essere quelli che politicamente sono in grado di guidare il Pd, perché siamo gli unici in grado di parlare a un mondo che ci ha girato le spalle, perché abbiamo la credibilità per farlo, mentre altri l'hanno perduta". Dichiarazioni che non hanno nome e cognome, ma forse non è necessario. La sala gradisce, ma qualcuno sussurra che il problema è che quando si giocherà la partita della leadership, stando così le cose, "potrebbe essere troppo tardi".

A proposito di credibilità acquisita nei mesi del governo Gentiloni, l'altro applauso arriva quando Orlando cita il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, divenuto ormai una sorta di Deus ex machina, e gli propone di fare assieme un pezzo di strada, verosimilmente per tagliare quella di Renzi. Che, sempre secondo Orlando, è caduto in un "boomerang" da lui stesso lanciato anche quando ha proceduto ad una rottamazione di facciata senza rinnovamento della classe dirigente, perché "non basta mettere i Millennial negli organismi, bisogna vedere con gli occhi dei Millennial". Chissà se si è sentito chiamato in causa Francesco Nicodemo, golden boy della squadra di comunicazione dell'ex-premier, presente in sala in qualità di presidio renziano.

"A Calenda dico che se vuole venire da noi lo accogliamo molto volentieri"Andrea Orlando

È il cambio di rotta politica il cuore dell'intervento di Andrea Orlando. Torna l'appello alla ricostruzione del "centrosinistra", rivolto a Renzi ma anche a Liberi e Uguali, un centrosinistra che si opponga al ritorno della destra e riparta dalle due anime. La risposta di Renzi è la chiamata alle armi di tutte le prime linee del partito, con liste inclusive. Il segretario ripete sempre che alla prova dei voti la coalizione attorno al Pd è in corsa, chiede a ministri e capicorrente una campagna aggressiva, come quella che in questi giorni si sta sviluppando su diversi temi, dagli 80 euro alle pensioni, dall'Europa ai migranti.

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