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Esteri

"Gli offesi siamo noi". Gli Stati Uniti mettono il veto sulla risoluzione egiziana contro Gerusalemme capitale

EPA
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Gerusalemme e Misurata. La Città eterna e quella diventata il simbolo insanguinato del Far West libico. Medio Oriente e Nord Africa, diversi scenari, lo stesso segno: la destabilizzazione. Al Palazzo di Vetro si combatte la "guerra delle ambasciate", a Misurata, in perfetto stile mafioso, il sindaco della città viene rapito, crivellato di colpi e il corpo privo di vita gettato davanti all'ospedale di Safwa. Onu: gli Usa contro tutti. Al Consiglio di sicurezza si fanno i conti sulla decisione degli Usa di trasferire l'ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo quest'ultima capitale unica e indivisibile di Israele. Per Washington sono conti (politici) molto salati.

La risoluzione "afferma che le decisioni e azioni che pretendono di alterare lo status della Città Santa di Gerusalemme non hanno alcun effetto giuridico, sono nulle e devono essere annullate in conformità con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu". Inoltre, il testo "richiede che tutti gli Stati membri osservino le risoluzioni del Consiglio riguardanti Gerusalemme e non riconoscano nessuna azione o misura contraria a tali risoluzioni". L'ambasciatore britannico al Palazzo di Vetro, Matthew Rycroft, ha affermato che il documento "è in linea con le precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza". Il testo non fa riferimento esplicito agli Stati Uniti, e questa mancata esplicitazione, confidano fonti diplomati al Palazzo di Vetro, è servita per mantenere uniti i Quattordici. "Si è trattato di una risoluzione in sintonia con la pressa di posizione del ministro degli Esteri Alfano e con quella esplicitata a nome dell'Unione europea dall'Alto rappresentante ella politica estera dell'Unione, Federica Mogherini", dice all'Huffington Post una fonte della Farnesina commentando a caldo il voto al Palazzo di Vetro. Un voto avvenuto sotto la presidenza italiana.

Nel corso della seduta, l'inviato dell'Onu per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov è intervenuto facendo un quadro complessivo della situazione e criticando la politica degli insediamenti portata avanti da Israele a Gerusalemme Est e in Cisgiordania; una critica che ha investito anche le "misure legislative" adottate per ciò che concerne la legalizzazione delle colonie in Cisgiordania e l'uso di terre private palestinesi. Dura la replica dell'ambasciatrice statunitense al Palazzo di Vetro, Nikki Haley, secondo la quale la risoluzione 2334 contraria agli insediamenti israeliani nei Territori occupati, votata da 14 membri del Consiglio di sicurezza e approvata grazie all'astensione Usa, voluta dall'allora presidente Barack Obama, "è il vero ostacolo alla pace".

Alla fine, la risoluzione su Gerusalemme è votata da 14 dei 15 Paesi membri del massimo organismo decisionale delle Nazioni Unite, tra cui l'Italia, ma non passa per il veto degli Usa. Ma quel veto esercitato in solitudine rappresenta una sconfitta politica per la diplomazia americana Perché nonostante i tentativi di far recedere dal voto favorevole alcuni storici alleati degli Stati Uniti, in primis il Regno Unito, il fronte europeo ha tenuto, con tutti e 5 i Paesi membri del Consiglio (Francia, Regno Unito, Italia, Germania e Svezia) decisi a mantenere la linea su Gerusalemme. Ma la partita non si è chiusa. Perché subito dopo la conclusione della votazione, da Ramallah, con un comunicato ufficiale l'Autorità nazionale palestinese ha annunciato l'intenzione di presentare la risoluzione all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Per essere approvata, la risoluzione ha bisogno del voto favorevole di 2/3 dei 193 Paesi membri, ma anche se dovesse ottenerli, sarebbe un successo politico senza ricadute effettive, perché solo le risoluzione approvate dal Consiglio di sicurezza hanno un valore decisionale.

A sostegno di questa linea si è subito schierata la Turchia, oltre che la Lega Araba. "Il veto posto dagli Stati Uniti è inaccettabile – dice ad HuffPost Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente palestinese Abu Mazen -. Resta il fatto – aggiunge – che tutti gli altri 14 membri del Consiglio di sicurezza hanno difeso la legalità internazionale riconoscendo che azioni come quella intrapresa dagli Stati Uniti non hanno alcun valore effetto giuridico. Ora – conclude Abu Rudeina – chiediamo a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di attenersi alle indicazioni contenute nella risoluzione e di non seguire il presidente Trump su una linea destinata a distruggere ogni soluzione negoziale". Per Washington quel voto è uno schiaffo in faccia. Durissimo è il commento dell'ambasciatrice Haley: "Quel voto è un affronto che non dimenticheremo", avverte. È il primo veto posto dagli Stati Uniti sotto la presidenza Trump. Immediata la presa di posizione israeliana. "Grazie tante, ambasciatrice Haley. Grazie per aver acceso la candela della verità. Hai combattuto le bugie, grazie presidente Trump", ha twittato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Netanyahu.

A fianco della Haley si schiera l'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Danny Danon che attacca frontalmente la risoluzione dei Quattordici: "Potete votare altre cento volte – dice Danon rivolgendosi polemicamente ai rappresentanti dei 14 Paesi che hanno votato la risoluzione- potete criticare quante volte volete la nostra presenza a Gerusalemme, ma non potrete mai cambiare la Storia". E ancora: "Mentre il popolo ebraica celebra la festività di Hannukkah che simboleggia il legame eterno con Gerusalemme, ci sono persone che pretendono di riscrivere la Storia. È tempo – conclude l'ambasciatore israeliano – che tutti i Paesi riconoscano che Gerusalemme è stata e sempre lo sarà capitale del popolo ebraico e capitale di Israele". Soddisfazione per il voto è stata invece espressa dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che si è congratulato con il suo ambasciatore all'Onu per "il prezioso lavoro svolto in favore della pace e a sostegno dei diritti del popolo palestinese".

Ma la pace è parola sconosciuta in Terrasanta. Come nella martoriata Libia. Era stato rapito ieri prima del tramonto mentre tornava a casa dall'aeroporto, di ritorno da Istanbul dove si era recato in visita ufficiale a capo di una delegazione di funzionari locali. E poche ore dopo il sindaco di Misurata, Mohamed Eshtewi, è stato assassinato. Il quotidiano Libya Herald spiega che era insieme al fratello Ahmed e al loro autista, quando l'auto sulla quale viaggiavano è stata attaccata mentre era ferma al semaforo sulla via dell'aeroporto. Il fratello del sindaco è stato ferito con un colpo di pistola alla testa. Sulla schiena di Eshtewi tre fori di proiettile, ma secondo il consigliere comunale di Misurata Mustafa Krwat, responsabile della sicurezza in città, la causa della morte è stato un duro colpo in testa. Il portavoce dell'ospedale di Misurata, Akram Glewan, ha parlato anche di ferite d'arma da fuoco alle gambe. Il fratello Ahmed è ricoverato in terapia intensiva in gravi, ma stabili condizioni all'ospedale di Misurata. Gli assassini del sindaco di Misurata al momento non sono stati identificati, scrive il Libya Herald. I sospetti ricadono però su militanti islamisti attivi in città.

Il Consiglio militare di Misurata, guidato dall'islamista Ibrahim Ben Rajeb, in diverse occasioni aveva tentato con la forza di ottenere le dimissioni di Eshtewi, contestato per il suo sostegno all'Accordo politico libico e alla Presidenza del Consiglio. A maggio estremisti armati lo hanno costretto alle dimissioni, che però poco dopo son state ritirate. Un funzionario locale, che ha chiesto di restare anonimo, ha però messo in dubbio la possibilità che gli autori della linea dura possano essere gli autori dell'assassinio. "Hanno cercato di rimuoverlo per mesi. Ma ucciderlo non rientra nel loro stile", ha detto a Libya Herald. Secondo la fonte, ad assassinare Eshtewi potrebbero essere stati i sostenitori del generale Khalifa Haftar, l'uomo-forte della Cirenaica o del defunto colonnello Muammar Gheddafi. "E non escludiamo l'Isis", ha aggiunto. Basta questo elenco di possibili autori dell'assassinio di Eshtewi per dar conto che cosa sia oggi la Libia: una sorta di Far West nordafricano, dove a fronteggiarsi sono due governi, altrettanti parlamenti, oltre 250 tra milizie e tribù in armi, gruppi jihadisti affiliati allo Stato islamico o ad al-Qaeda del Maghreb Islamico (Aqmi), organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani. E questo far west avviene a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane. E l'Italia, non solo per vicinanza geografica, rischia sempre più di essere trascinata nel "pantano" libico. Un pantano insanguinato.

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