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Esteri

Obiettivo: Palazzo Reale. La sfida mortale a MbS

Getty Images
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Obiettivo: Palazzo Reale. Colpire al cuore la Casa Saud. Un salto di qualità politico più che militare. Un boato scuote Riad. E dopo il boato, una scia di fumo nero si alza verso il cielo. È guerra. Una batteria anti-missile saudita intercetta un missile sparato dai ribelli sciiti Houthi dallo Yemen verso la capitale saudita. Si scrive Houthi, si pronuncia Iran. "Quel missile è Iran-Houthi" denunciano le autorità saudite. Poche ore dopo l'attacco, il principe ereditario Mohammad bin-Salman ha riunito d'urgenza il Consiglio di Difesa. La tv saudita ha confermato che la contraerea ha intercettato il missile. Il movimento yemenita ha aggiunto di aver sparato un missile Burkan-2 che era puntato verso il Yamama Palace. Il corrispondente di Sky News afferma che non ci sono feriti, la qualcosa è stata poi confermata dall'agenzia ufficiale saudita e dall'emittente al-Arabiya. Di diverso avviso è il portavoce degli Houthi, Mohammed al-Bukhaiti, che ad al-Jazeera dichiara che ci sono state "diverse vittime" nell'attacco che, rivendica, era rivolto contro il Palazzo Reale. "I sauditi – aggiunge il portavoce Houthi – sostengono di aver abbattuto il nostro missile, ma noi abbiamo una tecnologia precisa, capace di colpire ogni obiettivo nel Regno (saudita)".

Mai prima d'ora l'obiettivo dichiarato dei ribelli sciiti yemeniti era stato il Palazzo Reale. Il 4 novembre scorso, un missile, partito dal territorio yemenita controllato dalle milizie Houthi, era stato intercettato vicino all'aeroporto internazionale "re Khalid", nella capitale saudita. Le autorità del Regno avevano accusato l'Iran di aver fornito missili ai ribelli sciiti. "Il ruolo dell'Iran costituisce un chiaro atto di aggressione contro i Paesi vicini, che minaccia la pace e la sicurezza nella regione e nel mondo – si leggeva in un comunicato della coalizione a guida saudita – quanto accaduto è una sfacciata aggressione militare del regime iraniano e potrebbe arrivare ad essere considerato un atto di guerra contro il regno dell'Arabia Saudita". "Il Comando della coalizione – si leggeva ancora nella dichiarazione saudita – afferma inoltre che il Regno si riserva il diritto di rispondere all'Iran nel tempo e nelle maniere opportune". Un secondo lancio era stato intercettato, poi, il 30 novembre nella provincia sudoccidentale di Assir.

Un membro della famiglia reale ha confermato che il missile di oggi era effettivamente diretto contro al-Yamama dove di lì a poco si sarebbe tenuta la conferenza stampa di presentazione del bilancio, a cui avrebbero presenziato diversi ministri. L'obiettivo scelto, il momento: un'azione mirata. Un messaggio lanciato, assieme al missile, ai regnanti sauditi: siete entrati nel mirino.

Come risposta la coalizione militare a guida saudita ha bombardato postazioni dei miliziani sciiti a sud di Sana'a. Il Golfo Persico torna al centro dell'attenzione internazionale. E a fianco di Riad si schierano subito gli Stati Uniti e Israele. Teheran smentisce che quel missile proveniva da un suo arsenale, ma Washington la pensa all'opposto. "Questi armamenti sono made Iranian, sono trasferiti dall'Iran e dati dall'Iran", ai miliziani Houthi, afferma decisa l'ambasciatrice degli Usa alle Nazioni Unite, Nikki Haley. Sulla stessa lunghezza d'onda è l'ambasciatore d'Israele al Palazzo di Vetro, Danny Danon: "La minaccia missilistica iraniana – avverte Danon – si estende dal Golfo Persico allo Yemen, alla Siria, al Libano e a Gaza. Le Nazioni Unite – conclude il diplomatico israeliano – dovrebbero agire immediatamente per contrastare questa minaccia".

Le autorità saudite affermano che gli Houthi stanno usando i corridoi umanitari per ricevere i missili iraniani, che rappresentano "una minaccia per la sicurezza regionale e internazionale". Nei giorni scorsi, hanno attaccato le truppe degli Emirati arabi uniti nella zona di Mokka e hanno annunciato di aver lanciato un missile, uno Scud modificato Burkan-2, con gittata teorica di 1400 chilometri, verso Dubai, con obiettivo una centrale nucleare. Gli Emirati hanno però smentito.

Il missile contro il Palazzo Reale è anzitutto una sfida lanciata al giovane e ambizioso principe ereditario saudita. Annota Bernard Guetta su Internazionale: "La guerra per procura va avanti fin dalla proclamazione della Repubblica islamica. Dalla caduta dello scià, quasi 39 anni fa, Teheran e Riyadh si sono lanciate in una battaglia per il dominio nella regione, un dominio che i sauditi volevano conservare e gli iraniani volevano riconquistare tredici secoli dopo il crollo della Persia, di cui sono gli eredi. Questo conflitto è anche un conflitto religioso, perché gli iraniani sono sciiti mentre i sauditi sono sunniti. Se i primi organizzavano e agitavano le minoranze e i poteri sciiti, gli altri finanziavano i sunniti che si opponevano al potere sciita, come Saddam Hussein nella guerra tra Iran e Iraq o la quasi totalità dei ribelli siriani. Ora – rimarca l'analista francese - la novità è che questa guerra nascosta sembra sul punto di essere vinta dall'Iran in tutto il Medio Oriente, e così il nuovo uomo forte della monarchia saudita, il principe ereditario Mohammad bin Salman, 32 anni, soprannominato MbS, ha deciso di raccogliere il guanto di sfida su tutti i fronti, a rischio di scatenare uno scontro frontale con Teheran... Gli houthi hanno fatto sapere che se il blocco dei porti dello Yemen imposto dalle monarchie del Golfo non sarà cancellato, i palazzi in Arabia Saudita e nei paesi alleati di Riyadh saranno colpiti dai loro missili. A quel punto la guerra arriverebbe sulla rotta di Suez. Inutile dire che i missili in questione sono iraniani...".

Minaccia mantenuta. Intervistato dal New York Times, l'erede al trono saudita, che è anche vice premier e ministro della Difesa ha definito la guida suprema iraniana, l'Ayatollah Ali Khamenei, come "il nuovo Hitler". Salman ha tuonato anche contro l'Europa, invitandola a non commettere il medesimo errore compiuto con il Terzo Reich prima che questo scatenasse la Seconda Guerra Mondiale. "L'appeasement non paga" ha avvertito Salman, riferendosi all'accordo sul nucleare siglato dall'ex presidente Usa Obama e alla voglia dell'Ue di riprender a fare affari con Teheran. Anche su questo, l'identità di vedute tra Salman e il premier israeliano Benjamin Netanyahu è pressoché totale. E collima perfettamente con quanto sostenuto dal presidente Usa Donald Trump nel suo documento sulla sicurezza nazionale.

"L'escalation diplomatica attuale è sintomatica di una rivalità storica che si è accresciuta nel corso del 2015 – rileva Armando Sanguigni, già ambasciatore italiano in Arabia Saudita -. Da un lato Riad accusa Teheran di fomentare la ribellione degli sciiti contro i sunniti in diversi Paesi, dall'altro Teheran vuole rafforzare la trama delle sue alleanze sfruttando la nuova stagione post–accordo nucleare. Non occorrono doti divinatorie per immaginare che la resa dei conti avrà bisogno di una saggezza che in nessuna delle due parti sembra disponibile nella quantità e qualità necessaria..".

Quello tra Riad e Teheran è uno scontro che ha l'intero Medio Oriente come potenziale, ed esplosivo, teatro di guerra. Rileva in proposito Sandra Noujem, analista di punta del quotidiano di Beirut L'Orient Le-Jour: "Il nuovo potere incarnato dal principe ereditario Mohammed ben Salman ha rotto con la propensione dei suoi predecessori alla ricerca di compromessi. Il nuovo potere saudita – più pragmatico e più aggressivo – non può tralasciare il Libano, o avallare compromessi che rafforzano l'egemonia iraniana. Una egemonia – prosegue Noujem – che porta con sé una normalizzazione forzata con Damasco".

Il fronte sunnita anti-iraniano non accetta il consolidamento di una direttrice sciita Baghdad-Damasco-Beirut, tanto più ora che, con il contributo determinante degli Hezbollah e dei pasdaran iraniani, l'alauita Bashar al-Assad ha riconquistato il predominio su larga parte del territorio siriano. Il Libano diviene dunque un nuovo fronte di battaglia tra sauditi e iraniani. Come lo è sempre più lo Yemen... Almeno 136 civili sono morti in Yemen negli ultimi dieci giorni a causa dei bombardamenti della coalizione guidata dall'Arabia Saudita, ha indicato l'Onu, che ha deplorato "l'intensificazione" degli attacchi aerei. "Siamo profondamente preoccupati per il recente aumento del numero dei civili uccisi o feriti in Yemen a causa dell'intensificazione dei raid aerei condotti dalla coalizione diretta dall'Arabia Saudita, una escalation iniziata dopo la morte dell'ex presidente (dello Yemen) Ali Abdallah Saleh il 4 dicembre scorso", dichiara ai media un portavoce dell'Alto Commissariato dell'Onu per i diritti umani, Rupert Colville. "Il nostro ufficio in Yemen ha verificato la morte di 136 civili e il ferimento di altri a causa degli attacchi aerei, nei governatorati di Sanaam Taiz, Al Hudaydah e Marib, tra il 6 e il 16 dicembre", ha puntualizzato Colville. Mille giorni per distruggere un Paese, per annientare un popolo. Mille giorni di orrore e morte che non fanno più notizia. Yemen, mille giorni dopo. Sono passati 1.000 giorni dall'inizio del conflitto in Yemen, un paese distrutto dalla carestia, alle prese con una grave epidemia di colera, tristemente coinvolto in un conflitto per procura e senza fine, che ha colpito il 70% della popolazione di cui 11 milioni di bambini".

A ricordarlo è Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia. "Dopo 1.000 giorni di conflitto sono morti 1.000 bambini ogni anno, 1.000 scuole andate distrutte, 1.000 innocenti come bimbi soldato" – continua Iacomini – "1.000 minori da assistere ogni giorno dell'anno per malnutrizione acuta grave. Gli appelli disperati dell'Onu sembrano non smuovere le coscienze globali. Le città sono diventante campi di battaglia, le persone sono intrappolate nelle loro case, incapaci di spostarsi per ricevere assistenza medica o per accedere a beni di prima necessità. Milioni di sfollati che non sanno cosa mangiare, cosa bere, come salvarsi dal prossimo bombardamento indiscriminato."Siamo a 1.000 giorni di morte e distruzione, 1.000 giorni di fughe, 1.000 giorni di aggressioni, 1.000 giorni di separazioni dolorose dai propri cari: siamo a 1.000 giorni di inferno per i bambini dello Yemen. Una nuova Siria, 1.000 giorni di silenzio sulla più grande crisi umanitaria del momento. Faccio appello a tutti gli italiani affinché in questi giorni di festa sostengano gli sforzi dell'Unicef per raggiungere una popolazione clamorosamente tagliata fuori dagli aiuti internazionali. "In una intervista di ieri all'agenzia France Press, l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad Al Hussein, ha sottolineato come le violenze combinate con il blocco imposto negli ultimi mesi sui porti controllati dai ribelli Houthi, hanno creato "una situazione orribile in Yemen...Un vero inferno per la maggioranza degli yemeniti". Un inferno destinato a estendersi.

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