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Economia

Ilva, Calenda: "Se non si ritira il ricorso il 9 gennaio si spengono gli altoforni". Emiliano isolato, Confindustria e i sindacati stanno con il governo

ANSA
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Da una parte il ministro Calenda, i sindacati e Confindustria. Dall'altra, isolato, il governatore della Puglia Michele Emiliano. In mezzo c'è un pezzo importante dell'industria italiana che prova a rilanciarsi, l'Ilva di Taranto, e soprattutto uno spettro, quello della chiusura, che per bocca di Calenda ha già una data se il ricorso presentato al Tar da Emiliano e dal sindaco di Taranto non sarà ritirato: il 9 gennaio.

L'incontro al ministero dello Sviluppo economico fotografa una situazione delicatissima per il destino dell'acciaieria più grande d'Europa perché a intralciare la messa a punto del piano industriale che sarà affidato a Am Invest Co, la cordata con Marcegaglia guidata da ArcelorMittal, c'è il ricorso degli enti locali pugliesi.

Il bubbone è esploso durante una riunione che si è conclusa con una posizione netta da parte di Calenda: o si ritira il ricorso o tra 20 giorni a Taranto inizierà lo spegnimento degli impianti. Il ragionamento del ministro è chiaro: se salta il decreto, Am Invest Co chiederà al governo garanzie sull'investimento per 2,2 miliardi di euro. Una cifra altissima che, come ha spiegato lo stesso Calenda, il governo non è "disponibile a buttare per il ricorso". Emiliano risponde per le rime e dà la colpa al ministro, additandogli una "crisi isterica". Toni durissimi che fanno saltare il tavolo.

Il botta e risposta tra Calenda e Emiliano muove le altre pedine dello scacchiere Ilva tutte nella direzione del governo. I sindacati, compatti, non vogliono gettare alle ortiche quella che viene ritenuta l'unica occasione per salvare l'Ilva, anche se da ambienti vicine al dossier trapelano ancora preoccupazioni sul tema degli esuberi. Una sfumatura, però, perché Fiom, Fim-Cisl e Uilm sono compatti nel sostenere che il ricorso va ritirato. E come mette in evidenza la numero uno delle tute blu della Cgil, Francesca Re David, è impensabile andare avanti senza Calenda, come aveva ipotizzato Emiliano. A rafforzare il fronte pro Calenda c'è anche Confindustria, che esprime "grande preoccupazione" per l'esito dell'incontro al Mise e sottolinea, in una nota, come gli impegni assunti dal governo sul piano industriale e ambientale "creano le condizioni" per il ritiro del ricorso.

La posizione di Emiliano è di fatto isolata. In serata il governatore della Puglia ribadisce il concetto con un comunicato stampa, dove sottolinea che fino a quando non saranno ripristinate le condizioni di "fiducia istituzionale" tra Regione e Governo, il ritiro del ricorso sarebbe "una grave imprudenza" perché - è il ragionamento - la Regione perderebbe "l'unico mezzo che, allo stato, le consente di esercitare le prerogative costituzionalmente garantite. Anche il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che ha presentato il ricorso insieme a Emiliano, prende le distanze e annuncia che il Comune ha ritirato l'istanza cautelare riferibile al proprio ricorso.

A tirare fuori Emiliano dall'isolamento ci prova Matteo Renzi con un tweet, dove tra un piatto di orecchiette e una sorta di mea culpa sul caratteraccio l'ex segretario prova a far desistere il governatore dalla decisione di tirare dritto sul ricorso. Emiliano risponde, sempre su Twitter: ringrazia Renzi, si dice pronto a una mediazione ma "senza condizioni".

Nuovo tentativo il 22 dicembre, quando i sindacati, il Governo, la cordata che ha vinto la gara e gli enti locali pugliesi si dovrebbero riunire nuovamente al Mise. Condizionale d'obbligo perché la riunione è di fatto sospesa. Il 9 gennaio, intanto, si fa avvicina.

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