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Esteri

Altro che rilancio, il rimpasto del governo May finisce nel solito caos

Benoit Tessier / Reuters
Benoit Tessier / Reuters 

Un rimpasto all'insegna della prudenza ma soprattutto - almeno finora - della confusione. Se con l'operazione odierna Theresa May sperava di riaffermare la sua autorità dopo il disastroso risultato elettorale dello scorso giugno, la premier britannica sembra essersi cacciata nell'ennesimo pasticcio.

Confermati in blocco, come ci si aspettava, ministri di primo piano come Boris Johnson agli Esteri, Amber Rudd agli Interni, David Davis alla Brexit e Philip Hammond, cancelliere dello Scacchiere, al Tesoro. I giornali britannici danno per scontata la permanenza sulla poltrona di ministro della Difesa dell'ultimo dei "top 5", Gavin Williamson, uomo di fiducia della May, nominato del resto alla guida di questo dicastero appena un paio di mesi fa in sostituzione di Michael Fallon, travolto come altri dallo scandalo sui sospetti di molestie sessuali a Westminster.

Finora la novità più grande è la nomina di Brandon Lewis a presidente del partito conservatore. Il ministro dell'Immigrazione senza portafoglio, Brandon Lewis, raccoglierà l'eredità di Patrick McLoughlin, del quale molti avevano previsto l'addio dopo il pessimo risultato dei Tories alle elezioni generali di giugno. Il suo nome è stato ufficializzato dopo un'imbarazzante gaffe del partito, che dal suo account ufficiale aveva annunciato la nomina di Chris Grayling - altro fedelissimo della May - come nuovo presidente dei Tories. Il tweet è stato subito cancellato in una figuraccia ben raccontata dall'Independent.

Tra le promozioni confermate - scrive il Guardian - c'è quella di David Lidington a ministro dell'Ufficio di Gabinetto e cancelliere del Ducato di Lancaster. Ciò significa che Lidington svolgerà il ruolo di Damian Green (braccio destro della premier, dimessosi a dicembre dopo aver ammesso di aver mentito sulle immagini pornografiche trovate sul suo computer) come mediatore del governo tra i vari dicasteri, pur non ereditando il suo titolo di primo segretario di Stato.

Nel nuovo governo potrebbe esserci anche un "ministro per il no deal", una figura ad hoc che si occuperà dell'eventuale mancato accordo tra Londra e l'Unione Europea. Lo scrive il Daily Telegraph, secondo cui la persona designata per occupare la poltrona sarà Steve Baker. Il nuovo ruolo – scrive il quotidiano britannico - ha lo scopo di dimostrare a Bruxelles che la Gran Bretagna non teme di lasciare l'Unione anche senza un accordo. Baker, che secondo il Telegraph disporrà di un "budget significativo", affiancherà il ministro per la Brexit David Davis. Il 'nuovo' esecutivo, infatti, dovrà rapidamente definire la posizione in vista dei negoziati sulla Brexit che devono riprendere questo mese e affrontare la questione della transizione e passare a marzo al cruciale dossier della futura relazione commerciale tra Ue e Gran Bretagna.

Prima del rimasto sono arrivate, a sorpresa, le dimissioni del ministro per l'Irlanda del Nord, John Brokenshire, che in una nota ha spiegato di aver preso questa decisione per "motivi di salute, non per ragioni politiche". Borkenshire è considerato un fedelissimo della premier conservatrice, della quale era stato a lungo il numero due quando May ricopriva l'incarico di ministro dell'Interno. Negli ultimi mesi, da titolare del delicato dicastero per l'Irlanda del Nord, era stato peraltro al centro di tentativi di ricomporre le divisioni fra unionisti e repubblicani nel governo locale di Belfast.

A questo punto è difficile che May possa ribaltare il quadro con altre nomine, attese tra stasera e domani. Secondo i giornali inglesi, la premier potrebbe provare a ringiovanire la squadra includendo più quarantenni e donne. Secondo le anticipazioni della stampa britannica, ci si attende lo spostamento o la sostituzione di sei ministri. Finora neanche l'ombra di un restyling.

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