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Politica

Renzi non canta più vittoria per Gori: Leu verso il no all'intesa in Lombardia, speranze su Zingaretti nel Lazio

Getty Images
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Matteo Renzi ha cantato vittoria per Giorgio Gori, candidato governatore del Pd in Lombardia, per sole 48 ore. Quelle partite dalla decisione dell'uscente Roberto Maroni di ritirarsi dalla corsa. Ora la materia è tornata in alto mare. Silvio Berlusconi ha scelto il leghista Attilio Fontana come candidato del centrodestra. Laddove rischia di non esserci un centrosinistra. Venerdì infatti Liberi e uguali potrebbe ufficializzare il suo no all'alleanza con il Pd in Lombardia. Mentre dà segnali di speranza per un accordo con il Dem Nicola Zingaretti nel Lazio.

Non è una bella giornata al Nazareno. Il leghista Fontana è ritenuto sfidante più forte di Mariastella Gelmini, la prima scelta di Forza Italia. E di certo la sfida del 4 marzo si annuncia aspra soprattutto nelle zone meno urbanizzate della Lombardia, roccaforti del Carroccio.

Suspence. Liberi e uguali avrebbe dovuto riunire la propria assemblea regionale oggi. Rimandata a dopodomani. I rumors di palazzo dicono che sarà pollice verso al renziano Gori. E che questi ulteriori giorni di riflessione servono in realtà alla parte più dialogante di Leu (Mdp) a cercare di chiudere l'accordo nel Lazio con il governatore uscente e ricandidato per il Pd Zingaretti, che già governa con 'mezza Leu'. Scettica sull'alleanza con il Pd in generale Sinistra Italiana, che vorrebbe chiudere con un no sia a Zingaretti che Gori. Ma i bookmaker della sinistra dicono che venerdì l'esito delle trattative - in corso anche in ambito territoriale - potrebbe essere diversificato: disco rosso in Lombardia, verde nel Lazio.

E non sarebbe una vittoria di Renzi. Gori è personalità del renzismo leopoldino. Zingaretti, che viene dal Pci, è più vicino ai bersaniani ex Pd che al segretario Dem. Il leader allora cerca di reagire aprendo le ostilità elettorali con Silvio Berlusconi. Tenta di scrollarsi di dosso il fantasma numero 1, lo spettro di un nuovo Patto del Nazareno dopo il voto. Ma procede a tentoni.

Marce avanti e poi indietro. Solo due giorni fa, ospite a 'Otto e mezzo', Renzi aveva assicurato che tutti i big del Pd saranno candidati sia nei collegi che nei listini proporzionali, da Paolo Gentiloni a Maria Elena Boschi. Oggi negli studi di 'Porta a porta', parlando del premier, Renzi lascia a lui la scelta. Uninominale o listini? "Questo dibattito lo scioglierà il presidente del Consiglio. Non lo sciolgo io. Noi siamo disponibili a tutte le soluzioni", si lava le mani.

Il fatto è che i collegi fanno paura. Rischiare che il premier non venga eletto nell'uninominale ma ripescato nei listini è cosa troppo grossa anche per il Quirinale. Una simile ipotesi metterebbe in crisi l'idea di un 'Gentiloni II' dopo il voto, nel caso in cui dalle urne non venisse fuori una nuova maggioranza. E comunque renderebbe difficile la gestione ordinaria degli affari correnti con Gentiloni al governo (stile Merkel da settembre a oggi) nel caso in cui all'indomani del 4 marzo non ci fosse un'altra squadra vincente e definita.

Del resto questo turno elettorale è un'incognita un po' per tutte le forze politiche, ma maggiormente per chi ha retto il peso del governo finora. I nodi si scioglieranno evidentemente all'ultimo momento utile prima della scadenza del 29 gennaio, a seconda degli sfidanti degli altri schieramenti. Non resta che smaltire la tensione.

Come? Via lo spetto del Nazareno. "Mai al governo con Berlusconi", dice Renzi a Radio Capital di primo mattino. E' la prima volta che lo chiarisce in maniera netta, proprio negli stessi minuti in cui l'ex Cavaliere scivola sul Jobs Act. Prima parla di "abolizione" a Radio Anch'io, poi una nota di Forza Italia chiarisce che l'intenzione invece è solo di modificare la riforma renziana del lavoro. Più incentivi alle imprese insomma, "non si torna al vecchio regime", "sull'articolo 18 le cose possono rimanere come sono", si arrende Berlusconi a sera.

Un pasticcio anche da parte del leader di Forza Italia. Ma questo non agevola Renzi. Stamane al Nazareno i ministri Martina, Delrio, Orlando si riuniscono con Piero Fassino e il responsabile del programma del Pd Tommaso Nannicini (probabile candidato ad Arezzo). Fanno un focus su Europa, cultura, lavoro. Ma a sera a Porta a Porta Renzi non va nel dettaglio.

Anzi promette "una moratoria sulle promesse elettorali". Perché: "Le promesse elettorali del reddito di cittadinanza, quelle di Di Maio, valgono intorno ai 100 miliardi di euro. Berlusconi non bada a spese: tra flat tax, pensioni a mille euro, dentiere e abolizione della Fornero siamo sopra i 200 miliardi. Il Pd ha chiesto di intervenire sul canone: vale 1 miliardo e 400 milioni. E in ogni caso il canone non è una promessa ma un risultato, visto che è già diminuito".

Peccato che la moratoria duri solo pochi minuti. "Mettere sulla famiglia una cifra tra i 6 e i 7 miliardi di euro secondo me è sacrosanto", dice Renzi sempre da Bruno Vespa. Avanti (e indietro) così fino a marzo.

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