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Politica

Chi è Lorenzo Fioramonti, l'economista nemico numero uno del Pil che si candida con M5s e sarà uno dei consiglieri economici di Di Maio

Fb/Getty/Hp
Fb/Getty/Hp 

Lorenzo Fioramonti è una specie di nemico pubblico numero uno del Pil. Fa parte di quella schiera di economisti - sempre più folta - che contesta l'ossessione delle istituzioni economiche, e di conseguenza della politica, verso la crescita di questo indicatore, come se bastasse per misurare il grado di benessere di una nazione. Invece per Fioramonti e gli altri l'attenzione della politica dovrebbe spostarsi altrove, magari perseguiendo concetti diversi quali sviluppo sostenibile e qualità della vita. Ma Fioramonti non è solamente un economista "eretico": è anche un cosiddetto "cervello in fuga". Trentanovenne, è stato costretto a espatriare qualche anno fa per trovare lavoro e potersi dedicare alla passione della vita e cioè l'insegnamento e la ricerca. Come ha raccontato al Fatto un paio d'anni fa, l'Italia è stata matrigna mentre la Germania prima e il Sudafrica poi gli hanno dato quelle occasioni che cercava da tempo. Insomma, giovane, fuori dagli schemi mainstream e "cacciato" dal sistema: il profilo ideale per far scattare l'amore con il Movimento 5 stelle. Fioramonti è candidato nel collegio uninominale a Roma per il Movimento oltre ad essere consigliere del leader M5S.

L'avvicinamento fra il professore ordinario di Politica economica all'università di Pretoria, in Sudafrica, e il Movimento è avvenuto nell'ultimo anno. Ad aprile 2017, il deputato pentastellato Giorgio Sorial organizza alla sala della regina di Montecitorio un convegno sullo sviluppo economico e il benessere sociale. Guest star dell'evento è appunto Fioramonti, che in un quarto d'ora con le sue idee conquista la platea a 5 stelle.

Un intervento che lascia il segno, visto che successivamente gli viene chiesto un contributo alla stesura del programma economico. Lui accetta con entusiasmo e ad agosto dello stesso anno sul blog di Grillo viene ospitato un suo intervento, in cui ovviamente illustra il suo cavallo di battaglia: il pil non è più un indicatore idoneo a orientare le scelte politiche ed economiche di una nazione. I contatti più vanno avanti e più si fanno frequenti nonché bilaterali, visto che sui social del professore vengono spessi diffusi o retwittati post di Sorial o dello stesso Di Maio. Fioramonti farà, in ogni caso, parte della squadra di consiglieri del leader pentastellato.

Come detto, l'economista italiano è noto a livello internazionale per i suoi studi - e soprattutto libri - sugli indicatori di benessere che sono alternativi al Pil, il Prodotto interno lordo. Fioramonti infatti s'inserisce nel solco di diversi economisti - il premio nobel Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean Paul Fitoussi solo per citarne alcuni - che da anni studiano come uscire dalla dittatura di un indice estremamente facile da calcolare ma che non riesce a rappresentare realmente il livello di benessere dei cittadini. Quest'indice non contempla costi importanti che si scaricano sulla collettività, come ad esempio l'inquinamento o le diseguaglianze sociali. Oppure non misura tutti quei fattori invece positivi per la qualità della vita di una persona, come per esempio il volontariato o quei servizi gratuiti che non si traducono in esborsi monetari. In Italia uno degli studiosi più attivi in questo settore è Enrico Giovannini, ex ministro del Lavoro del governo Letta nonché ex presidente dell'Istat, il quale non a caso ha prima curato la prefazione italiana dell'ultima opera di Fioramonti, Presi per il Pil, e poi presentato il volume in un convegno alla Luiss. La collaborazione fra i due peraltro va avanti già da qualche anno, visto che fanno entrambi parte del think tank internazionale Alliance for sustainability and prosperity, per il quale hanno pubblicato nel 2015 un articolo sul Guardian dal titolo inequivocabile: Say goodbye to capitalism: welcome to the Republic of Wellbeing.

Fioramonti però è anche - per sua stessa ammissione - un cervello in fuga. Lui ama raccontare la sua storia alla stregua di tanti altri ricercatori universitari che sono stati costretti ad andare all'estero per trovare fortuna. "Mi fu spiegato che nel mondo accademico italiano esistono delle regole non scritte ma che tutti conoscono – racconta in un colloquio col Fatto nel 2016 -. La prima è che bisogna aspettare il 'proprio' concorso. Ovvero, salvo eccezioni, i concorsi sono banditi per qualcuno in particolare. La seconda, è che non ci si presenta a un concorso a meno che non si sia stati invitati a farlo. Questo vale soprattutto per chi ha un curriculum forte, perché potrebbe creare problemi al candidato preselezionato per vincere". Motivo per cui va prima in Germania e poi in Sudafrica, dove riesce a diventare docente e a dirigere il Centro Studi sull'Innovazione nella Governance. Custodendo però il sogno di poter tornare in Italia, " per rimboccarmi le maniche e aiutare il paese a rimettersi in piedi", confidava due anni fa. Ora i 5 stelle possono essere il taxi giusto per realizzarlo, facendolo addirittura entrare dalla porta principale ovvero quella di Montecitorio. Bisogna però prima vincere il proprio collegio. E questo è tutt'altro che scontato.

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