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Politica

Dopo le liste, i musi lunghi nel Pd arrivano fino al governo: la rabbia di Minniti, di Delrio... E non si brinda a Palazzo Chigi

Alessandro Serrano' / AGF
Alessandro Serrano' / AGF 

Tre quarti delle liste del Pd per le politiche 2018 sono cambiati nelle due notti dei lunghi coltelli: quella tra venerdì e sabato e quella tra sabato e domenica. Parlamentari come il deputato Angelo Rughetti (area Delrio) e la senatrice Francesca Puglisi (area Franceschini) erano sicuri di essere in lista fino all'ultimo: il primo nel suo collegio di Rieti e nel proporzionale, la seconda nel collegio Ferrara-Bologna. Poi, la doccia gelata. Le liste 2018 lasciano uno strascico di musi lunghi nel Pd, così lunghi che arrivano a coinvolgere anche la squadra di governo, quella che all'inizio della campagna elettorale era stata presentata da Renzi come la punta di attacco contro gli avversari.

Marco Minniti è deluso e imbarazzato. Non tanto per la sua posizione in lista: candidato al collegio di Pesaro per l'uninominale Camera e al proporzionale in Veneto e Campania. Ma quanto per l'esclusione dalle liste di Nicola Latorre e Andrea Manciulli, entrambi molto legati politicamente al ministro degli Interni. Il primo presidente della Commissione Difesa del Senato, ex del giro dalemiano del Pd, ma questo risale a tanti anni fa. Tra gli ex dalemiani anche Manciulli, segretario del Pd Toscana all'epoca delle primarie 2012 per la premiership del centrosinistra: quelle che Renzi perse contro Bersani. Entrambi però si erano ormai avvicinati al segretario, entrati a pieno titolo nella sua area di maggioranza. Non è bastato: a Latorre è stato preferito Dario Stefàno in Puglia, ex di Sel, il cui voto al Senato è stato tra i determinanti per salvare il governo negli ultimi tempi. Il collegio di Manciulli invece è andato a Silvia Velo (area Orlando).

'Ca va sans dire', anche il Guardasigilli è scontento. Unico ministro a non avere un collegio ma solo il proporzionale in Emilia che comunque non è la sua regione. Il suo collegio di La Spezia, dove avrebbe voluto correre per il Senato, è andato al franceschiniano Massimo Caleo.

Oggi Orlando usa parole di fuoco: "Invito gli esponenti della maggioranza a non negare l'evidenza e non tornare su questo punto, altrimenti dovremo tornarci anche noi. Affermare per esempio che il fatto che ci sia Siani vuol dire che non sono tutti renziani, non è fare torto alla minoranza ma all'intelligenza. Il fatto che uno su novecento e passa candidati non sia renziano non dimostra che non lo siano gli altri". Anche se non può fare altro che stare al gioco per ora: "Preferirei che il partito restasse unito attorno a Renzi perché ha una buona affermazione e in questo senso mi impegnerò".

E il segretario replica a Radio 101: "E' normale che gli esclusi esprimano la loro amarezza, chi con più stile, chi con meno. Ma non è questo certo il problema per l'Italia, il problema non sono le risse interne a tutti i partiti, non solo il Pd. Un po' di ricambio non fa male. Suggerirei a tutti i dirigenti del Pd, basta polemiche, ora iniziamo a lavorare".

La resa dei conti è evidentemente rimandata al dopo-elezioni, a seconda del risultato elettorale. I sondaggisti vedono un trend in negativo per il Pd, alcuni sondati da Huffpost segnalano un rischio 20 per cento o anche sotto. Sarebbe una debacle. Ma Renzi punta a conquistare il primo posto per numero di eletti. Cosa che secondo la sondaggista Alessandra Ghisleri è possibile "grazie all'apporto delle liste alleate", dice a 'Omnibus' su La7.

Il punto è che nel partito c'è il caos. "Solo a livello di gruppi dirigenti", dicono i renziani, convinti che invece la base gradisca le operazioni del segretario sulle liste. Ma nell'area Renzi si segnala anche il malumore di Graziano Delrio, candidato nel suo collegio a Reggio Emilia, senza paracadute proporzionale e per la Camera dei deputati. Mentre, come è noto, Renzi ha spostato il suo quartier generale al Senato: dove tenta di approdare insieme ai fedelissimi Andrea Marcucci, Francesco Bonifazi, Ernesto Carbone. Pure lo stesso Matteo Richetti, candidato subito dopo Valeria Fedeli nel proporzionale a Modena (Senato), non ha gradito l'andazzo generale.

Eppure sia con Richetti che con Delrio Renzi aveva ricucito da poco, dopo lo strappo di qualche anno fa, quando l'attuale ministro delle Infrastrutture era sottosegretario a Palazzo Chigi: smobilitato. Il punto è che persino con Paolo Gentiloni si è sfiorata la crisi. Renzi ha tentato fino all'ultimo di spedire il capogruppo Luigi Zanda alla Camera. Non ci è riuscito grazie all'intervento di Dario Franceschini e lo stesso Gentiloni. E quando si è convinto di rimetterlo in Senato, ha fatto pesare la cosa: allora niente candidatura per i gentiloniani Antonio Funiciello ed Ermete Realacci.

Insomma, sarà anche solo una questione di gruppo dirigente, ma in questa storia delle liste molti rapporti si sono strappati.

Renzi conferma la tendenza a chiudersi nel suo 'giglio magico', quello toscano, più le new entry che ha scelto per le liste. Al Senato con lui non ci vanno solo Luca Lotti e Maria Elena Boschi, tra i fedelissimi di sempre: non hanno l'età (40 anni) per essere eletti a Palazzo Madama. Nel Pd i veleni sono alle stelle e in questo stato il partito deve anche affrontare la campagna elettorale, gli scontenti costretti a fare buon viso a cattivo gioco. E dopo si vedrà. "Magari Renzi scommette sulla debacle per poi farsi il suo partito...", dicono tra i più critici. Chissà.

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