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Esteri

Kabul come Tripoli, capitale di uno Stato fallito

Mohammad Ismail / Reuters
Mohammad Ismail / Reuters 

Kabul come Tripoli. Capitali di Stati falliti, retti da governi che non controllano neanche la loro capitale. Kabul, dove Stati Uniti e Nato celebrano, sedici anni dopo l'inizio della guerra che avrebbe dovuto spazzare via i Talebani, al-Qaeda e jihadisti di ogni sigla ed etnia, un fallimento epocale, costato centinaia di migliaia di morti, tra i quali, è bene ricordarlo, 54 giovani soldati italiani.

E' impressionante l'escalation di violenza che sta segnando Kabul: in non più di una settimana, prima l'attacco all'Hotel Intercontinental (40 morti, di cui 14 stranieri), poi l'ambulanza-bomba" contro il "Palazzo della Pace" (103 morti, 295 feriti), ed ora l'assalto all'Accademia militare (e questo mentre a Jalalabad l'Isis faceva saltare in aria una struttura ospedaliera di Save the Children). Il massacro al "Palazzo della Pace" è stato rivendicato dai Talebani, l'assalto all'Accademia militare dall'IsisL'Afghanistan è oggi un Paese nel quale una parte significativa del suo territorio nazionale è controllato dalle milizie talebane, da quelle dello Stato islamico o da signori della guerra che si arricchiscono con il traffico di droga, di armi e di esseri umani. L'Afghanistan, come la Libia e l'Iraq, stanno a dimostrare che una guerra si può al momento anche vincere, ma se non si ha una strategia politica per il dopo, quella "vittoria" è solo il preludio di nuove tragedie. A Kabul si è combattuto per ore. Non siamo di fronte ad azioni "mordi e uccidi", condotte da singoli kamikaze, ma a vere e proprie azioni di guerra, pianificate in ogni dettaglio, che per essere condotte hanno bisogno di supporti logistici in città, rifugi, arsenali. Kabul è sotto attacco. Ed è cronaca di guerra.

Nove morti, cinque soldati, oltre a dieci feriti. E' il bilancio ufficiale dell'attacco di questa mattina all'accademia militare di Kabul da parte di quattro uomini armati. Il portavoce del ministero della Difesa, Dawlat Waziri, ha indicato che l'azione del commando riguarderebbe specificamente la 111/a Divisione dell'esercito di stanza accanto all'Università. Due kamikaze si sono fatti esplodere all'ingresso dell'edificio, altri due sono stati uccisi al suo interno. Un quinto membro della squadra suicida è stato invece arrestato. L'attacco, terminato sette ore dopo il suo inizio, avviene ad appena due giorni dallo scoppio di un'ambulanza-bomba nel pieno centro della capitale che ha causato almeno 103 morti, è stato rivendicato dall'Isis. Nonostante la chiara rivendicazione, una fonte governativa afghana ha però sostenuto che l'attacco odierno all'Accademia militare sarebbe stato realizzato da militanti della radicale Rete Haqqani, collegata con i talebani dell'Emirato islamico dell'Afghanistan.

Al riguardo Javid Faisal, vice portavoce del coordinatore del governo Abdullah Abdullah, ha detto che i cinque militanti che hanno realizzato stamani l'operazione terroristica contro una struttura dell'esercito nel quartiere di Qargha, "sono membri della Rete Haqqani addestrati in Pakistan". La Rete Haqqani è una delle due grandi organizzazioni talebane afghane, insieme alla "Shura di Quetta" i cui miliziani operano più a sud nelle province di Helmand, Kandahar e nell'ovest, dove sono ancora presenti circa 900 militari italiani che nel corso dell'anno dovrebbero ridursi a 700, con compiti di supporto e addestramento rivolti alle truppe del 207° corpo afghano.

Ora, ammesso che sia così, i portavoce vari del governo afghano, danno un quadro allarmante di gruppi, milizie, bande jihadiste che imperversano in Afghanistan. Come in Libia. Oggi i Talebani controllano o hanno influenza sul 40% dell'intero territorio, numeri mai raggiunti dall'inizio del conflitto nel 2001. Conquistano territori e comprano equipaggiamento, armi, munizioni e carburante direttamente dai soldati dell'esercito afghano. A denunciarlo è John Sopko, ispettore generale dell'organismo americano che supervisiona la ricostruzione (SIGAR), in occasione di un intervento nel Centro per gli studi strategici e internazionali, presentando un rapporto sui rischi che sta correndo in Afghanistan il processo di stabilizzazione. L'ispettore ha lanciato un allarme sulle conquiste territoriali realizzate dalle forze antigovernative. Nel novembre 2015 il governo di Kabul sosteneva di avere il controllo del 72% del territorio nazionale. Una percentuale scesa al 63,4% nell'agosto 2016. Oggi siamo sotto il 60%. Nel documento, Sopko ha sottolineato anche che lo sforzo delle forze di sicurezza afghane per sottrarre agli insorti aree strategiche del Paese ha causato molte decine di soldati misteriosamente scomparsi.

Infine, l'ispettore generale ha presentato una lista dei maggiori rischi che ostacolano in Afghanistan il successo della ricostruzione nazionale. Fra questi, la corruzione, l'impossibilità di consolidare i successi ottenuti, l'incapacità del governo afghano di gestire in maniera efficace il suo budget e la cattiva gestione dei contratti. Quando non riescono a controllare il territorio, organizzano attentati terroristici nelle città più importanti controllate dai governativi come Kabul, Kandahar, Lashkargah. Il Governo di Ashraf Gahni non ha ancora la forza militare per riconquistare i territori perduti dopo che la Nato il 1 gennaio 2015 ha dichiarato chiusa la sua missione, lasciando solo 11.000 uomini. Ma nemmeno può accettare le condizioni per il cessate il fuoco poste dai rappresentanti dei talebani: imposizione in tutto l'Afghanistan della sharia più inflessibile e governo di transizione a guida talebana.

E a contendere la leadership jihadista ai Talebani sono i foreign fighters dell'Isis. L'Afghanistan non è l'Iraq o la Siria, dove gli affiliati all'Isis combattono i curdi, i cristiani e gli sciiti. Qui il potere è conteso ad altri sunniti, i talebani, e più che per conquistare nuovi territori al Califfato, si combatte per assicurarsi il controllo delle rotte del commercio dei narcotici. Ora sembra che «il tempo dei talebani sia finito. Comincia una nuova tragedia per noi», spiega al Washington Post un avvocato di Jalalabad, la capitale provinciale. La provincia di Nangarhar si trova nella parte orientale del Paese, al confine con il Pakistan, e ora è in buona parte occupata dall'Isis. L'invasione è cominciata nell'estate del 2014, quando dal confine sono arrivati un centinaio di talebani pakistani che, dopo essere scappati dall'esercito, si sono uniti a una fazione di talebani afghani. Nel gennaio 2017, l'Isis ha annunciato la nascita di una nuova fazione locale in Afghanistan, alla quale hanno velocemente aderito molti fuoriusciti dai talebani: gli afghani di Nangarhar non lo sapevano, ma si trattava proprio dei pakistani rifugiati nelle loro case. Dopo un anno di alleanza con i talebani afghani, in estate, l'Isis è venuto allo scoperto predicando in moschea un islam rigidamente wahabita (lo stesso professato in Arabia Saudita).

A luglio sono cominciati i primi scontri a fuoco tra i talebani afghani e i pakistani, passati all'Isis. Dopo un mese circa di combattimenti, l'Isis si è impossessato della zona, nonostante gli americani bombardassero sia loro che i talebani. Passando villaggio per villaggio e casa per casa, i jihadisti hanno rubato i mezzi di sostentamento ai residenti, distruggendo scuole e madrasse talebane, imponendo una nuova legge. Le abitazioni dei talebani sono state bruciate e chi veniva sospettato di essere loro alleato è stato rapito e seviziato. Rimarca Nel tentativo di penetrazione in Asia meridionale, il "califfato" è riuscito a stimolare la scissione del movimento dei Taliban pakistani e ad avviare attività operative all'interno dell'Afghanistan, inducendo all'insorgere di dinamiche che potrebbero portare, da un lato, all'istituzione di una "libera alleanza di mujaheddin" dal forte impatto mediatico e, dall'altro, a nuovi rapporti di conflittualità e competitività tra gli stessi gruppi insurrezionali". Così Claudio Bortolotti, in un documentato report su Affarinternazionali. "Sul piano politico-sociale le principali variabili sono la capacità del governo afghano di mantenere un equilibrio tra i gruppi di potere, il power-sharing tra questi ultimi, e, non ultime, le elezioni politiche previste per settembre – proseguiva il report -.Sulla sicurezza influirà principalmente il fenomeno insurrezionale, che potrebbe determinare il collasso dello stato afghano. Nel complesso, il prossimo biennio sarà contraddistinto da un aumento delle conflittualità, una riduzione delle capacità statali, e una maggiore instabilità politico-sociale.

È altresì probabile uno Stato afghano debole politicamente e incapace di gestire il balance of power, vulnerabile alle pressioni dei Gruppi di opposizione armata , instabile sul piano della sicurezza interna, incapace di gestire i finanziamenti internazionali...". Il report è del 15 febbraio 2015. Tre anni dopo, non solo il collasso c'è stato, ma più che debole, lo Stato afghano appare oggi una entità fallita. A ciò si aggiunge il "flop" degli aiuti internazionali. Secondo alcune agenzie umanitarie internazionali dalla caduta dei talebani solo 15 dei 25 miliardi di aiuti sono stati spesi e secondo la Integrity Watch Afghanistan (IWA), un'Organizzazione non governativa con base a Kabul, su 100 dollari spesi in molti casi solo 20 raggiungono i destinatari afghani dell'assistenza. Secondo il rapporto della Ong, tra il 15 e il 30% dei soldi se ne va in spese per la sicurezza delle agenzie internazionali, un altro 20% in spese per assistenza tecnica, voce che in genere copre gli stipendi a volte faraonici del personale internazionale. Il rapporto critica anche il fatto che il 70% dell'aiuto internazionale non passa attraverso il governo afghano, privando così lo Stato del controllo su come esso viene speso, e di conseguenza indebolendone il rapporto con la popolazione. Di fronte a questo scenario, si persevera nell'errore, affidando la risposta all'offensiva Talebani-Daesh allo strumento militare. Ventidue agosto 2017, dopo tentennamenti vari e non dando ascolto "all'istinto", Donald Trump dice yes al "surge": ossia, l'aumento di truppe in Afghanistan. Il presidente Usa accoglie il consiglio dei suoi generali annunciando che gli Stati Uniti resteranno in Afghanistan con un aumento non specificato di militari e senza fissare una data per il ritiro. In un atteso discorso alla base militare di Fort Myer, in Virginia, Trump non ha precisato a quanto ammonterà l'aumento di soldati, ma fonti del Congresso citate dai media hanno parlato di 4mila.

In Afghanistan sono già dispiegati 8.400 militari, mentre dal 2001 sono morti circa c 2.400 soldati americani (3.500 in totale). Trump ha detto che sarà "una battaglia per vincere", poi ha spiegato di voler mantenere il segreto su alcuni punti della nuova strategia, considerando "controproducente" annunciarli perché avvantaggerebbero il nemico. Ma il nemico avanza, con o senza la "Trump's strategy". E affonda i colpi a Kabul. E per The Donald, l'Afghanistan rischia di diventare il suo "Vietnam".

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