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Esteri

Il grande passo di Francesco verso la Cina

EPA
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L' editorialista del New York Times Ross Douthat, l'ha definita la seconda più importante mossa del Pontificato di Francesco, dopo Amoris Letitia . Parliamo delladecisione del Papa di accogliere nella comunione con la Sede apostolica sette vescovi cinesi scomunicati che erano stati scelti dalle autorità di Pechino. Un passo decisivo nei rapporti tra Cina e Vaticano che solo il successore di Pietro poteva compiere.

L'accordo è pronto da un po' di tempo, c'è solo da firmarlo, ma rimaneva fino alle settimane scorse il problema dei sette vescovi patriottici. E appunto unicamente il Papa può assumersi la responsabilità di questa decisione.

La svolta è sicuramente storica (perché apre per il Vaticano la possibilità di rapporti normali e stabili con il gigante asiatico) ma in ogni caso conta innumerevoli precedenti nella storia millenaria della Chiesa.

Bisogna precisare che da parte della Santa Sede non c'è stata oggi nessuna conferma ufficiale alla notizia pubblicata con grande spazio sulla prima pagina del Wall Strett Journal. Ma non c'è stata nemmeno una smentita, mentre si moltiplicano le conferme di autorevoli fonti "vicine al dossier".

Nell'arco dei secoli i precedenti di vescovi nominati dall'autorità pubblica e poi accettati dalla Chiesa sono molti. Addirittura in Venezuela (paese dove è stato nunzio dal 2009 al 2013, il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin) dal 1833 fino al 1958 i vescovi , in base alla legge sul patronato, erano nominati dal Parlamento , anche se spesso questa una situazione creava dei conflitti. In Europa solo da XIII secolo i papi hanno cominciato a riservare a sé la nomina dei vescovi. E tale prassi divenne comune e costante nel XIV secolo. La nomina avveniva attraverso una procedura segreta, come avviene tuttora. Uno dei motivi di tale prassi va ricercato nella situazione che si era creata nei rapporti tra papato e sovrani francesi. Con il concordato del 1516 tra Leone X e Francesco I il papa dovette tuttavia concedere di nuovo al sovrano la potestà di nominare i vescovi, una prerogativa confermata nel concordato del 1801 tra Pio VII e Napoleone, che impose ai vescovi anche il giuramento.

Per non parlare di un caso clamoroso come quello di Ambrogio, un politico di carriera, scelto dal popolo, ma che accettò di diventare vescovo di Milano solo perché glielo impose l'imperatore.

Sono giorni che il caso Cina tiene banco in Vaticano. Sarebbe dunque questa la decisione papale sui 7 vescovi scomunicati - che avrebbero ottenuto il perdono papale dopo il loro riconoscimento dell'autorità del successore di Pietro - alla base della reazione del cardinale cinese Joseph Zen Ze-Kiun, vescovo emerito di Hong Kong, nei giorni scorsi. Zen era stato convocato a Roma e con una decisione senza precedenti ,lunedì 29 gennaio, aveva pubblicato una lettera aperta sul suo blog, immediatamente rilanciata dall'agenzia Asia News del Pontificio Istituto Missioni Estere. In questa lettera, il cardinale aveva rivelato parte del suo colloquio con papa Francesco, al quale aveva esposto i suoi gravi timori per i passi compiuti recentemente in Cina da rappresentanti vaticani, sostenendo che dire la verità era una scelta preferibile rispetto a quella di mantenere il riserbo sull'incontro con Francesco. Alla lettera di Zen era seguita una forte presa di posizione del portavoce della Sala Stampa vaticana Greg Burke, nella quale si sottolineava che il Papa segue in prima persona la "trattativa" cinese e che non c'è nessuna divaricazione tra la sua posizione e quella della Segreteria di Stato.

In una articolata intervista, il segretario di Stato, Parolin al sito specializzato Vatican Insider (che ha anche un'edizione in cinese), ha spiegato che la Santa Sede non sta "svendendo" i cattolici cinesi per motivi politici, ma che lo scopo dei colloqui con le autorità cinesi hanno un obiettivo unicamente pastorale ed ecclesiale.

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