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Esteri

Gerusalemme val bene un Erdogan. Il Papa vede il presidente turco, al centro del colloquio il futuro della Città Santa

Vatican Pool via Getty Images
Vatican Pool via Getty Images 

L'Apocalisse, l'Armageddon, sopraggiunge poco dopo che l'ultimo Pontefice, Silvestro III, si è rifugiato a Nazareth, in Palestina, mentre dalle alture di Gerusalemme alla Siria avanzano morte e distruzione. Così finisce la storia nel romanzo di R.H.Benson, "Il Padrone del mondo", che Papa Francesco ha più volte invitato a leggere dopo averlo definito "una delle mie letture preferite".

Gerusalemme la città dove (con la passione e la morte di Cristo) il Cristianesimo è iniziato, dove è custodito il Santo Sepolcro, per la cui sorte Gesù pianse, e dove tutto potrebbe finire. È questa immagine - un po' visione, un po' profezia - che sta forse sullo sfondo dell'incontro di Francesco con il premier turco Erdogan.

Visita insolita che il Sultano ha praticamente organizzato di persona, in appena un mese, dopo due conversazioni telefoniche dirette con il Pontefice a distanza di 20 giorni (il 7 e il 29 dicembre 2017), e che ha scosso non poco la normalità delle prassi della diplomazia vaticana. Erdogan ha chiamato Francesco per offrire il suo appoggio alle dichiarazioni del Papa sullo status della Città Santa dopo la decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di "riconoscerla" come la capitale dello Stato di Israele.

È stato sempre Erdogan a rendere tutto di pubblico dominio. La notizia della prima telefonata è stata filtrata su alcune testate e agenzie turche e confermate da portavoce di Erdogan. A questo punto, Oltretevere è stato subito chiaro che la "questione Gerusalemme" (dopo la decisione della Casa Bianca) sarebbe servita a Erdogan per un "rientro in grande stile" nei giochi, dopo le condanne internazionali e proteste per le moltissime misure autoritarie di Ankara.

Il rischio? Un Papa che "sdogana" il Sultano, quasi a far rivivere in lui - tredici secoli dopo - il Califfo Omar, "Custode delle chiavi della Chiesa del Santo sepolcro" («Custodian and Door-Keeper of the Church of the Holy Sepulchre»), che gli furono consegnate nel 638 da Sofronio, Patriarca di Gerusalemme. Ma Francesco ha accettato la sfida, forse in forza di quella visione-profezia: Gerusalemme, come città del destino del mondo.

È stato invece il colloquio con il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e con l'arcivescovo Paul Richard Callagher, responsabile del segretariato dei Rapporti con gli Stati, a mettere in chiaro che anche tra il Vaticano ed Erdogan su Gerusalemme, dopo il cambio di posizione statunitense, vi sono diversi e rilevanti punti di contatto ma le due impostazioni non sono completamente sovrapponibili. Anzi che, tra quanto sostiene da sempre il Vaticano sulla Città Santa e quanto i diversi governi turchi hanno detto negli ultimi anni, vi sono differenze importanti.

La posizione della Santa Sede su Gerusalemme, del resto, è molto precisa e non è cambiata: vuole preservare l'unicità delle parti più sacre della città, i luoghi santi, in modo che in futuro nessuna delle parti possa reclamarli esclusivamente per se stessa, dal momento che essi fanno parte del patrimonio che appartiene al mondo intero. Per la Santa Sede, i luoghi santi non sono musei o monumenti per turisti, ma luoghi dove le comunità dei credenti vivono con la loro cultura, le istituzioni caritative, ecc., e devono essere salvaguardati perpetuamente nella loro sacralità, tenendo presente che ciò che si vuole salvaguardare non è solo l'eredità del passato, ma anche le persone che vi vivono oggi e quelli che vi vivranno nel futuro.

Per salvaguardare la dimensione religiosa ed umana di Gerusalemme da ogni contingenza politica, la Santa Sede, in conformità con l'intento della prima e fondamentale risoluzione delle Nazioni Unite in materia, ritiene che solo uno statuto speciale, internazionalmente garantito, possa assicurare il carattere storico, materiale e religioso dei luoghi santi, come anche il libero accesso ad essi, per i residenti e per i pellegrini, siano essi locali sia provenienti da qualunque parte del mondo.

Sono stati Parolin e Callagher a mettere sul tappeto anche gli altri temi caldi: il rispetto dei diritti umani in Turchia e le preoccupazioni per la recentissima offensiva contro i miliziani curdi dell'enclave di Afrin in Siria (la cosiddetta Operazione Ramo d'ulivo). Su questo punto, Erdogan si sarebbe trincerato anche nel sostegno che ha ricevuto - attraverso una lettera personale - da parte del Patriarca Ecumenico Bartolomeo, il capo della chiesa ortodossa di Costantinopoli.

E infine, ma non ultimo, la situazione di grave sofferenza dei cristiani nella regione. Da questo punto di vista è stato un chiaro segnale (ma troppo debole secondo alcuni osservatori) il fatto che non appena uscito Erdogan, e mentre il leader turco proseguiva il suo colloquio con Parolin, il Papa abbia ricevuto in udienza i vescovi della Chiesa Caldea, in visita 'ad Limina Apostolorum', una chiesa cattolica quella caldea, decimata dall'attacco dell'Isis , costretta a lasciare la piana di Ninive, obbligata alla diaspora, fino negli Stati Uniti.

A guidare la delegazione era Louis Raphael I Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei (Iraq) con i suoi vescovi ausiliari; c'erano inoltre presuli provenienti, oltre che dall'Iraq, anche da Libano, Turchia, Iran, Siria, Egitto, Stati Uniti, Canada, Australia, nonché il visitatore apostolico per i fedeli caldei residenti in Europa.

Ma è su Gerusalemme che Francesco è convinto che si giochi il destino di un mondo che vede protrarsi situazioni di tensione e di conflitto un po' ovunque - con una specie di terza Guerra Mondiale a pezzi (tanto che il prossimo 23 febbraio Papa Francesco ha indetto per tutti i cattolici una giornata mondiale di digiuno e di preghiera per la pace). Perché a partire dallo status di Gerusalemme, che si potrebbe imboccare un'escalation incontrollabile, e allora il pianto di Cristo sulla città sarebbe quello sulle sorti dell'intera umanità.

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