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Politica

Salvini e Berlusconi, una relazione concava e convessa

Massimo Jatosti
Massimo Jatosti 

La mossa è propria dell'attore che di palcoscenici ne ha solcati tanti. Appena entra in scena, nello studio di In Mezz'ora in più, Silvio Berlusconi, approfitta della presenza di Salvini per avvolgerlo, a modo suo: "Matteo non ne ha di mattane... A volte ama il paradosso e ama essere pirotecnico, ma è un complimento".

Matteo, il Milan, il programma comune. Il solito Silvio, abituato a farsi concavo e convesso, come le circostanze richiedono. Il tono è quasi paternalistico, l'ostentazione di "cioè che ci unisce" è quasi sfacciata nel tentativo evidente di recuperare un minimo di parvenza di coalizione, dopo giorni di recita a soggetto: Europa, Fornero, condono, Islam, dazi, tasse sui robot. E Salvini, bon grè mal grè, sta al gioco. I minuti passano, senza che l'abile attore, avvezzo al ruolo di protagonista, sia geloso del suo tempo, consapevole dell'utilità di quella che, molto probabilmente, sarà l'unica foto comune di questa campagna elettorale, nel centrodestra delle piazze separate.

Ecco, la foto. Più che di una pace fatta, racconta di uno sforzo realistico dell'ex premier. Lo sforzo di disinnescare, per ora, la bomba Salvini. O quantomeno di posizionarne il timer a dopo le elezioni. "Ma no, in Europa sono preoccupati dai Cinque Stelle", "ma no, Salvini quando usa certi slogan è perché parla alla sua gente", "ma no, se ci sono delle diversità troveremo una sintesi dopo le elezioni": ogni frase sull'alleato è un tentativo di depotenziarne la carica deflagrante rispetto alla coalizione e, al tempo stesso, rispetto alle rassicurazioni offerte a Bruxelles. Perché la verità è che il "piano A", ovvero la grande coalizione, è declinato a Macerata (leggi qui Lucia Annunziata), che ha cambiato clima e anche rapporti di forza.

E dunque l'unico "piano A" è provare a vincere, spiegando le vele al vento che soffia nel paese, a partire dall'immigrazione – ecco l'idem sentire col leader della Lega in materia, e anche in materia di fascismo – evitando di litigare. Per cui, ciò che è andato in scena a In Mezz'ora in più anticipa il finale di questa campagna elettorale, noiosa e ripetitiva anche dalle parti di Arcore, e senza più la creatività e le ideone di una volta. Il Cavaliere continuerà a farsi concavo e convesso, facendo finta di non sentire quanto dirà il suo alleato su Fornero e dazi, Europa e vaccini, eccessi verbali e distinguo "pirotecnici".

Ma questa non è una unità vera, politica, è solo un timer spostato in avanti. E, scommette chi conosce bene il personaggio Berlusconi, la conflittualità è solo rinviata al minuto dopo il voto, in un caso o nell'altro. Anche in caso di vittoria il cui profumo è un potente corroborante in campagna elettorale, ma rischia di evaporare quando si passerà dalle chiacchiere alla spartizione del potere: squadra, poltrone, nomi, a partire dall'inquilino di palazzo Chigi, indirizzi strategici. E quanta voglia abbia Berlusconi di fare il dominus lo si è capito quando, all'insaputa di tutti, a partire dall'ignaro designato, ha nominato Carlo Cottarelli ministro della spending review e si è messo a parlare del numero dei ministri da prendere dalla società civile.

In caso di sconfitta, poi, il copione è già scritto perché, come noto, l'uomo non è avvezzo all'autocritica. Ed è pronto a imputarla interamente all'alleato, che ha minato con i suoi distinguo e i suoi eccessi verbali oltre il consentito la credibilità complessiva della coalizione, sciupando l'occasione storica di un ritorno al governo. A quel punto liberi tutti, di cambiare schema di gioco. E anche schema di governo, casomai i numeri (del Pd) lo consentissero.

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