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Politica

Tre ministri e un governo stabile: Minniti, Calenda, Gentiloni si proiettano sul 5 marzo. Renzi resta sul 4 marzo

Ansa
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Marco Minniti, Carlo Calenda, Paolo Gentiloni. Due ministri, un presidente del Consiglio. Tutti e tre proiettati sugli scenari del 5 marzo. Tutti e tre con un 'cursum honorum' spendibile anche nel prossimo governo di "unità nazionale", come lo chiama il ministro dell'Interno, "governo stabile", lo definisce il premier, "alla tedesca, mi auguro sia Gentiloni a guidarlo", si è sbilanciato due giorni fa il ministro dello Sviluppo Economico. Dall'altro lato, Matteo Renzi, fermo sullo scenario '4 marzo': il suo destino politico dipende invece dai voti del Pd, più di ogni altro attore in campo per il centrosinistra.

Punti di partenza e di arrivo diversi. Che danno luogo a dichiarazioni spesso in contrasto tra loro. Il segretario del Pd è ancora infastidito dalla scelta di Minniti di dirsi disponibile a restare al Viminale anche con un governo di "unità nazionale, se ci sarà anche il mio partito". Oggi Minniti ha specificato: "Unità nazionale non significa larghe intese" tra Pd e Forza Italia. Ma al Nazareno la sostanza non cambia. Per come la vedono dal quartier generale del segretario, il punto è che il ministro si è spinto in là, si è proiettato sugli scenari del 5 marzo laddove Renzi è fermo a raccogliere voti per il 4 marzo.

Orgoglioso della linea del Viminale sull'immigrazione, apprezzata sia nel centrosinistra che nel centrodestra con sponde anche nel M5s, Minniti lascia semplicemente capire che di lui molto probabilmente non si potrà fare a meno. "Ha parlato da ministro dell'Interno di governo di unità nazionale e non larghe intese", dice pure Gentiloni a 'Otto e mezzo'. Tra i renziani l'uscita viene bollata come "una fuga in avanti: se ne poteva fare a meno, si sta solo auto-promuovendo". Gelo.

Ma se Minniti infastidisce, anche il resto della squadra non si stringe coralmente intorno al segretario Dem. Nè lui con loro, c'è da dire. Oggi, mentre Renzi tiene da solo il palco del teatro Duni di Matera, in una tappa elettorale al sud, Calenda e Gentiloni sono insieme a Francesco Rutelli al centro congresso Angelicum di Roma per una tappa di campagna elettorale per la capitale. E meno male che Gentiloni annuncia per la prossima settimana "un'iniziativa con Renzi": sarà una delle rarissime occasioni di campagna elettorale non solitaria per il segretario. Ne ha fatta una con Minniti, lunedì scorso a Firenze, ma non è servita ad allineare le parole d'ordine tra lui e il ministro.

Calenda invece non è candidato. "Il mio mestiere non è in Parlamento", dice all'Angelicum. Ma in questa campagna elettorale è più attivo che mai con i suoi impegni dietro alle vertenze di lavoro dal ministero. Ieri, per dire, ha presieduto il primo incontro con i sindacati per la vertenza della multinazionale dei viaggi di affari Carlson Wagonlit Travel. Vogliono chiudere la sede di Torino e dislocare a est: 50 esuberi in ballo. Calenda gli ha chiesto di fermare il licenziamento collettivo. Apprezzato anche lui da Berlusconi e dal centrodestra, Calenda ha carte solide da spendere per un prossimo esecutivo di larghe intese. E oggi usa il solito approccio schietto per tracciare le distanze da Renzi e le vicinanze con Gentiloni.

"Voto Gentiloni - dice tra gli applausi - Il soprannome meno adatto per lui è 'camomilla'", gliel'ha dato Renzi in un'intervista, guarda caso. "E' una cosa diversa, è signorilità che in politica manca. Per essere forti non occorre arroganza, che al contrario è sintomo di debolezza. E' un tratto importantissimo per riguadagnare consensi, è il tratto che ci è mancato e che ci ha fatto perdere un sacco di voti". Shock.

Al Nazareno i termometri si fissano su temperature gelide anche in questo caso. Su Gentiloni Calenda dice: "E' un grandissimo asset, perché sa affrontare problemi complessi senza farlo passare per una questione muscolare tra lui e il Paese. Quando mi chiedono se io voglio fare il Presidente del Consiglio, io dico che c'è una persona che lo fa meglio di me. C'è un 'cursus honorum' e io non ho la capacità di parlare al Paese come lo fa lui e non mi sento sminuito per questo".

E Gentiloni? Come sempre, recita la parte più diplomatica. Negli studi di 'Otto e mezzo' giura che i suoi rapporti con Renzi "sono ottimi", "ovviamente non siamo due gocce d'acqua", ma "con ruoli diversi stiamo conducendo la campagna elettorale insieme". Annuncia un'iniziativa con il segretario del Pd la prossima settimana. Ma anche Gentiloni fa fatica a stare fermo sull'agenda '4 marzo' senza proiettarsi sul dopo. Non può, anche per il ruolo che si è ritagliato in questa fase: quello di presidente del Consiglio in campagna elettorale.

E così oggi è andato da Angela Merkel a Berlino a rassicurarla sul futuro politico e istituzionale del Belpaese. "La mia opinione è che l'unico pilastro possibile di coalizione stabile e pro-Ue sia la coalizione di centrosinistra guidata dal Pd - dice in conferenza stampa con la Cancelliera - Dopo il voto sarà il presidente della Repubblica a reindirizzare tutti verso una soluzione. Una cosa è certa: l'Italia avrà un governo stabile e non c'è pericolo che sarà un governo populista e guidato da posizioni anti-europee". Più esplicito: "L'accordo per la grande coalizione in Germania è per noi italiani una cosa buona e giusta che aiuta il progetto europeo e quindi la decisione dei vertici dell'Spd di sottoscrivere l'accordo va in una direzione importante per l'Europa e per l'Italia".

A 'Otto e mezzo' Gentiloni torna a dire che "se nessuno sarà autosufficiente si troverà una strada per un governo stabile". Laddove la linea di Renzi è: se non c'è una maggioranza, si torni al voto. Sofismi, dicono dal Nazareno. Perché, di fronte ad una legge elettorale che al 99 per cento non garantirà un vincitore, lo schema di un governo di larghe intese è sul tavolo della segreteria Pd da sempre. Solo che sarebbe bene non parlarne adesso.

In ogni caso, un nuovo voto entro fine anno (ultimamente ne ha parlato anche Silvio Berlusconi) è ipotesi che non esiste. Dal Viminale ricordano che non ci sarebbero i tempi. La prima seduta del nuovo Parlamento è fissata per decreto il 23 marzo. Primo atto: l'elezione dei capigruppo. Poi l'elezione dei presidenti di Camera e Senato, cosa che gli addetti ai lavori prevedono avverrà dopo Pasqua (primo aprile). Dall'elezione dei presidenti si capirà qualcosa delle intese future per un governo, ma nel frattempo l'estate sarà alle porte e convocare nuove urne sarà difficile anche per l'autunno, causa - come al solito - la legge di stabilità.

Insomma, parlare di nuove elezioni è un non-sense, almeno per il 2018. Restano le differenze sullo stesso campo di gioco della campagna elettorale. Chi ha profili spendibili anche in scenari bipartisan, è dentro la cornice del potere che verrà e si comporta di conseguenza. Chi non ce li ha, è fuori, a meno che non riesca a trarre nuova linfa dal voto degli elettori: obiettivo di Renzi.

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