Scegli di capire.

Gedi Smile Abbonati
Inserti
Ancora su HuffPost
Guest
Tutte le sezioni

GEDI Digital S.r.l. - Via Ernesto Lugaro 15, 10126 Torino - Partita IVA 06979891006

Esteri

Afrin, l'accordo Assad-curdi spiazza Erdogan. La questione sul tavolo di Putin

Michaela Rehle / Reuters
Michaela Rehle / Reuters 

Afrin, la mossa del cavallo. Per dare scacco macco al "Sultano di Ankara" e mettere alla prova il "patto di Sochi". Se un campo di battaglia può essere metaforizzato in una scacchiera, la mossa che spiazza è quella compiuta dai curdi siriani delle Unità di Protezione Popolare (Ypg). L'intesa che sembra essere stata raggiunta dai vertici dell'Ypg e il regime di Damasco (confermata dalla tv di Stato siriana) perché Afrin passi sotto il controllo delle forze lealiste, è una mossa che mette alla prova il patto a tre russo-turco-iraniano sulla Siria. Perché Teheran e Mosca sostengono Assad, mentre Erdogan lo ha prima combattuto, aprendo le frontiere ai foreign fighters che andavano a combattere per lo Stato islamico, salvo poi tollerarlo in attesa di una sua, non improbabile, uscita di scena. Controllare Afrin, per Assad vuol dire dimostrare alla comunità internazionale che la Siria non è uno Stato fallito e che il regime baathista estende sempre più il suo controllo sul territorio nazionale. Proprio ciò che non vuole Erdogan, mentre Russia e Iran più che realizzare propri "protettorati" vogliono consolidare lo sbocco al mare (Mediterraneo) – Mosca – mentre Teheran intende creare proprie basi militari in modo da mantenere un canale territoriale diretto con il vicino Libano e con Hezbollah.

Nella seconda guerra siriana, dunque, le alleanze si fanno e si disfano, e il nemico di ieri può diventare l'alleato di oggi. Nessun matrimonio d'amore, ma tanti matrimoni, e "divorzi", d'interessi. Che l'ambizioso "Sultano" possa accettare di far dipendere la sicurezza della Turchia da quello che fino a poco tempo fa definiva "il macellaio di Damasco", ciò appartiene più che alla sfera del possibile, a quella dell'improbabile. Tant'è che la prima reazione ufficiale di Ankara è di quelle che rientrano nella serie "a chi tocca per ultimo il cerino acceso". "Se davvero il regime siriano vuole entrare ad Afrin per proteggere il Pyd-Ypg nessuno fermerà i nostri militari. E questo vale per Afrin, per Minbeij e per l'est dell'Eufrate". Così il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusgolu, nella prima reazione di Ankara alla notizia dell'imminente ingresso nell'enclave curdo-siriana di forze filo-Assad. "Ma se il regime entra ad Afrin per eliminare l'Ypg non c'è nessun problema", ha però aggiunto il ministro. Un capolavoro di equilibrismo dialettico. L'esercito lealista, secondo il capo della diplomazia turca, dovrebbe eliminare, se non fisicamente almeno disarmandoli completamente, i combattenti curdi con i quali Assad ha siglato un accordo. In sette anni di guerra, in Siria è successo di tutto e di tutto può accadere, ma le parole di Cavusgolu lasciano intendere che prima di ritirarsi, l'esercito turco dovrà verificare che ad Afrin le forze lealiste sostituiscano quelle di Ankara nel combattere l'Ypg. E qui dall'improbabile il passo verso l'impossibile è brevissimo. Alle note diplomatiche, Ankara preferisce i bollettini di guerra: sono oltre 1.641 i militanti curdi dell'Ypg e dell'Isis "neutralizzati" (cioè uccisi, feriti o fatti prigionieri) nel primo mese dell'offensiva turca contro l'enclave curdo-siriana di Afrin, secondo le forze turche. Il bilancio dell'operazione militare "Ramoscello d'ulivo", lanciata il 20 gennaio scorso, è aggiornato stamani da un nuovo bollettino dell'esercito.

Sempre secondo fonti militari, inoltre, dall'inizio dell'offensiva sono state strappate ai curdi 72 località della regione di Afrin, tra villaggi e zone strategiche. Le cifre non sono verificabili in modo indipendente sul terreno. Il ministero degli Interni di Ankara rende anche noto che 786 le persone arrestate con l'accusa di "propaganda terroristica" per essersi opposte all'offensiva contro l'enclave curdo-siriana di Afrin, precisando che la maggior parte (587) è finita in manette per aver criticato l'operazione "Ramoscello d'ulivo" sui social media, mentre le altre sono state fermate dopo aver preso parte a manifestazioni di protesta. Ora Assad dovrebbe proseguire il lavoro sporco. Altrimenti Ankara giudicherà l'esercito lealista connivente con i "terroristi" curdi. La seconda guerra siriana si è sempre più internazionalizzata e ogni mossa può provocare un devastante effetto-domino nell'intera regione. Di certo, la "mossa del cavallo" crea problemi al "Garante russo". Mosca si muove: Putin ed Erdogan hanno discusso la situazione nel Nord-Ovest della Siria, "anche alla luce dell'operazione militare turca nel distretto di Afrin": lo riferiscono fonti del Cremlino dopo una telefonata tra i presidenti russo e turco incentrata sulla situazione in Siria e in particolare nella provincia di Idlib e nel cantone di Afrin. Sostenere Assad e non rompere con Erdogan: il presidente russo dovrebbe trovare e/o imporre una soluzione "win-win", in cui tutti escano vincitori, Assad ed Erdogan. Non sarà per niente facile neanche per il "dominus mediorientale" di stanza al Cremlino.

I commenti dei lettori
Suggerisci una correzione