Scegli di capire.

Gedi Smile Abbonati
Inserti
Ancora su HuffPost
Guest
Tutte le sezioni

GEDI Digital S.r.l. - Via Ernesto Lugaro 15, 10126 Torino - Partita IVA 06979891006

Politica

Le carceri agitano i ministri

ANSA
ANSA 

Alla fine del consiglio dei ministri, il guardasigilli Andrea Orlando evita di metterci la faccia. La sua sedia, in conferenza stampa, è vuota. Il premier Paolo Gentiloni, a stento riesce a coprire l'insuccesso di una riforma annunciata, quella dell'ordinamento carcerario e rinviata nella sua parte sostanziale: "È un lavoro in progress" dice. Dei quattro decreti delegati in cui si articola la riforma, ne passano tre, manca il più importante, e il più politicamente sensibile in questo clima, che riguarda le misure alternative al carcere. Slitta.

Rinvio politicamente pesante, frutto di una spaccatura tutta interna al governo. Che si manifesta nel consiglio dei ministri, dopo giorni in cui era nell'aria. Tanto che ieri sera era andata deserta la commissione Bilancio del Senato, che avrebbe dovuto dare parere sulla delega. Segno che erano già iniziate le manovre per frenare il provvedimento che sta particolarmente a cuore a Gentiloni e al capo dello Stato.

Torniamo al cdm, dove si manifestano le diverse "sensibilità". Da un lato il guardasigilli Orlando e il premier, col sostegno di Graziano Delrio; dall'altro il ministro dell'Interno Minniti e Maria Elena Boschi, vera titolare di "palazzo Chigi 2", secondo la famosa battuta di Pier Carlo Padoan, in un rapporto di dualità con "palazzo Chigi 1", il cui titolare è Gentiloni. Sul tavolo c'è la riforma. Sacrosanta perché l'ordinamento penitenziario è fermo al 1975. Ma ad alto impatto politico, in questo clima di ansia securitaria, alimentata dalle campagne della destra. Perché la riforma riscrive le regole con l'obiettivo di "alleggerire" le carceri: maggiore possibilità di ottenere, senza più automatismi, misure alternative al carcere, permessi premio e collegamenti con la realtà esterna, basandosi sul principio che un carcere "chiuso" produce più recidiva a maggiore propensione di tornare a delinquere. Benzina, nel gran falò degli impresari della paura. Sentite Giorgia Meloni, a consiglio dei ministri in corso: "Il governo vuole meno galera e più misure alternative. Noi saremo dalla parte delle vittime e non dei delinquenti: più carceri e meno moschee abusive". Le fa eco Salvini, a stretto giro: "Il consiglio dei ministri, invece di parlare di nuove carceri mi parla di lasciar liberi migliaia di spacciatori, è folle". È chiaro che, il minuto dopo l'approvazione il provvedimento diventa il gran finale di una campagna tutta giocata all'attacco sulla sicurezza, dopo Macerata che ha radicalmente e definitivamente mutato il clima.

Ecco, il punto è tutto politico. C'è un pezzo di governo che considera questa riforma un suicidio, in questo clima e a pochi giorni dal voto, col Pd in evidente affanno. È una frenata brusca imposta al premier che, solo qualche giorno fa, aveva assicurato come certa l'approvazione oggi. La seconda, in due giorni, dopo che l'accordo politico Renzi-Salvini al Copasir ha costretto il governo a ritirare il decreto per il rinnovo dei vertici dei servizi. Una riappropriazione di sovranità dei leader di partito, a partire dal segretario del Pd, rispetto alla strategia messa in campo da Gentiloni di assicurare il massimo di continuità possibile, nelle nomine degli apparati dello Stato, in vista di un post elezioni che si annuncia lungo e complicato (leggi qui l'accordo politico che fa saltare i piani del governo).

Sulle carceri il secondo colpo. E adesso la questione diventa complicata davvero. Perché la delega deve essere esercitata entro luglio. Dunque o viene approvata al prossimo Cdm, a ridosso del voto, oppure il decreto rischia di non essere convertito. Iter reso difficile, oltre che dalle divisioni nel governo, anche dalle richieste di modifica da parte della commissione Giustizia del Senato, volte a indurire il provvedimento, segno che il Pd non è compatto sul tema. È un parere tecnicamente non vincolante, di cui il governo può non tener conto, ma che renderebbe necessario un nuovo passaggio in commissione entro dieci giorni. Insomma, è evidente che a dieci giorni dal voto il rischio è che il rinvio di oggi sia sine die. E che essere arrivati all'ultimo momento non ha aiutato l'approvazione del provvedimento che, solo qualche settimana fa, sarebbe stato più indolore.

I commenti dei lettori
Suggerisci una correzione