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Politica

Elezioni 2018: la salvinizzazione di Forza Italia è compiuta

Alessandro Bianchi / Reuters
Alessandro Bianchi / Reuters 

Andate a parlare con Gianni Letta, contrario sin dall'inizio all'accettazione della legge elettorale perché avrebbe messo in atto una dinamica mortale: la "salvinizzazione" di Forza Italia. Novella Cassandra, allora allontanata dai tavoli negoziali per la prima volta, in questo dopo-voto ha espresso il suo disappunto a più di un interlocutore. E non è caso che un suo influente amico, Luigi Bisignani questo malcontento lo ha affidato a un'intervista a Lettera43: "Berlusconi si è lasciato convincere da consiglieri inesperti a rimanere schiacciato sulla Lega. Eppure era stato avvertito autorevolmente".

Ecco, Berlusconi è schiacciato perché non ha ascoltato l'autorevole consiglio del principe della sua diplomazia affidandosi a meno nobili pareri di chi, per inesperienza o calcolo, si è buttato nelle braccia di Salvini. E il ribaltamento epocale dei rapporti di forza, in questo contesto, ne annulla margini di manovra. A questo punto, non c'è alternativa al rispetto dei patti sottoscritti in campagna elettorale: chi arriva prima, esprime il candidato. È questo che si sono detti Berlusconi e Salvini nel breve colloquio di Arcore. Colloquio ad alto impatto simbolico, nel day after del voto, che comunica un senso di unità e compattezza del centrodestra in vista di una fase di incertezza di qui alle consultazioni.

La via per Berlusconi è obbligata e, almeno per ora, le condizioni per "rompere" e tentare un altro schema non ci sono adesso che nelle urne sono stati travolti gli interpreti dell'establishment e, con essi, le larghe intese. Anche se la sconfitta brucia ad Arcore, perché per la prima volta davvero le urne hanno certificato il tempo che passa. È davvero storica e l'anziano leader per primo ha capito che consegna alla storia il centrodestra per come lo ha concepito e interpretato. Il realismo però impone di stare al gioco, nella consapevolezza che è nelle mani del vincitore perché "non possiamo permetterci di spaccare il centrodestra".

Ecco la trappola. Se Salvini, come sembra, pretenderà di essere indicato come premier Berlusconi gli ha assicurato che non dirà di no al Quirinale, quando sarà, pur nella consapevolezza che trappola alimenta trappola. Perché il suo incarico non è in grado di "allargare" la maggioranza e dunque di far nascere un governo. C'è poco da fare: con questi numeri non è questione di qualche responsabile, occorrerebbe un'interlocuzione, se non un accordo, con un'altra forza politica. Occorrerebbe, ad esempio, che Salvini indicasse un nome terzo magari per tentare di esplorare la via di un dialogo col Pd, tipo "governo delle astensioni", provarci almeno per allargare. Invece il leader della Lega dà l'impressione di voler stringere, con l'obiettivo di continuare la sua battaglia per l'egemonia del centrodestra. L'impressione dei big azzurri, per nulla sbagliata, è che in verità la partita di Salvini sia questa: "Non gli importa nulla del governo. Si vuole giocare la carta di un mandato, massimizzando la sua visibilità e il suo ruolo di leader, ma vuole stare all'opposizione di un accrocco fatto da Di Maio e altri, per poi sfidarlo al prossimo giro da leader incontrastato del centrodestra. Centrodestra che nel frattempo si è sbranato".

E torniamo alla "salvinizzazione", spettro che agita i sonni di Gianni Letta. Che, a più di un interlocutore, in queste ore ha ripetuto il suo "mai" a un governo col leader della Lega. Voce sempre più isolata perché i primi a voler cadere consapevolmente tra le sue braccia sono i più vicini al Cavaliere: l'avvocato Niccolò Ghedini, ad esempio, ma più in generale il partito del Nord, consapevole che non può stare fuori dal ricambio politico-generazionale che si è aperto nel centrodestra. È un processo nuovo e rilevante se addirittura l'ex capogruppo Renato Brunetta ha proposto delegazioni comuni al Quirinale per gestire le consultazioni, finora terreno esclusivo della diplomazia lettiana.

Sulle spoglie di Forza Italia è già in atto una dinamica di contesa. Il nome di Antonio Tajani è scomparso nella lunga notte elettorale, assieme all'illusione di una guida "moderata" nella coalizione. Mentre, per dirla in modo un po' gergale, c'è già la fila a via Bellerio di azzurri che bussano alla porta del vincitore. Ed è ovvio che Salvini, proprio oggi si è affrettato a precisare che mai e poi mai sosterrà un governo Di Maio, perché il suo orizzonte politico è la guida del centrodestra. E un accordo con i Cinque Stelle comprometterebbe l'esito dell'Opa lanciata. La salvinizzazione del centrodestra che fun berlusconiano è prospettiva più allettante rispetto ad essere lo junior partner di Luigi Di Maio.

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