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Politica

I delusi del Pd votano M5S, così il Movimento 5 Stelle si colora di sinistra. Il Partito di Renzi segna la fine delle Regioni Rosse

HP
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I delusi Pd votano Cinque Stelle, e il Movimento si colora di sinistra. La maggior parte degli elettori che ha votato il Partito Democratico alle politiche del 2013 e che all'ultima tornata elettorale non ha confermato il suo voto ai democratici ha scelto i grillini: in numeri, parliamo di una forchetta che oscilla tra il 15 e 20% di elettori dem. Una prima analisi dei flussi fatta dall'Istituto Cattaneo fornisce un dato chiave, se visto alla luce delle scelte che i partiti faranno all'indomani del voto del 4 marzo per tentare di costruire una maggioranza in Parlamento, al netto delle strategie politiche. A chi si rivolgerà Luigi Di Maio? E chi farebbe bene a prestare orecchio alle richieste dei 5 Stelle? Domande che troveranno una risposta nei prossimi giorni nelle scelte dei leader politici, risposte che possono beneficiare dei suggerimenti nascosti nelle urne.

Marco Valbruzzi dell'Istituto Cattaneo di Bologna, contattato dall'HuffPost, ragiona sul significato politico dei flussi elettorali: "Il dato varia naturalmente da città a città ma è evidente che la quota più consistente, tra il 15 e il 20%, delle perdite del Pd rispetto al voto espresso nel 2013 è confluita nel Movimento. È sicuramente il dato più rilevante di queste elezioni perché connota ideologicamente il partito di Luigi Di Maio pur trattandosi appunto di un partito post-ideologico". In altre parole, i flussi non solo fotografano il comportamento dell'elettore Pd disaffezionato a vantaggio dei 5S ma al tempo stesso forniscono anche un'indicazione ai leader quando sta per aprirsi la fase delle consultazioni.Un report dell'istituto bolognese va nel dettaglio di alcune città: a Brescia il 20% degli elettori Pd del 2013 ha scelto il M5S; a Parma poco meno del 7%; a Livorno il 26%; a Firenze circa il 13%; a Napoli circa il 30%.

D'altronde, in valore assoluto, il Pd di Matteo Renzi registra su base nazionale un tracollo senza precedenti: persi in cinque anni due milioni e seicentomila voti, in percentuale il 30% in meno rispetto ai consensi raccolti da Pier Luigi Bersani. Ma come ogni voto, anche quello del 4 marzo racchiude in sé diversi significati. Uno su tutti: le ultime elezioni certificano la fine dell'esistenza delle Regioni Rosse. Se in Umbria (da tempo in orbita centrodestra anche se a livello amministrativo aveva visto arrivare l'onda grillina in alcuni centri) e nelle Marche (contese tra centrodestra e M5S) il processo di "decolorazione" era già in stato avanzato, come dimostrato dalle tornate amministrative, è il crollo dell'Emilia Romagna che attesta un dato incontrovertibile ottenuto dal Pd renziano: quelle che un tempo erano roccaforti della sinistra oggi sono territori di contesa politica. Nella Regione rossa per eccellenza il centrosinistra non è più la prima coalizione (a beneficio del centrodestra con la Lega che arriva a raccogliere fino al 20%) e il Pd non è più il primo partito (a beneficio del M5S). Il centrosinistra a guida Pd vince solo in 7 collegi uninominali su 17. Debacle totale. "La categoria delle Regioni Rosse non esiste più, si conclude così un processo esistenziale già iniziato con le elezioni amministrative. Ora sono aree aperte alla competizione politica come tutte le altre", dice Valbruzzi.

Anche la Toscana, infatti,crolla sotto i colpi del centrodestra: più che rossa è ora l'ultima regione rosè, con il Pd che vince solo nel 33% dei collegi uninominali contro il 32% del centrodestra. Ma si tratta di un risultato legato non tanto alla matrice ideologica di sinistra quanto alla classe dirigente renziana. Com'è noto, è la Toscana la culla dei più alti in grado del Giglio magico, da Renzi a Maria Elena Boschi fino a Luca Lotti.

Cattaneo
Cattaneo 

Per converso, il Partito democratico assume un altro tipo di connotazione: nei collegi della Lombardia e del Lazio - ma la tendenza è riscontrabile in maniera diffusa - i dem riescono a strappare collegi solo nei centri urbani. "È la fisionomia attuale del principale partito di sinistra ed è la cifra connotativa tra le più importanti di questa tornata", afferma il ricercatore del Cattaneo: "Il Pd è diventato un riferimento nei centri urbani, regionali o nazionali. È quindi il partito di quegli elettori che si considerano "centrali" in una qualsivoglia connotazione sociale o sociologica, ma non riesce più a raccogliere consensi nei diversi centri fuori dalle zone urbane". Un dato che sconfessa quindi tutta la campagna politica adottata dai dem nei mesi scorsi sul rammendo delle periferie, che oggi guardano un po' ovunque meno che al Pd.

Quanto al M5S, è ormai consolidata la sua netta affermazione nelle regioni del sud-Italia, in questo derby con il Settentrione a trazione centrodestra: in Puglia, Sicilia e Sardegna i Cinque Stelle fanno man bassa di collegi, in Calabria e in Campania sfiorano l'en plein. "Ci sono almeno tre significati da leggere nell'exploit grillino al sud: c'è sicuramente una interpretazione corretta delle tematiche socio-economiche, che è mancata agli altri partiti, in una terra dove la disoccupazione è ancora una piaga e il disagio sociale è largamente diffuso. Ma c'è molto altro. I Cinque Stelle hanno incanalato anche le istanze dell'elettorato nella crisi legata all'accoglienza e all'immigrazione e, con la loro proposta, sono riusciti a convincere proprio sul fronte della percezione della (in)sicurezza. E infine, il voto del sud va letto anche come un puro voto anti-establishment contro la classe politica meridionale, incapace oggi come non mai di interpretare la questione meridionale".

Tornando infine ai flussi elettorali, un'altra tendenza rilevante è lo scambio di voti tutto interno al centrodestra, da Forza Italia verso la Lega che si è affermata per la prima volta come primo partito della coalizione. Non solo, dice Valbruzzi: "C'è anche un altro dato, seppur meno consistente ma comunque indicativo, da riportare: una parte dei voti guadagnati dal Carroccio arriva da Cinque Stelle delusi. Emerge una componente ex M5S che ha scelto l'ala più radicale della coalizione di centrodestra, privilegiando la proposta leghista sui temi della sicurezza e immigrazione". Quanto ai flussi elettorali a sinistra, Liberi e Uguali raccoglie consensi solo da democratici delusi senza riuscire nell'intento di allargare il proprio bacino ad aree ideologicamente o politicamente esterne al "bosco" di sinistra. Un dato che spiega bene il flop del partito guidato da Pietro Grasso.

È quindi un quadro molto variegato quello che le urne consegnano alla classe politica, ora chiamata a interpretarlo all'indomani di un voto che ha nei fatti sentenziato, anche in Italia, il crollo definitivo dell'establishment. La campanella è suonata.

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