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Politica

La dolce attesa di Luigi Di Maio. M5s convinto che la linea di Matteo Renzi naufragherà. Pd resta interlocutore privilegiato

Max Rossi / Reuters
Max Rossi / Reuters 

Ridono Beppe Grillo, Davide Casaleggio e Luigi Di Maio. In una stanza al primo piano dell'Hotel Parco dei Principi di Roma, dove da quarantott'ore non chiudono occhio, hanno sintonizzato il televisore su un canale all news. Dopo attese e rinvii, ecco materializzarsi sullo schermo Matteo Renzi. Lo ascoltano annunciare le (non) dimissioni, l'intenzione di rimanere in sella al Pd per garantire che un accordo con il Movimento 5 stelle non sarà mai fatto. I sorrisi si trasformano in risate quando il segretario parla del suo futuro, spiegando che farà "il senatore semplice".

Tuttavia c'è un attimo di spaesamento. Il quartier generale 5 stelle si augurava delle dimissioni tout court. La comunicazione scende in sala stampa per preparare il terreno a una dichiarazione di risposta di Alessandro Di Battista. Il volto dello staff di Di Maio è teso. Si rilassa appena quando vengono riferite le parole di Luigi Zanda, il primo del Pd a criticare duramente il segretario dimissionario.

Perché la linea di domenica notte non si è spostata di un millimetro. L'interlocutore privilegiato, se non unico, per una convergenza programmatica di governo rimangono i Democratici. Senza Renzi. Il forno leghista non viene chiuso. I punti di incontro sollevati in mattinata da Di Maio come base di lavoro vengono proposti a tutti i partiti. Ma l'ipotesi di intesa con il Carroccio viene più che altro tenuta in piedi come arma di pressione nei confronti delle istituzioni, da Bruxelles in giù, che non per reale convinzione.

Sulla linea è arrivata la piena benedizione di Beppe Grillo, partito alle 3 di notte per raggiungere il suo erede e festeggiare insieme allo stato maggiore. La speranza/certezza è che la linea di Renzi non tenga. "Vediamo cosa fanno - risponde uno dei big del Movimento - se accettano questa roba non si riprendono più". La comunicazione trasforma il dubbio in certezza: "Lo cacceranno". Di Battista in chiaro esprime concetti molto simili: "Pur di non dimettersi realmente, Renzi è disposto a frantumare il Partito Democratico. È antipatico ai suoi elettori, e anche a molti suoi deputati". Il segretario Dem è percepito in una tale confusione che in parte dei presenti nelle stanze del quartier generale è ferma la convinzione che ci sia già stato un contatto diretto fra Renzi e Silvio Berlusconi. Che pur da soli non avrebbero i numeri per formare un esecutivo. L'idea è quella che il Pd non chiuderà mai con il centrodestra allargato. "Farebbe una cosa contro natura, spiega un dirigente, ne risponderebbe ai suoi elettori". Il messaggio è chiaro.

E si spera che arrivi anche al Quirinale. A rompere gli indugi è Ignazio Corrao, eurodeputato molto vicino alla leadership: "Ci aspettiamo che Mattarella si faccia garante della volontà degli elettori che hanno dato al Movimento un consenso che non ha pari e che non può e non deve essere ignorato". Una fuga in avanti, quella del parlamentare europeo, in una fase in cui il leader 5 stelle non vuole minimamente tirare in ballo il Colle e ingerire nelle sue decisioni. Ma che ben rappresenta uno stato d'animo collettivo.

La strategia di Di Maio è quella di non chiudersi in una ridotta. Si vuole assolutamente evitare lo schema del 2013, quando si disse "o come diciamo noi o niente". È questo il messaggio che ha voluto trasmettere nel suo primo discorso da vincitore delle elezioni. Tendendo una mano sul programma, l'altra sulle presidenze delle Camere. Per gli scranni più alti di Montecitorio e Palazzo Madama ha richiamato la soluzione di due "presidenti di garanzia". Lo schema è chiaro: aprire all'elezione di un nome del futuro partner di governo, tenendo per sé l'altro posto disponibile. Ma con figure che potrebbero essere individuate di concerto, senza nessun prendere o lasciare. Danilo Toninelli ha aperto alla soluzione di una "rosa di nomi" su cui lavorare.

E non è passata inosservata l'arrivo di Roberto Fico direttamente da Napoli, dove ha stravinto, all'hotel Parco dei Principi. Il suo è uno dei nomi caldi per la Camera. Perché il suo rappresentare l'anima del Movimento delle origini e la sua attenzione a temi tradizionalmente di sinistra è vista sia da parte Pd come un bilanciamento della leadership di Di Maio, sia dentro i 5 stelle come un'ottima soluzione per calmierare sul nascere eventuali malumori per il decisionismo del candidato premier.

Il quale in queste ore sta allargando l'orizzonte dei suoi contatti, tessendo una fitta tela di rapporti da capitalizzare nelle prossime settimane. Tra gli altri oggi ha incontrato Conte e Del Re, due degli ipotetici ministri di una squadra che sembra già esser stata archiviata in quanto tale. E gli è sempre accanto Emilio Carelli, uomo che si sta rendendo fondamentale per il suo patrimonio di connessioni. E ha incontrato anche Luca Lanzalone, il presidente di Acea, latore di un patrimonio di contatti pesanti.

Ma "è sui presidenti delle Camere che giochiamo il primo tempo della partita". Il fischio d'inizio è già stato dato.

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