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Politica

I paletti di Di Maio e Salvini sulla trattativa di governo: irrinunciabili le rispettive leadership

Barcroft Media via Getty Images
Barcroft Media via Getty Images 

I due vincitori al momento non sono disposti a fare concessioni di peso. Luigi Di Maio apre al dialogo con le altre forze politiche, a patto che accettino lui come premier di un futuro governo. Matteo Salvini, dopo lo storico sorpasso operato su Forza Italia domenica scorsa, si comporta da capo del centrodestra. Il segretario leghista dice no a ogni accordo fuori dal perimetro della coalizione, ribadendo la sua fedeltà al raggruppamento che domenica scorsa ha ottenuto la maggioranza relativa. Una settimana dopo il voto, lo spazio per una trattativa tra le due forze politiche uscite vittoriose dalle urne sembra molto stretto. Il maggior ostacolo sulla strada di un accordo sta tutto qui: ciascuno dei due leader pone la propria leadership come condizione irrinunciabile per ogni accordo con le altre forze politiche. E su questo punto, nessuno sembra disposto a cedere.

Sia Di Maio che Salvini ritengono di avere le carte in regola per rivendicare la guida dell'esecutivo. Entrambi, per questa ragione, si sono detti disponibili a discutere con gli altri partiti. "Abbiamo chiesto a tutti responsabilità per formare un governo presieduto dal M5S", ha detto questa mattina il capo politico dei 5 Stelle in un videomessaggio su Facebook. Già il giorno dopo il voto, Salvini aveva chiuso a ogni possibile accordo con il Movimento. Il capo del carroccio punta a guidare un governo "di minoranza", che si baserebbe sulla convergenza degli altri partiti sulle singole misure. Un patto con Di Maio, che alle urne ha ottenuto quasi il doppio dei voti della Lega, relegherebbe il segretario leghista a un ruolo subordinato.

Il primo scoglio della legislatura sarà l'elezione dei presidenti d'assemblea. Le due camere si riuniranno il 23 marzo. Prima delle elezioni, si riteneva che le maggioranze formate a sostegno dei due presidenti avrebbero potuto rappresentare un embrione di maggioranza di governo. Oggi, il voto sui vertici di Camera e Senato potrebbe risolversi in un'occasione di scontro.

Da una parte, leghisti e grillini discutono dei futuri vertici di Montecitorio e Palazzo Madama. Dall'altra, non rinunciano a mettere dei paletti che potrebbero condizionare la partita per la seconda e la terza carica dello Stato. Sempre nel videomessaggio pubblicato questa mattina, Di Maio si è detto pronto al confronto sulle presidenze, avvertendo però che i 5 Stelle esigeranno «il riconoscimento del voto degli italiani, che ci hanno indicato come prima forza politica del Paese». Tradotto: i grillini pretendono di guidare almeno uno dei due rami del parlamento, preferibilmente la Camera, per la quale sono forti le candidature di Emilio Carelli e Roberto Fico. Sullo scranno più alto del Senato potrebbe invece sedere una personalità del centrodestra. I nomi che circolano sono quelli del leghista Roberto Calderoli e del capogruppo uscente di Fi Paolo Romani. Tra i pentastellati si parla di Danilo Toninelli, ma Di Maio lo ha nominato capogruppo a Palazzo Madama. Una mossa che da più parti viene letta come un segnale di buona volontà, considerato che lo stesso Salvini ha aperto all'assegnazione di una delle due camere al M5S. Se però lo scenario rimanesse quello di oggi, con i partiti arroccati sulle loro posizioni, è difficile aspettarsi che Lega e 5 Stelle eleggano assieme i due presidenti.

L'altro capitolo riguarda il Def, il documento di economia e finanza che entro il 10 aprile dovrà essere consegnato al parlamento. Sia la Lega che i 5 Stelle vedono il Def come la prima occasione per dare un'impronta alla legislatura. "Il gruppo parlamentare del M5S sarà determinante", per approvare il documento, ha detto Di Maio. Il Def è visto come "la prima occasione utile" per una convergenza con le altre forze politiche. Ma anche la Lega sta preparando una sua relazione sul documento di programmazione, che sottolinei il desiderio di discontinuità rispetto ai dettami di bilancio fissati dall'Ue. Salvini, come se non bastasse, si è detto contrario all'introduzione del reddito di cittadinanza, uno dei cavalli di battaglia storici dei 5 Stelle.

Se tra i due partiti c'è un punto in comune, è il corteggiamento al Partito democratico. Le spoglie dello sconfitto fanno gola ai vincitori, che attendono con ansia la direzione di lunedì, nella quale verranno formalizzate le dimissioni di Matteo Renzi da segretario. L'ala renziana del partito ha chiuso a ogni possibile accordo con i 5 Stelle. Ma il Movimento non rinuncia a lanciare segnali in direzione del Nazareno. Beppe Grillo, parlando a Torino, ha detto sì al progetto di ospitare le Olimpiadi invernali del 2026 nel capoluogo piemontese. Un'apertura alla quale applaude il presidente della Regione Sergio Chiamparino, tra i primi, in casa dem, a non mettere paletti al dialogo con i 5 Stelle.

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