Moderato, dialogante, collaborativo con le forze dell’ordine e solido argine davanti alle teste calde seminatrici di odio. A lungo l’ormai ex presidente del Centro culturale islamico di Latina, che ruota attorno alla moschea di via Chiascio, Mohamed Manai, era apparso così. Con tanto di protocolli firmati e di foto da grandi occasioni insieme a questore e prefetto. Dall’inchiesta antiterrorismo denominata “Mosaico”, culminata con cinque arresti e una ventina di perquisizioni a carico di altrettanti indagati, emerge invece un quadro dell’ex numero uno dell’Islam in terra pontina decisamente opposto. Viene fuori la figura di un uomo che all’ombra del luogo di culto sarebbe stato il primo a parlare la lingua dell’odio, a discutere di possibili attentati. E per tali ragioni, tra le circa dieci perquisizioni ordinate nelle abitazioni di altrettanti tunisini e di un egiziano nel capoluogo pontino, è stata ordinata anche la perquisizione della casa di Manai, in via Londra. Ma di lui ormai in provincia non c’è più traccia. A novembre si è trasferito in Germania, nello stesso Paese dove ha compiuto nel 2016 un grave attentato Anis Amri, il giovane terrorista ucciso poi a Sesto San Giovanni in un conflitto a fuoco con la Polizia, che aveva soggiornato per un periodo ad Aprilia e da cui parte la stessa inchiesta “Mosaico”. Manai, secondo gli inquirenti, sarebbe stato l’animatore riunioni clandestine di propaganda jihadista, particolari rivelati agli investigatori dall’amico di Amri, Montassar Yacooubi, quello che lo aveva ospitato a Campoverde e che è poi finito in carcere per droga. Incontri in cui avrebbe avuto un ruolo importante anche il tunisino Mounir Khazri, lo stesso che avrebbe danneggiato le telecamere esterne alla moschea, anche lui presente a Latina, con una moglie italiana e che è poi stato arrestato a novembre per una vicenda di droga a Roma insieme ad Abdel Salem Napulsi, quest’ultimo destinatario dell’ordinanza di custodia cautelare emessa per “Mosaico” e che dialogando proprio con Khazri avrebbe discusso attivamente di attentati da compiere in Italia. Indagato così Manai e con lui i partecipanti alle inquietanti riunioni, accusati di istigazione a delinquere, alcuni ugualmente sposati con donne italiane e residenti tra il quartiere Nicolosi, in via Corridoni, vicino alla moschea, in via Po, Campo Boario, in via Attilio Regolo, e il quartiere Isonzo, in via Goldoni. Negli incontri, secondo gli investigatori, ognuno avrebbe avuto un ruolo, dalle armi ad altro, ma c’è anche chi è finito nei guai soltanto per i contatti avviati tramite Facebook. “L’ex presidente si è dimesso ed è andato in Germania. Mai abbiamo fatto incontri “particolari” e io so quel che accade in questa struttura, visto che sono da tempo un dirigente del centro. Siamo sempre stati un gruppo unico e conosco cose grandi e piccole di questa struttura”, specifica l’attuale presidente Centro islamico di Latina, Nasreddine Maaraf, 44 anni, anche lui tunisino. A novembre, inoltre, è cambiato anche l’imam. Una piccola rivoluzione in via Chiascio. E la figura di Manai resta così tutta da decifrare. A partire dalla collaborazione che avrebbe fornito in passato, con le espulsioni di altri soggetti legati ad Amri, come Mohamed Hachemi Triki, Moez Ghidhaoui, e Hisham Alhaabi. L’uomo che avrebbe retto una moschea che doveva essere un argine appunto contro i terroristi e che appare come il vertice di un gruppo di soggetti che lo stesso capo della Digos di Latina, Walter Dian, ha definito “connotati da profili di pericolosità e di oltranzismo religioso”.
Clemente Pistilli
Quando al Caffè si professava moderato
In seguito agli episodi di terrorismo che avevano coinvolto la provincia di Latina, il Caffè aveva più volte intervistato il presidente del centro islamico Manai Mohamed. Nell’aprile del 2017, dopo tre tunisini espulsi e tre raid vandalici, il Presidente si era presentato alla nostra testata con orientamento moderato e con la situazione sotto controllo. Alla domanda se tra le circa 1000 persone che ogni venerdì pregano nel prefabbricato della traversa di via Piave c’erano persone con orientamento meno moderato aveva risposto «Si. Ma piano piano li eliminiamo. Sappiamo di essere sotto controllo e ci sta bene. Non abbiamo funzioni di Polizia perché ci servono delle prove, ma se qualcuno non ci piace, piano piano lo eliminiamo». E alla domanda su che idea si era fatto dei raid vandalici aveva risposto: «Qualche squilibrato che è passato di qua». Di nuovo nell’ottobre del 2017 aveva ribadito: «Sono casi isolati, noi siamo brava gente. Tutte le persone che passano di qua le conosciamo e le teniamo sotto controllo e le controlliamo, sono tutte moderate. Ahmed Hanachi è risultato avere precedenti per droga e furti. Magari su internet aveva appreso nozioni sbagliate». Ed ancora: «Noi collaboriamo con le forze dell’ordine perché siamo brava gente che lavora in campagna e viene a pregare».
Bianca Francavilla
05/04/2018