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L’enigma del SATOR disvelato da Chiarini

Intervista di Duccio Benocci all'eminente filologo classico che ha racchiuso la sua ricerca in una preziosa pubblicazione

di Duccio Benocci

SIENA. La “Filologia” non è solo e soltanto una disciplina d’ambito umanistico tesa allo studio analitico e alla ricostruzione di un testo nella sua versione più vicina possibile all’originale. La Filologia è, anzitutto, un atteggiamento mentale, una ‘fede’, fors’anche una ‘religione’. ‘Fede del dubbio’, così la definirei in maniera sostanzialmente provocatoria.

E Gioachino Chiarini, eminente filologo classico, illustre traduttore dal latino, nonché docente di Lingua e Letteratura latina presso la nostra Università (Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature antiche e moderne) e presidente dell’Associazione Warburg Italia, ci conduce, senza segreti e omissioni, all’interno di una sua brillante ricerca, che lo ha tenuto impegnato per un bel po’ di anni: Il SATOR e il Duomo di Siena (Nuova Immagine, 2017).

Innanzitutto, va detto che quasi tutti a Siena conoscono, almeno superficialmente, il SATOR, altrimenti detto “Quadrato magico”, ovvero quel breve testo epigrafico latino, composto da cinque parole di cinque lettere ciascuna, inciso in una piccola mattonella marmorea, posta vicino alla porta della Sagrestia, sul fianco sinistro della Cattedrale (osservando la facciata). Alcune persone, giunte nei pressi, – le ho sentite con le mie orecchie – scandiscono bene quelle cinque parole dall’aura di sapienza remota e misteriosa, a voce alta, ai propri nipotini o ai propri ospiti in visita nella città della Vergine, come uno scioglilingua, mostrando persino una certa erudizione, ma senza, in realtà, conoscere il reale significato, anche storico, di questa specie di indovinello.

 

Professor Chiarini, secondo le sue ricerche, a quando risale la celebre piccola epigrafe?

Nel 1730 fu demolita la facciata del palazzo dell’Operaio (ovvero l’odierno Rettore) dell’Opera della Metropolitana, antico istituto finalizzato alla costruzione, accrescimento e abbellimento della maggiore chiesa senese; pertanto la mattonella in pietra calcarea può essere stata installata nel luogo dove la conosciamo solo successivamente a quella data. Precedentemente poteva anche essere applicata in altro luogo del cantiere della Cattedrale. Anna Giacomini è arrivata perfino ad ipotizzare che provenisse dalla Pieve dei Santi Maria e Giovanni Battista a Ponte allo Spino (XI-XII sec.), come noto di pertinenza del Vescovo e dei Canonici del Duomo di Siena. Da uno studio recente di Giuliano Catoni (Il gioco della ventura. Pratiche d’azzardo e voci di popolo nella Siena del Cinquecento, Il Leccio, 2015, p. 28, n. 3197) è emerso che già poco dopo la metà del XVI sec. il SATOR era conosciuto in città.

 

Ed è possibile datare, storicamente, l’origine del SATOR con sostanziale esattezza?

Le cronache riferiscono che nel 65 d.C. (terminus post quem) Titidate, re di Armenia si prostrò ai piedi dell’imperatore Nerone e lo nominò nuovo dio Mitra (dio del Sole); da questo episodio si svilupparono notevolmente i culti d’iniziazione mitraici, legati al Sole e alla luce. Nel 79 d.C. (terminus ante quem) l’eruzione del Vesuvio, per così dire, ‘congela’ alcune iscrizioni del SATOR a Pompei: le più antiche a noi pervenute. Da considerare, comunque, che il SATOR si può interpretare come un perfetto discendente dell’oggetto-“labirinto” cretese o classico (basato, cioè, sui medesimi presupposti spazio-temporali e dunque anche simbolici). Alla luce di queste ‘date certe’ possiamo spingerci ad affermare che il latino perfetto del SATOR è databile alla seconda metà del II sec. d.C.

 

Perchè, dunque, un simbolo solare di indubbia derivazione pagana – perfetta sintesi dei riti mitraici di età neroniana – si trova nella parete di un ‘tempio’ della cristianità medievale?

Perchè nella seconda metà del IV secolo il mitraismo scompare e ad un certo punto l’indovinello viene rivisitato, graficamente (ovvero l’ordine originario delle cinque parole viene rovesciato ed assume la forma che conosciamo), e diventa cristiano. Si ha, in sostanza, un passaggio di alcuni valori dal paganesimo-mitraismo alla religione cristiana, un passaggio dalla venerazione del Sole (“sator”) a quella di Cristo ‘novello Sole’ (“Sator” e, in quanto Salvatore, “Sotèr”). «Sator autem [est] Christus», recita un’antifona al “Magnificat”: ovvero ‘Seminatore [del nuovo annuncio] è Cristo’. Un vero e proprio interessantissimo ri-uso di simboli e adattamento di significati. D’altronde è noto, ad ulteriore conferma, che il calendario cristiano si stabilizza solo quando il Cristianesimo adotta quello solare-mitraico.

Nell’alto Medioevo, poi, l’uso del SATOR si attenua, per poi rifiorire ai tempi delle Crociate, in Italia e Francia, poi anche in Germania e altrove. Come dire, dai luoghi militari dell’esercito romano del periodo imperiale ai palazzi pubblici e privati cittadini e alle cattedrali, murato come “talismano” a protezione: infatti, proteggeva dagli incendi e dalle calamità, favoriva buone nascite, restituiva la salute del corpo e della mente.

 

Davvero incessante il proliferare di proposte in merito all’interpretazione del SATOR: di fatto – scrive nel suo libro – «nessuno dei tentativi sin qui pubblicati a partire da metà Ottocento […] sembra aver fatto realmente chiarezza su struttura e senso dell’antico indovinello» (cfr. p.[46] nota 3).

Sì, infatti, per la corretta interpretazione del SATOR occorre una conoscenza approfondita innanzitutto del latino classico, ma anche del greco antico; a questa devono unirsi solide basi in astronomia antica, oltre ad una buona padronanza storica del mondo antico. La teoria dell’origine esclusivamente cristiana del SATOR formulata da Rino Cammilleri (Rizzoli, 1999 e successive ristampe), e appoggiata da Vittorio Messori (autore della prefazione al libro), è indubbiamente affascinante ma per nulla convincente. Così come la ricerca di un presunto autentico messaggio anagrammando il testo o tentando di attribuire un valore numerico alle lettere: varie soluzioni, varie combinazioni, alcune ingegnose ma decisamente contraddittorie e rischiose.

 

Dalla stella a sei punte come struttura portante dell’organizzazione calendariale mitraica (adottata dal Cristianesimo) alla stella a sei punte presente in filigrana nella “struttura” di molte architetture e opere d’arte sacra senesi.

Proprio così, nel libro con numerosi esempi e foto-riproduzioni a colori mostro la sensibilità verso il pensiero ermetico-alchemico in auge, a Siena, tra tardo Medioevo e primo Rinascimento. Vale la pena di ricordare che Marsilio Ficino fu, nel XV sec., grande traduttore in latino e promotore della figura e dell’opera di Ermete Trismegisto (‘tre volte grande’: profeta pagano pre-cristiano, sommo sacerdote, filosofo, ma soprattutto padre dell’alchimia), tra l’altro prima tappa visiva del celebre pavimento ad intarsi marmorei del Duomo di Siena. A proposito del numero sei – rammentato parlando delle punte della citata stella – posso dire che nel libro imbastisco tutta una riflessione sul suo significato anche identitario (per Siena), e sul suo legame mariano: dopo la creazione della crociera a forma esagonale (centro cultuale sino al 1506/7, dal pavimento alla soprastante cupola, anch’essa a sei spicchi) – unicum nella storia delle cattedrali – nulla nell’arte senese sarà più come prima.

 

Una ricerca, dunque, magistralmente condotta da Gioachino Chiarini con un metodo rigorosamente scientifico, raffinato negli anni; decisiva, infatti, per la comprensione complessiva del SATOR un’altra ricerca parallela, quella dedicata alle immagini e ai simboli cateriniani nella Basilica di San Domenico in Siena, confluita nel volume Il calice e lo specchio (Nerbini, 2016).

Anzi, possiamo affermare che proprio dai frutti delle sue ultime due fatiche emerge un metodo di studio e di lavoro, filologico appunto – ne parlavamo in apertura – , che non disdegna affatto di abbandonare strade ormai battute e apparentemente consolidate per scoprirne di nuove, più convincenti.

Rigore scientifico sì, ma senza sacrificare l’estrema godibilità del testo di questo suo Il SATOR e il Duomo di Siena, che si aggiunge alla abbondante saggistica sugli argomenti.

E poi Chiarini, almeno a partire dall’inizio 2015, è impegnato nella instancabile alta divulgazione al grande pubblico di questi suoi sorprendenti risultati per mezzo di conferenze e comunicazioni, l’ultima delle quali (dal titolo: “L’enigma del SATOR”, organizzata da Santa Chiara Lab-Università di Siena) in occasione di “Bright. La notte dei ricercatori in Toscana” (venerdì 29 settembre scorso).

 

Dal volume di Chiarini, infine, è nato un progetto culturale di rilevo: una serie di seminari dedicati al SATOR e al suo antico e nobile antenato – come detto in precedenza, il “labirinto” – nelle varie tradizioni culturali, nelle arti visive, nella musica e nel cinema, nell’architettura, nella letteratura e nella danza. Incontri e momenti di approfondimento, organizzati a Siena presso l’Istituto d’Istruzione Superiore “E.S. Piccolomini” (su proposta dell’Associazione Warburg Italia, fatta propria dal Santa Chiara Lab), a partire dal 3 novembre prossimo fino al 1 marzo 2018, e, a seguire, in altre prestigiose sedi universitarie italiane. E per concludere in bellezza, anch’essa nel corso dell’anno venturo, una mostra dal titolo “Labirinti due. Studium lucis et umbrae”, da un’idea dello stesso Chiarini e del collega Mino Gabriele (Università di Udine), che riprenderà ed amplierà alcuni temi cruciali affrontati in sede di seminario.

 

Duccio Benocci

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