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Renzi il federatore apre a tutti ma prova a dividere la sinistra

David Allegranti

Il segretario non scommette sul modello Macron e prova a triangolare non solo con Pisapia. Fassino media, Bersani no

Roma. Matteo Renzi punta a dividere la sinistra: da una parte il Campo progressista di Giuliano Pisapia, dall’altra Mdp di Pier Luigi Bersani, Possibile di Pippo Civati e Sinistra italiana di Nicola Fratoianni. Se l’ex sindaco di Milano ancora prende tempo (“Non vogliamo un’altra Sicilia, non possiamo non fare di tutto per unire”, ha detto domenica), i secondi respingono le “aperture” del segretario del Pd. Renzi ieri nel suo intervento alla direzione del partito, che si è conclusa con l’astensione degli orlandiani al documento di maggioranza presentato da Matteo Orfini e Maurizio Martina, ha disegnato un’Unione impossibile: “Dovremo essere capaci di tenere aperto un ponte con l’ala moderata e centrista”, per non lasciarla nelle mani del centrodestra di Berlusconi. “Credo che sia cruciale che l’area dei moderati e dei centristi sia coinvolta il più possibile. Così come deve essere coinvolta l’area dei Verdi, dei socialisti, dell’Italia dei valori e dell’esperienza radicale che sta dando vita a una lista europeista”. Senza dimenticare, ha detto Renzi, “l’area che a sinistra in primis fa riferimento all’esperienza di Campo progressista, al quale mondo noi lanciamo parole di dialogo”.

 

Insomma prima si parla con Giuliano Pisapia e soci, poi eventualmente con altri. Tuttavia, “da parte nostra – ha aggiunto riferendosi ai fuoriusciti del Pd – c’è il senso della responsabilità. Non metteremo veti né a Si, né a Mdp, né a Possibile. Non daremo sponde a chi vuole rompere”. Insomma, niente alibi per Bersani e D’Alema, anche se la strategia di Renzi è chiara: vuole dimostrare che il Conte Max è il vero capo della sinistra antirenziana, una sinistra, secondo Renzi, in grado solo di far vincere il M5s. Le condizioni poste da Renzi tuttavia appaiono insostenibili per chi è andato via dal Pd: “Chi si esercita in richieste di abiura di quanto fatto non si rende conto di dove eravamo tre anni fa”, ha detto il segretario. Per questo, ci sono alcuni pilastri intoccabili, come il Jobs Act. “Pronti a ragionare su come far sì che ci sia meno precariato e più lavoro a tempo indeterminato”, ma, come si dice, non si torna indietro. Per cercare di ritrovare un dialogo con i fuoriusciti, Renzi ha pensato a un leader storico dei Ds come Piero Fassino: “Chiedo a tutti di essere aiutato in questo percorso. Per il mondo della sinistra voglio chiedere a Fassino di darmi una grande mano vista la sua esperienza di segretario dei Ds”. Fassino ha subito detto che l’azione del governo non è in discussione, perché “se noi non valorizziamo come abbiamo governato diventa difficile chiedere un voto per continuare a governare”. La replica di Mdp è subito arrivata attraverso l’AdnKronos ed è negativa: “Non vediamo nessuna novità. Parole, ma ormai Renzi non è più credibile e il fatto che abbia affidato a Fassino i rapporti con la sinistra, dice tutto su quanto siamo distanti”. Idem Fratoianni: “E’ un disco rotto”.

 

Renzi, che ieri ha incontrato i Radicali per costruire la coalizione e che sta cercando in tutti i modi di arrivare alle elezioni non solo con un piano B (la grande coalizione) ma anche con un piano A (la coalizione di centrosinistra), pare voler puntare anche sulla società civile, recuperando un percorso già battuto da Walter Veltroni per la composizione delle liste del 2008. E anche per questo ha chiesto al pediatra Paolo Siani, fratello di Giancarlo, giornalista ucciso dalla camorra, di candidarsi con il Pd. Dietro queste indicazioni, dal centrosinistra largo alla società civile, pare esserci il tentativo di rivedere qualche errore del passato. Così almeno la vede l’ex presidente del Consiglio, che in campagna elettorale dirà di voler puntare più sul modello Obama che non su quello dell’“amico Macron”. “Non c’è un disegno alternativo” per il Pd, ha detto ieri. “Se avessi dovuto fare il Macron, le condizioni politiche c’erano quando ho perso con Bersani nel 2012 e quando abbiamo vinto le europee”. Resta solo da capire quale sia l’Obama giusto: se il primo ha portato un carico enorme di speranza, il secondo ha spalancato le porte della Casa Bianca a Donald Trump.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.